Il violino irlandese

10 febbraio 2006

Per gli amanti della Musica d’Irlanda un’intervista a Marco Fabbri, violinista che da anni si dedica alla tradizione musicale irlandese.

Intervista a Marco Fabbri

Quando è nato il suo interesse per la tradizione irlandese?
Nel 1978 ho scoperto il Folkstudio del compianto Giancarlo Cesaroni che, in pieno Folk-revival, era il locale magico che molti ricordano. Nel 1979 Cesaroni organizzò il primo festival di musica celtica con gruppi tra i più famosi dell’epoca e fu frequentatissimo. Lì vidi per la prima volta una session e ne rimasi entusiasta. Un anno dopo il mio primo viaggio in Irlanda…

Quali sono le caratteristiche della musica irlandese?
Sicuramente la sua grande vitalità, che ha saputo rinnovarsi e accrescere il consenso anche tra le ultime generazioni; oltretutto il luogo dove vede gran parte della sua sublimazione è il “pub”, vero e proprio luogo di socializzazione dove le sessions informali sono spesso quotidiane.

Che differenza c’è tra la tecnica strumentale classica e quella richiesta da questo repertorio?
Gran parte della musica tradizionale occidentale è caratterizzata dall’uso di strumenti tipici per lo più diatonici come cornamuse e organetti.
Questo già evidenzia una enorme differenza nell’uso delle ottave e delle scale, il violino irlandese, ad esempio, viene quasi sempre suonato in prima posizione e raramente, in alcuni stili regionali come il repertorio della contea del Donegal o dei “cugini” scozzesi, vengono usate posizioni superiori.
Altre differenze tecniche derivano dalle differenti funzioni che ha la musica tradizionale, che normalmente non è suonata per essere ascoltata in un ambiente acusticamente idoneo ma per accompagnare momenti conviviali che necessitano di ritmo, timbri e dinamiche adeguate. Da questo deriva, ad esempio nel violino, un uso dell’arco ritmico e percussivo, o la capacità da parte di uno o più esecutori di dare ad un brano strutturalmente semplice un interpretazione virtuosistica basata sull’uso delle ornamentazioni ritmiche e melodiche.

Che tipo di studio comporta?
La prima cosa è sicuramente ascoltare molto, sia perché la musica tradizionale è a trasmissione orale e non scritta ma anche perché è fondamentale apprendere uno stile, cioè accenti, ornamentazioni e altro, che non sono trascrivibili e sono fortemente legati alla cultura e la personalità del musicista. Inoltre allo studio individuale sicuramente bisogna affiancare la pratica nel suonare con gli altri, per sviluppare quella sensibilità necessaria a creare l’affiatamento indispensabile a una musica normalmente eseguita all’unisono.
Nei miei seminari uso spesso un detto irlandese: “You can’t play a tune if you can’t sing it” (Non puoi suonare un pezzo se non lo sai cantare….)

Come è riuscito ad entrare nello spirito irlandese in modo così profondo?
Ho vissuto per lunghi periodi di tempo in Irlanda, Scozia e Bretagna e questo mi ha permesso di apprendere non solo la storia e lo stile della musica in sé, ma come sentirla dentro, attraverso la conoscenza di quella quotidianità della quale la musica è un’espressione. Questo è stato importante per capire anche il modo di suonare in session che è, con le sue regole non scritte, tra i migliori luoghi d’apprendimento.

Nelle musiche che esegue che importanza ha l’improvvisazione?
Nonostante oggi ci siano moltissime raccolte scritte facilmente reperibili, non è possibile stabilire quale sia l’esatta versione di un brano, possiamo dire però che una trascrizione semplificata alla semplice struttura melodica, priva perciò di qualsiasi abbellimento o notazione, può essere indicativa per l’esecuzione; per fare un esempio, nei seminari utilizzo l’ausilio di trascrizioni che io stesso preparo, ma solo perché facilitano l’apprendimento e mi permettono di lavorare sullo stile.
Il concetto d’improvvisazione è legato alla capacità del musicista di interpretare i brani con l’uso dei vari abbellimenti e piccole variazioni, spesso corrispondenti a stili regionali, simile, per certi versi, a quello adottato nella musica barocca.

Suonare a memoria arricchisce il musicista?
Credo che l’esecuzione “a memoria” sia in qualsiasi contesto musicale più vantaggiosa, favorisca cioè la libertà espressiva del musicista e nel caso della musica tradizionale è comunque alla base dell’apprendimento.

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Marco Fabbri – curriculum

Nell’estate del 1981 frequenta un seminario di “Irish fiddle” a Listowel (Co. Kerry, Irlanda) e inizia una lunga collaborazione, con passaggio obbligato al Folkstudio romano di Giancarlo Cesaroni, con numerosi gruppi della scena folk. Nell’aprile del 1985 si stabilisce a Belfast dove approfondisce lo studio della tecnica tradizionale tanto da raggiungere “notevole stima tra i musicisti locali per l’autenticità e la dinamicità del suo stile” (Belfast Telegraph, giugno ’85); ed è infatti con il gruppo Ultàn che girerà l’Europa per due anni in diverse tournée collaborando anche a seminari di danze irlandesi in Bretagna. Nel 1987, dopo la partecipazione al Folkest di S.Daniele del Friuli e al Festival Interceltico di Lorient (Bretagna) collabora con la Sedon Salvadie (musica Friulana) in due tournée nel Nord Europa e nel disco di Francesco De Gregori “Terra di nessuno”. Nel 1988 partecipa con il chitarrista di Belfast Paul Mc Sherry al Folkfestival di Barnbach (Austria). Nel ‘90 è con i Malbruk (musica Piemontese) e suona al Folk festival di Budapest.
Un anno dopo inizia una lunga collaborazione con la Scuola Popolare di Musica di Testaccio e fonda il Laboratorio di Musica di Tradizione Orale come insegnante, e con Mariano De Simone al banjo 5-corde (musica tradizionale irlandese e nord-americana) si esibisce in tutta la penisola. Nel 1994 è ospite del prestigioso Fringe festival di Edimburgo (Scozia) dove si stabilisce per sei mesi studiando più a fondo la tradizione musicale locale. Nel 1995 partecipa al Folk Festival di Edimburgo e collabora in un anno di tournée con il gruppo folk-rock “The Gang” suonando anche nel successivo CD “Fuori dal controllo”. Nel ’97 è ospite in una prestigiosa trasmissione radiofonica della BBC Northern Ireland di Belfast ed organizza a Roma tre festival di musica tradizionale irlandese (Fleadh Ceoil) invitando musicisti direttamente dall’isola verde. Alla fine degli anni ‘90 suona in diversi locali di Belfast, Derry e Dublino e tiene seminari di tecnica violinistica irlandese in Italia. Dal 2000 è presente nella “session trail” dell’annuale Trad Festival di Ennis (Co. Clare) e Gig’n the Bann di Portglenone (Co.Derry).

La tradizione musicale irlandese

Nelle antiche comunità rurali irlandesi la musica tradizionale seguiva il naturale ciclo lavorativo agricolo. Oggi si è spinta oltre queste usanze e può essere ascoltata nelle sessions dei pub, nelle serate di danza, nei convivi sociali e nei numerosi festival annuali delle varie regioni.
Sebbene le moderne tecnologie di registrazione, la diffusione mediatica e il crescente interesse commerciale abbiano contribuito a una maggiore espansione della tradizione con inevitabili contaminazioni, la musica strumentale possiede ancora riferimenti precisi negli stili delle varie contee.
Una gran parte del repertorio, soprattutto melodico, è databile tra il XVIII e il XIX secolo ed è oggi eseguito su numerosi strumenti tra cui il flauto traverso d’ebano, il Fiddle (termine inglese per indicare il violino nella tradizione orale), la Uillean pipe (cornamusa irlandese), il Tin Whistle (flauto diritto di metallo), l’Organetto diatonico, il Banjo Tenore, la Concertina (piccolo organetto di forma esagonale o ottagonale). Con l’eccezione del Bodhràn (tamburo a cornice suonato con un piccolo bastoncino impugnato nel mezzo), le bones (sorta di nacchere ottenute da due costole di bovino) e il piccolo set della batteria usata nelle Ceili bands (paragonabili alle nostre bande di ottoni e legni) gli strumenti a percussione sono di minore importanza lasciando spesso alla melodia e l’interpretazione la responsabilità ritmica.
I brani da danza più comuni sono Reels, Jigs, Hornpipes, Slides e Polkas. Generalmente consistono di due segmenti da otto battute, ogni parte è suonata due volte ripetendo la sequenza più volte prima di passare, senza soluzione di continuità, ad un nuovo pezzo.
Sono molto diffuse anche le Slow Airs (melodie lente), basate di solito sulle Sean Nos (canzoni in irlandese).

a cura di Susanna Persichilli