In mostra il violino Bergonzi di Henry Ford

01 dicembre 2010

Henry Ford, il magnate americano dell’automobile, era anche un violinista dilettante assai appassionato, tanto che, nel 1925, acquistò sei preziosi capolavori di liuteria cremonese: un Guarneri del Gesù, un Amati, tre Stradivari ed un Carlo Bergonzi.

Da giovedì 2 dicembre
, quest’ultimo sarà esposto, per almeno un anno, nelle sale del Museo Stradivariano di Cremona. La possibilità di ammirare direttamente il lavoro dell’ultimo Maestro della grande tradizione cittadina è un evento pressoché unico: solo 47 strumenti sono giunti sino a noi, appartengono in buona parte a collezioni private e non sono visibili al pubblico. Eppure Carlo Bergonzi è un liutaio estremamente importante. Probabilmente allievo di Vincenzo Rugeri, può essere considerato l’“erede” di Antonio Stradivari: dopo una lunga collaborazione, nel 1745, rilevò la bottega, gli esemplari incompleti o invenduti, le forme, i modelli, gli attrezzi oggi visibili nelle Sale del Museo Stradivariano.

Anche i suoi strumenti furono apprezzati dai maggiori solisti dell’Otto e Novecento: Krysler, Thibaud, Mischa Piastro, ma soprattutto Paganini. Il violino in mostra, realizzato tra il 1738 e il 1742, appartenne, invece, a William Ackroyd, professore della Harrow School. Oggi è conservato nella collezione dell’Henry Ford Museum a Dearborn, Michigan ed è esposto a Cremona nell’ambito del progetto “friends of Stradivari”, il network mondiale promosso dalla Fondazione Stradivari tra quanti posseggono, utilizzano o custodiscono strumenti di scuola classica cremonese, ma anche tra coloro che li studiano, li amano e vogliono sostenere lo sforzo di promozione e sviluppo della liuteria sul versante culturale.

La presentazione del violino sarà celebrata – giovedì 2 dicembre , alle 18, nella Sala San Domenico del Museo Civico di Cremona – con uno straordinario concerto di Sergej Krylov, uno dei talenti più fulgidi del panorama musicale contemporaneo e testimonial del progetto “friends of Stradivari”, che porta sui palcoscenici di tutto il mondo insieme allo Stradivari “Scotland University” 1734 affidatogli da Eva Lam.

Il programma affianca pagine di Bach, Paganini ed Ysaÿe, quasi vessilliferi della scrittura virtuosistica in epoche differenti. Bach esalta nel rigore severo della polifonia e del contrappunto la vocazione lirica dello strumento espressa nell’afflato di enunciati opalini e luminosi. Paganini suggella il laboratorio sperimentale del violinismo ottocentesco con fulgide cascate di note e colpi d’arco saettanti che superano il carattere di mero catalogo di invenzioni strumentali. Ysaÿe, infine, spesso avvalendosi di un accattivante gioco di citazioni musicali ed una dialettica ardente di contrasti, anticipa modi ed atteggiamenti che si diffonderanno in Europa mezzo secolo più tardi.

Il concerto è promosso in collaborazione con Regione Lombardia. L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti.

Claudio Rampini terrà un incontro su Sacconi a Pisogne.

13 settembre 2010

Violino di F. S. Sacconi, 1928. (prop. Bissolotti)

Come preannunciato nel nostro FORUM il prossimo 19 Settembre 2010 alle ore 9.30 (Sala del Grano, Piazzetta Puda), nel contesto della 4° Edizione del Concorso di Liuteria di Pisogne, si svolgerà un incontro dedicato a Sacconi e all’attualità della sua opera “I Segreti di Stradivari”. La sede del concorso ci è parsa ideale per un incontro del genere, come molti di voi sapranno il libro di Sacconi non viene più ristampato ormai da molti anni e l’ultimo avvenimento ufficiale che lo ha riguardato è consistita in una mostra tenutasi a Cremona nel 1995, da allora un silenzio assordante sembra essere calato sulla figura di questo nostro grande liutaio. Molti liutai, me compreso, iniziarono la loro attività a partire da “I segreti di Stradivari”, molti ancora oggi sono alla ricerca del silicato di potassio per “inossare” il legno dei loro strumenti, senza sapere che molte cose sono cambiate dal 1973 ad oggi, epoca della prima edizione del libro, e che grazie ad esso la ricerca si è evoluta in più direzioni ed oggi molti “segreti” non sono più tali. Ovviamente rimane sempre l’imperativo che nessun segreto potrà mai sostituire il talento artistico di un buon liutaio, e che comunque il vero segreto è racchiuso nelle mani, sta all’artefice usarle nel modo migliore. Ma anche il talento più grande non può niente senza una seria ricerca artistica e scientifica che lo supporti, in questo incontro vedremo quindi cosa è successo dalla pubblicazione de “I segreti di Stradivari” fino ad oggi. L’invito è esteso a tutti, mi auguro che partecipiate numerosi, perchè se Sacconi e la sua opera non devono essere dimenticati dipende soprattutto da voi.

Programma Concorso di Pisogne 2010

Claudio Rampini intervista Sergej Krilov

2 Settembre 2010
Non ho la presunzione di mettermi a fare il giornalista, ma nella mia vita ho sempre desiderato parlare con i grandi solisti, e con loro scambiare idee sulla musica, sugli strumenti, su tutto. Il cruccio principale è che nei giornali e nelle trasmissioni televisive i personaggi appaiono spesso irrigiditi da esigenze di spazio e di palinsesto. Io invece vorrei che la persona con cui interloquisco fosse libera, niente altro che due persone e tanta voglia di comunicare. Questa intervista al M° Krylov non era in alcun modo preparata, così come la mia lista di domande era piuttosto improvvisata e assolutamente non vincolante rispetto alla conversazione. Spero che i lettori del Portale del Violino, tra i quali ci sono molti studenti e musicisti professionisti, apprezzino le tante idee che sono scaturite in questo dialogo inconsueto, ma in fondo molto tipico, tra un solista e un liutaio.

 

Claudio Rampini intervista Sergej Krylov

Claudio Rampini: Maestro Krylov che strumenti suona attualmente?

Sergej Krilov: Attualmente ho lo strumento di mio padre costruito nel 1994 ed è quello che ho suonato ultimamente nei concerti a Portogruaro per la 28.Estate Musicale, Festival Internazionale di Musica di Portogruaro, diretto da Enrico Bronzi, e ho anche uno Stradivari “Scotland University” del 1734 proveniente dalla collezione Eva Lam di New York che mi è stato dato in prestito dalla Fondazione Stradivari di Cremona, grazie al progetto “Friends of Stradivari”.

CR: Questo Stradivari è uno strumento di dimensioni regolari?

SK: Direi di sì, non ho controllato millimetro per millimetro, ma direi che è di dimensioni regolari.

CR: Quindi non deve fare particolari adattamenti per suonarlo?

SK: No, no, direi proprio di no.

CR: Quanto è importante suonare uno strumento antico?

SK: Non è una domanda facile a cui rispondere in due parole, diciamo che ci sono strumenti antichi e moderni straordinari, così come vediamo strumenti antichi e moderni di poco valore dal punto di vista sonoro. Se si prende uno Stradivari ben conservato con caratteristiche sonore eccellenti credo non possa essere paragonato ad uno moderno in quanto lo Stradivari ha una storia alle spalle di 300 anni, sarebbe un po’ come paragonare un whisky di 3 anni con uno di 50, di conseguenza non si può paragonare uno strumento moderno con uno antico, senza tenere conto che un whisky o un vino invecchiato sono stati fatti con materiali pregiati unici, forse difficili da reperire in epoca moderna. In più c’è l’incognita che per un vino ed un violino prodotto oggi non sappiamo come diventerà nel futuro, quindi è molto complicato esprimere giudizi. Ma c’è un aspetto da considerare, spesso da parte dei violinisti c’è un pregiudizio nei confronti degli strumenti moderni dovuto ad una ignoranza di base riguardante gli strumenti ad arco, ignoranza anche involontaria in quanto la musica per un musicista è un fatto molto personale dipendente da gusti ed esperienze diverse. Può benissimo succedere che un violinista abbia avuto modo di ascoltare solo violini moderni che non suonavano un granché e da qui a pensare che tutti i violini moderni suonino male il passo è breve. Ma ci sono strumenti moderni straordinari che possono essere messi a paragone con quelli antichi, anche se bisogna tenere conto di un fattore molto importante: quello economico. Se si hanno a disposizione 15 milioni di euro, è ovvio che si avrà a disposizione la scelta sui migliori strumenti antichi, e su questo è difficile competere. Ma se si hanno 15.000 euro da spendere si deve per forza scegliere un buon strumento moderno, uno strumento antico per una cifra così modesta equivale all’acquisto di legna da ardere, a meno che non si sia avuta la fortuna di trovare l’impossibile ossia il famoso “violino nella soffitta”, acquistato per pochi soldi, che rivela di essere poi uno Stradivari o un Guarneri di cui non si sospettava nemmeno l’esistenza.

CR: Che corde usa?

SK: Utilizzo due tipi di corde, le Evah Pirazzi e le Larsen Tzigane. Uso le mute complete, non amo mescolare corde di diverse marche.

CR: E’ vero che i maestri russi erano soliti suonare con la prima e la seconda corda in metallo?

SK: Non saprei dire esattamente, ma so che David Oistrakh suonava corde sovietiche di buona qualità che conoscevo anch’io quando ero bambino, il RE e il SOL erano in budello, invece il LA e il MI erano in metallo.

CR: Che archi usa per i suoi concerti?

SK: Ne ho uno di François e Dominique Peccatte che ho acquistato circa 3 anni fa, poi ho un Lamy che mi piace sempre tantissimo, acquistato circa 11 anni fa.

CR: Constato con piacere che lei possiede due archi della migliore tradizione francese, io credo che gli archi francesi abbiano la capacità di sviluppare il massimo degli armonici a patto di avere il “giusto” punto di contatto. E’ corretto?

SK: A prescindere dalle differenze tra le varie scuole, l’unica cosa che mi ha veramente interessato finora è la caratteristica del suono e come l’arco è capace di entrare in contatto con le corde, invece per tutto quello che riguarda la “manualità”, ossia i colpi d’arco come il picchettato o lo staccato, è un fattore che riguarda il violinista al 99 per cento.

CR: Ritorniamo al suo Stradivari: secondo il M° Renato Zanettovich (Trio di Trieste), in una conversazione amichevole avuta con lui molti anni fa, gli Stradivari sono cavalli di razza non molto facili da padroneggiare. Invece, secondo la sua esperienza, maestro Krylov?

SK: Guardi, tutto dipende dalla percezione violinistica strumentale dei musicisti, è ovvio quindi che musicisti diversi possano avere diversi pareri sullo stesso strumento. E’ molto difficile generalizzare, ma è vero che tutti gli strumenti che producono un suono importante hanno una gamma timbrica e dinamica tale che bisogna saper cogliere, quindi io torno a porre l’attenzione sul musicista e sulla sua personalità unica e originale, non tanto sullo strumento in quanto tale.

CR: Il suo Stradivari quanta attenzione richiede per ciò che riguarda la manutenzione? deve far ricorso molto spesso al suo liutaio di fiducia?

SK: Dipende dai periodi, all’inizio andavo dal liutaio abbastanza spesso per controllare se tutto era a posto, che poi risultava sempre tutto a posto, era più una questione mia anche di abitudine. Poi man mano che il tempo passava le visite sono diventate meno frequenti, bisogna stare molto attenti a non confondere i due aspetti del suono: quello del violinista e quello dello strumento. I sensi del musicista devono essere sempre molto aperti per cogliere le sfumature e per lavorare in modo appropriato su se stessi a prescindere dal suono dello strumento, che comunque può suonare bene o male. Le impressioni che il musicista ricava dal suo strumento non sono tutta la verità, ma c’è molto altro. D’altra parte non vedo come il proprio suono possa cambiare radicalmente solo attraverso, per fare un esempio, un piccolo spostamento dell’anima. Io non faccio parte di quella categoria di persone che è ossessionata dalla messa a punto degli strumenti, non divento pazzo a far spostare l’anima in un senso o nell’altro pretentendo dallo strumento chissà cosa, anche se per il musicista è importante conoscere i fenomeni che determinano il suono, perché ciò aumenta molto la consapevolezza sulla propria musica.

CR: Torniamo un attimo alle origini: chi le ha trasmesso la passione per la musica e il violino?

SK: Sono stati i miei genitori, mia madre pianista e mio padre si è diplomato in violino al Conservatorio di Mosca nei primi anni ’70 con il massimo dei voti, egli è stata una persona molto speciale dal mio punto di vista, era un brillante violinista e al tempo stesso anche liutaio, due professioni fuse in una sola.

CR: Dove ha imparato suo padre a fare il liutaio? (stiamo parlando di Alessandro Crillovi, padre di Sergej. N.d.r.)

SK: Lui è stato uno dei primi liutai sovietici venuto a Cremona per frequentare la scuola di liuteria, nel 1971.

CR: E’ venuto da solo o con la famiglia?

SK: Da solo, io e mia madre eravamo a Mosca.

CR: Che tipo di liutaio era suo padre?

SK: Ha costruito circa 300 strumenti, inizialmente ha seguito modelli stradivariani e guarneriani, all’inizio degli anni ’90 ha elaborato una sua forma personale. Avrebbe potuto dare di più alla liuteria non fosse che è scomparso prematuramente a 50 anni 11 anni fa.

CR: Lei ha mai costruito un violino?

SK: E’ una cosa che mi piacerebbe molto fare, ma solo per mio puro gusto personale, non ho nessuna pretesa di diventare liutaio!

CR: Lo sa che più di qualche suo collega si è cimentato almeno una volta nella costruzione di uno strumento ad arco?

SK: Vivendo a Cremona ho molti amici liutai e chissà che un giorno anch’io non riesca a costruirne uno. Non mi importerebbe se lo strumento costruito da me fosse bello o brutto, ma costruirselo da solo significherebbe scendere nei particolari, avere l’opportunità di capire almeno superficialmente, com’è e com’è farlo sarebbe molto bello ed importante. Ma ci vogliono un sacco di conoscenze e bisogna avere un insegnante molto capace che ti ospiti nel suo laboratorio, almeno inizialmente. Sono sicuro che verrebbe fuori una schifezza!

CR: Chi può dirlo? io credo che per un musicista il costruire un proprio strumento sarebbe come andare alla sorgente del suono.

SK: Credo di sì, sarebbe molto divertente, ma sarebbe anche un divertimento con un aspetto educativo. Un’altra idea interessante, avendo fatto più volte parte di giurie di concorsi di liuteria, è quella di avere l’opportunità di vedere e suonare molti strumenti. Dopo aver suonato più di 100 strumenti in un concorso non solo si impara a valutarne il suono, ma si impara anche a guardarli in modo diverso.

CR: A proposito di concorsi, sono sempre stato molto perplesso di fronte al fatto che una giuria di musicisti sia costretta a giudicare in poco tempo un grande numero di strumenti. Anche ad essere un grande musicista come lo è lei, credo che non ci sia proprio lo spazio fisico per una giudizio sereno.

SK: E’ molto difficile, infatti, per questo la giurie di cui ho fatto parte erano composte da più musicisti che lavorano con grande attenzione. Certamente bisogna anche esserne capaci, perché, torno a dire, è molto difficile e le giurie possono anche sbagliare perché composte da esseri umani. Per quello che riguarda gli eventi a cui io ho partecipato, è successo di aver premiato il suono di due violini piuttosto diversi nello stile costruttivo, e poi abbiamo scoperto essere dello stesso autore, da questo posso dire che il suono ha una sua impronta piuttosto ben definita che non può sfuggire al musicista ben preparato. E poi c’è considerare anche che le giurie hanno un dibattito interno che le vede spesso divise nel giudizio sugli strumenti, così come nella durata del concorso, si possano mutare le proprie opinioni, come si può intuire, il funzionamento di una giuria di 10 persone non segue regole matematiche.

CR: Abbiamo parlato degli strumenti, ma ora andiamo più nello specifico della musica, nel suo modo di suonare io avverto un duplice aspetto che si traduce in una grande dinamica di suono. Il suo non sembra un virtuosismo fine se stesso, lei pare essere capace anche di una grande cavata e cantabilità. In poche parole lei non sacrifica la musica sull’altare del virtuosismo, cercando di ammaliare il pubblico con grandi acrobazie ed effetti speciali. Le faccio un esempio riferendomi ad un grande del passato: Jasha Heifetz. La sua “Zingaresca” di De Sarasate è strabiliante, precisa e veloce come un treno, ma ascoltando lo stesso pezzo eseguito da lei, Maestro Krylov, si scopre anche una dimensione per me abbastanza inedita di cantabilità.

SK: Io la ringrazio, solo che lei mi sta paragonando ad uno dei violinisti più grande della storia: Jasha Heifetz. Come se, per modo di dire, io paragonassi lei che è un liutaio, ad Antonio Stradivari! Eppure per la “Zingaresca” il modello di Heifetz, è quello che io ho seguito di più perché ritengo che egli abbia espresso il massimo possibile su questo brano. Se poi lei aggiunge che in più ha trovato nella mia esecuzione un aspetto di cantabilità, non posso che esserne compiaciuto, ma forse è un complimento fin troppo esagerato nei miei confronti.

CR: Guardi, dopo anni di assedio da parte di giovani musicisti asiatici che suonano perfettamente tutto, ma che al tempo stesso fanno apparire banali i brani di repertorio più difficili, non trovo esagerata l’ammirazione per un esecutore che è capace di restituire alla musica un aspetto della sua umanità. Ma anche le esecuzioni da parte dei musicisti occidentali dell’ultima generazione, sembrano eseguire tutto con una brillantezza cristallina, talmente perfetta da sembrare finta, meccanica.

SK: Oggigiorno, la qualità puramente strumentale ed esecutiva della musica non è cosa da poco, ma bisogna che il quadro sia completo. Sicuramente mi fa molto piacere che lei e il pubblico riconoscano un aspetto di completezza nella musica che suono, è uno dei compiti più difficili rendere musicali anche la parti virtuosistiche. E’ uno dei complimenti più belli che si possano fare ad un musicista, in realtà noi suoniamo per la musica e non per la tecnica strumentale, di conseguenza intorno a tutto questo c’è un film, un’immagine, c’è un qualcosa che senza ombra di dubbio ha a che fare con l’immaginazione dell’ascoltatore, non solo dell’interprete e del compositore che ha voluto “sollevare l’immaginario attraverso i suoni”, di conseguenza, per me esecutore, la musica è sollevare l’immaginario, una riscoperta di immagini durante l’ascolto. Questa è una delle cose più difficili e complicate, se sono riuscito in questo anche in minima parte, per me è già un grande motivo di felicità.

CR: Cosa c’è di russo e di italiano nel suo modo di suonare?

SK: C’è moltissimo di tutte e due le scuole, diciamo che io mi considero un musicista russo, con una formazione sovietica e anche europea, grazie all’abbattimento delle frontiere di questi ultimi anni. Musicalmente devo moltissimo al M° Accardo, con cui ho studiato 7 anni, ma prima ho frequentato il Conservatorio di Mosca, una delle scuole violinistiche migliori del mondo e tra le più severe, dopo tanti anni di studio finisci con lo scoprire che il migliore maestro è quello che giorno dopo giorno ti consente di scoprire te stesso e la tua arte. La vera arte inizia nel momento in cui la tecnica scompare, l’arte non è che un pensiero che ha a che vedere con la sezione aurea dei pitagorici, una sorta di perfezione geometrica a cui bisogna arrivare per poi abbandonare, mantenendo le forme che sono state concepite non da noi umani, ma qualcuno più grande di noi. Noi siamo cacciatori della perfezione, la perfezione della bellezza, cacciatori della bellezza. Questo, in due minuti di discorsetto è più o meno il nostro scopo di vita.

CR: Quali sono i suoi compositori preferiti?

SK: E’ una domanda che mi viene rivolta spesso, io non ho compositori preferiti, amo tutta la bella musica e mi è difficile confrontare Beethoven o Bach con la musica di Shostakovich, questo mi è difficile perché ogni compositore appartiene alla propria epoca ed è portatore di emozioni e valori tipici dell’epoca in cui vive. In ogni caso devo eseguire il brano nel migliore dei modi cercando di capire il messaggio che il compositore ha voluto lasciare in tutti i generi di musica, perché paragonare, ad esempio, l’impressionismo francese con la musica di Paganini? entrambe sono forme di pensiero straordinarie e danno sensazioni uniche, perciò è difficile esprimere preferenze.

CR: Allora cambio domanda: cosa pensa del concerto per violino di Beethoven?

SK: Guardi, quello di Beethoven è il concerto per violino forse più bello e più difficile, per me è il concerto per violino per eccellenza, il fondamento di tutto, che racchiude in sè tutta la vita di un uomo.

CR: Quale cadenza preferisce per il concerto per violino di Beethoven?

SK: Guardi, questa è un’altra bella domanda. La cadenza che eseguo l’ho scritta io.

CR: Si è forse ispirato a Kreisler?

SK: No, la mia cadenza in realtà non si è ispirata a nessuno, anzi, l’ho scritta così, anche abbastanza breve perché non voglio disturbare Beethoven.

CR: A cosa pensa quando suona?

SK: Non faccio altro che tentare di portare a termine una mia missione, quella che mi ha portato ad essere presente sul palcoscenico del teatro in cui sto suonando. Questo è già sufficiente a consumare tutti i miei pensieri.

CR: Lei ha mai avuto paura del pubblico?

SK: Ho paura di dirlo, fino a ieri mai.

CR: Sa perché le ho fatto questa domanda? perché in vita mia ho conosciuto moltissimi bravi musicisti. Una buona metà di loro però si sono visti la carriera rovinata a causa della paura del palcoscenico. Il problema è che mi è sembrato spesso che non ne fossero molto consapevoli, al punto da non ammetterlo nemmeno a se stessi.

SK: A mio parere dipende molto da quando si è iniziato a suonare. La prima volta che sono salito su un palcoscenico avevo sei anni, da quel momento non so quanti concerti sono riuscito a suonare fino a ieri. Non parliamo del domani perché non si sa mai cosa può succedere, ma comunque fino a ieri è andato sempre tutto bene. Penso che il pubblico debba essere considerato come tale, una parte del “sistema”, senza il pubblico tutto questo non avrebbe senso. Il pubblico è il punto finale del nostro lavoro, esso rappresenta un grosso stimolo a far sì di suonare il meglio che si può. Se si ha davanti un pubblico esigente ed attento a tutto ciò che si suona, questo non può che essere positivo e che non fa altro che caricare le mie batterie interiori.

CR: Lei ha mai sbagliato durante un concerto?

SK: Ovviamente sì, chi non ha mai sbagliato in vita sua?

CR: Io però vorrei proprio sapere cosa succede quando capita di prendere una nota piuttosto che un’altra.

SK: Non siamo mica delle macchine, è normale, può succedere. Ovviamente meno si sbaglia, meglio è. E poi ci sono errori di varia natura che possono essere piccoli o grandi, in questi ultimi anni mi pare di non averne commessi di così grossi.

CR: Ho rivisto recentemente un video in cui lei suonava con Bruno Canino: grande pianista, grande accompagnatore, non trova?

SK: Definire Canino un “accompagnatore” è assolutamente riduttivo, è sopratutto un grandissimo musicista che ha suonato insieme ai più grandi musicisti della musica contemporanea. Egli stesso è considerato unanimemente un grande musicista.

CR: Anni fa lo vidi esibirsi insieme a Rocco Filippini e Mariana Sirbu nell’ensemble “Trio di Milano”, l’impressione che mi dette allora fu di grande fiducia e naturalezza.

SK: sicuramente un grande protagonista.

CR: Maestro Krylov, quante ore al giorno riserva allo studio?

SK: Non so esattamente quante ore, dipende molto dai programmi, in genere vado dalle 3-4 ore che in alcuni casi possono diventare anche 6-8 ore giornaliere.

CR: Lei è uno di quei violinisti che studia fino all’ultimo minuto prima di salire sul palcoscenico?

SK: Direi di no, sono molto tranquillo e a meno di non avere programmi pazzeschi da eseguire, cerco di essere il più fresco possibile il giorno del concerto, cerco di riposare bene e al limite di suonare un pochino.

CR: Cosa pensa dei Conservatori italiani?

SK: I Conservatori italiani possono migliorare molto, comunque stanno facendo un buon lavoro.

CR: Cosa consiglia ai giovani musicisti?

SK: Molto semplice: appena alzati, dopo aver fatto colazione ed essersi lavati i denti, sanno che li aspetta il loro strumento musicale. Finito il tempo da dedicare alla musica, poi possono dedicarsi ad altre cose.

CR: Cosa mi dice di Bashmet?

SK: Un musicista straordinario con cui ho avuto occasione di suonare più volte, è sempre una grandissima esperienza musicale suonare con lui. Abbiamo alcuni progetti da realizzare insieme nel prossimo futuro.

CR: Si può sapere qualcosa di più a questo proposito?

SK: Sono concerti in varie città dove suoneremo insieme e dove lui avrà anche la funzione di direttore.

CR: Suonerete anche la Sinfonia Concertante di Mozart?

SK: L’abbiamo già suonata insieme e la suoneremo ancora nel futuro.

CR: Nel 2009 lei è stato nominato direttore dell’Orchestra da camera Lituana. Nel suo futuro c’è il progetto di abbandonare il violino a favore della direzione?

SK: Questo assolutamente no, quella della direzione e il violino, sono due attività che vanno di pari passo e devo dire che sono stato molto fortunato ad essere stato chiamato a dirigere questa orchestra, ma tenga presente che oltre a dirigere io suono quasi sempre con loro.

CR: Nel suo modo di suonare traspare sempre grande passione, virtuosismo non disgiunto da un buon grado modestia, si riconosce in queste impressioni?

SK: Fortunatamente ho avuto vicino grandi personalità come Rostropovich, ma anche Bashmet stesso, che a me sono apparse come persone estremamente semplici, socievoli e pratiche. Esattamente il contrario di persone piene di sè. Se uno non sapesse chi era Rostropovich, conoscendolo anche nel privato, basterebbe dire che era una persona assolutamente “normale”, una normalità fatta di simpatia, apertura mentale e grande trasparenza. Questa è stata la mia impressione, la semplicità dei grandi, no? Ho sempre avuto ben presente che queste persone che ho conosciuto nel lavoro fossero severe e che pretendevano moltissimo per tutto ciò che riguardava la ricerca artistica, ma nel privato e in generale erano persone semplici come tutti i grandi personaggi dovrebbero essere.

CR: Caro M° Krylov questa era l’ultima domanda, abbiamo finito. La ringrazio di cuore per il tempo che ha dedicato a questa intervista e spero di tornare presto a sentire lei e il suo violino. Finita questa chiacchierata cosa farà?

SK: Continuerò a studiare il Concerto per Violino n° 2 che suonerò il prossimo 25 Settembre a Budapest.

CR: Buon lavoro, Maestro!

L’autenticità degli strumenti ad arco

07 settembre 2010
Non si sa bene il periodo storico in cui si è iniziato a falsificare i violini e gli altri strumenti della famiglia degli archi, ma è sicuro che già durante il 1600 c’è stato qualcuno che tentava di far passare come Amati strumenti che non avevano niente a che fare con Amati stesso. Ai tempi di Galileo i violini di Nicola Amati erano valutati da due a tre volte di più rispetto agli strumenti prodotti da altri autori, falsificare un violino non è come falsificare un quadro, chiunque può costruire un violino, chiunque può stampare un’etichetta e apporvi un’etichetta di comodo: l’importante è chiudere la cassa e un occhio. Ma non è così facile, costruire un buon violino richiede esperienza ed applicazione di decenni, ogni strumento parla per il suo autore, basta saperlo.

 

Il paradosso è che molti falsi d’epoca sono stati a loro volta molto rivalutati, così che oggi vediamo strumenti che rappresentano il falso, di un falso, di un altro falso, ossia il concetto di un falso elevato a potenza il cui esponente non si può calcolare in modo preciso. Prendete una fila di venti persone, la prima sussurri nell’orecchio della seconda una parola di qualsiasi significato come “carota”, la seconda sussurri nell’orecchio della terza e così via fino all’ultimo della fila, con buon margine di sicurezza vedremo che quella semplice parola e il suo significato verranno completamente stravolti in “carriola”, “scatola”, “agricola”, “scoiattolo” e in chissà quale altro fantasioso termine.

Perché la mente umana registra tutto, ma ciascuno di noi lo fa a modo suo e il significato dei contenuti degrada passando di mano in mano o semplicemente si evolve come nel caso delle tradizioni culturali. Così come è avvenuto e ancora avviene per la toponomastica: il fiume Po non è altro che la contrazione avvenuta nei secoli di “Padum”, oppure “Capitolium” che si espande e diventa “Campidoglio”.

I fenomeni che riguardano l’evoluzione della lingua riguardano molto da vicino anche la liuteria ed è interessante constatare come nel tempo gli stili e le pratiche costruttive siano cambiate prendendo spunto da un originale che spesso si è solo immaginato, visto che non tutti i liutai del passato hanno avuto come oggi la possibilità di esaminare strumenti originali e i documenti che li riguardano. Avviene quindi che l’immaginazione riempia un vuoto di informazione, o se questa è presente, semplicemente non la si sa interpretare e si inventa al momento, secondo le circostanze, la natura e la cultura degli individui.

In liuteria, ma anche in altri campi artistici, constatiamo che l’evoluzione naturale dello stile è accompagnata spesso dalla volontà dolosa di “creare” ulteriori copie più o meno conformi agli originali in modo tale che se ne possano trarre cospicui guadagni con poca fatica. Spesso non c’è nemmeno bisogno di creare una copia, ma si prendono strumenti antichi di autori cosiddetti “minori” che vengono automaticamente promossi al rango di “originali” con stratagemmi più o meno elaborati (cambio di etichette, sostituzione ed integrazione di parti degli strumenti, ecc. ecc.).

E’ interessante notare che questi fenomeni riguardino non solo gli strumenti antichi, ma anche quelli moderni e contemporanei, quantificare l’entità del fenomeno è praticamente impossibile perché non c’è nessun controllo ufficiale sul commercio degli strumenti e l’acquirente si trova quasi sempre a dover contare sulla autorevolezza di un certificato o sulla parola di un esperto di indubbia fama o supposto tale. Perché, bisogna saperlo, in liuteria non vale la regola ormai acquisita in altri campi dell’arte, che un’opera debba essere accompagnata da una documentazione di valore scientifico (analisi, radiografie, documentazione di restauri e simili) e storico, ma è sufficiente il parere di un esperto, un foglio di carta intestata, alcune fotografie ed una firma. Questo è quanto.

Che io ricordi, l’opera che qui presento “L’autenticità degli strumenti ad arco” è la prima che tratti l’argomento in modo mirato e specifico, questo non per confutare le decine di migliaia di certificazioni di strumenti, bensì per offrire al musicista e più in generale ad acquirenti e commercianti, una panoramica esauriente su tutti gli aspetti della problematica.

Roberto Calvo, violinista e professore di Diritto Civile dell’Università di Torino, assieme ai colleghi Alessandro Ciatti, Matteo M. Francisetti Brolin e al violinista Marco G. Chiavazza, violinista ed esperto di liuteria, si sono assunti l’oneroso compito di trattare la materia riguardante l’autenticità degli strumenti da un punto di vista prettamente giuridico e liutario. La compravendita di uno strumento e/o la sua certificazione sono a tutti gli effetti atti legali regolati da una serie complessa di norme, il difficile è interpretarle ed applicarle correttamente ad ogni caso specifico.

Ma un giudice o un avvocato non sono esperti di liuteria e debbono avvalersi a loro volta di periti, anch’essi regolarmente certificati e documentati, ma è come una goccia nel mare, ho spesso assistito a cause legali che riguardavano strumenti ad arco prolungarsi per molti anni, senza peraltro addivenire ad una conclusione certa che mettesse chiarezza nella disputa. Nella parte che gli compete, Roberto Calvo riduce la visione del problema in parti elementari ben riconoscibili, tracciando quei principi di diritto che sono alla base di ogni transazione, una utile traduzione per consumatori, avvocati e magistrati, che riportano le questioni squisitamente specialistiche su un sano terreno di legalità, senza privilegiare nessuna delle parti in gioco.

Qui non si criminalizza l’attività del venditore o del commerciante di strumenti, così come non si vuole indurre ad un’osservazione paranoide il potenziale acquirente, ma si forniscono dati importanti in grado di evitare possibili malintesi e dispendiose controversie. Marco Chiavazza in questo senso ci fa capire che nessun tribunale può arrivare a giustizia e verità senza il presupposto di prove documentali ed evidenze scientifiche che oggettivino le osservazioni degli esperti. Ogni strumento antico cela una storia complessa che si può articolare in percorsi di attribuzione inimmaginabili e al limite del paradossale, Chiavazza nel libro ce ne dà un saggio pubblicando fotografie e disegni che riguardano etichette, marchi, timbri, iscrizioni ed ogni sorta di caratteristica identificativa che potrebbe, anzi, dovrebbe essere inserita nella documentazione che accompagna gli strumenti.

La storia intima che si cela dietro ogni violino rimane spesso un mistero per il comune mortale, ricordo che il liutaio Simone F. Sacconi è stato uno dei pochi, forse l’unico, che abbia racchiuso in poderosi volumi tutti gli interventi di restauro da lui eseguiti nelle botteghe di Herrmann e Wurlitzer a New York, questi volumi alla morte di Sacconi sono poi passati alla J&A Beare di Londra, che io sappia nessun altro ha mai potuto prenderne visione, nè tantomeno sono stati oggetto di pubblicazione anche parziale.

Ovviamente dobbiamo ringraziare chi come Beare e Hill si è prodigato con ogni mezzo per far sì che la voce degli strumenti antichi si tramandasse per le generazioni future, oggi i grandi strumenti classici sono ben documentati e studiati, ma esistono ancora oggi troppe incertezze e la fiducia sulla parola non basta. Molti strumenti antichi vengono ancora oggi modificati in modo più o meno pesante, senza che gli interventi siano documentati, paradossalmente ciò non avviene solo per ignoranza, dolo o malafede del restauratore di turno, ma spesso è semplicemente la volontà di un musicista, proprietario dello strumento, a desiderare l’intervento per più o meno giustificate esigenze di sonorità o suonabilità.

Eppure è ben risaputo che anche il documentare negli anni interventi non invasivi come la semplice sostituzione di un’anima, un ponticello o i piroli, siano di fondamentale importanza nella tracciabilità di uno strumento, ma a differenza dei quadri, i violini, le viole e i violoncelli sono oggetti d’uso quotidiano suscettibili ogni giorno di un cambiamento più o meno visibile, a maggior ragione potenziali soggetti di indagine e di “distrazione” al tempo stesso. E’ più facile notare una nuova screpolatura, magari minutissima, in una tavola d’altare dentro una chiesa da 500 anni, piuttosto che lo stravolgimento delle bombature di un violino, magari appartenente ad un professionista quotidianamente impegnato in viaggi e concerti in tutto il mondo, dovuto ad una non corretta conservazione dello strumento.

Credo, o perlomeno auspico, che dalla pubblicazione di questo libro si possa dire che “niente più sarà come prima”, è comunque certo che gli Autori abbiano fatto il possibile per mettere nero su bianco norme e comportamenti attorno agli strumenti ad arco aprendo la strada al dialogo e all’informazione.

L’autenticità degli strumenti ad Arco
Autori: Roberto Calvo, Marco G. Chiavazza, Alessandro Ciatti, Matteo M. Francisetti Brolin.
G. Giappichelli Editore – Torino
Prezzo: € 55,00