Stradivari a Madrid – Carlo Vettori

10 dicembre 2010
Carlo Vettori è un liutaio e scrive libri di liuteria. Non solo, scrive anche romanzi, a quel che so io “Stradivari a Madrid” è la sua unica opera di questo tipo. Ho provato a chiedergli cosa lo abbia ispirato, ma non ho ottenuto risposta. I liutai sono rinomati per i loro silenzi, non raccontano mai bugie, è sufficiente stare zitti e non pronunciarsi. Mai come nel caso di un liutaio, il silenzio può valere più di un fiume di parole.
Conosco il Maestro Vettori da molti anni, stimo il suo operato e il suo carattere a volte schivo e un po’ burbero, capace di straordinari slanci di generosità, non avevo nessuna idea di ciò che avrebbe partorito la sua fantasia con questo libro dalla bella copertina celestino chiaro dove campeggia una sua pregevole copia di un violino intarsiato di Stradivari, il “Greffhule” presumo. Sullo sfondo un disegno che raffigura una scena descritta nel libro, ossia l’amoreggiamento di Isabel e Mariano Ortega alle spese del violinista Julio, intento a provare lo Stradivari “Vesuvius”.

 

L’opera consta di circa 240 pagine, è divisa in molti capitoli piuttosto brevi e di agile lettura, è corredata dai disegni a sanguigna di Susan Chalkley e dalle fotografie di molti strumenti e liutai che vi sono citati. Incuriosito, inizio la lettura e vengo subito introdotto nel Palazzo Reale di Madrid, nelle cui sontuose stanze vengono descritte in un minuzioso affresco le opere di tanti artisti di tutte le epoche.

Questo mi ha ricordato che le corti europee nel passato furono impegnate in un intenso mecenatismo che ha prodotto capolavori assoluti dell’arte, e cosa importante, Vettori non trascura di illustrare la mobilia, su cui si sono espresse le mani sapienti di ebanisti ed intagliatori, molti di origine italiana. Perchè la liuteria, è bene saperlo, è sorella di tutte le arti e racchiude in sé i segreti della pittura, della scultura e dell’intaglio del legno, che a loro volta affondano le loro radici nella classicità greca e romana.

Ad un certo punto ho dovuto interrompere la lettura, perchè mi sono reso conto che questo non è un romanzo come tutti gli altri, in cui lo scrittore padrone di una trama e del suo sviluppo, ha l’obbligo di documentarsi per rendere credibili gli ambienti in cui si svolgono le vicende. Osservazione fin troppo scontata, Vettori è un liutaio che ama l’arte, questa è materia di cui si è occupato per tutta la vita, nel suo libro è l’ambiente che prende il sopravvento sui personaggi; quasi subito sono stato preso dai sintomi della Sindrome di Stendhal, ossia quella specie di smarrimento che conduce al mancamento dei sensi per troppi stimoli visivi, a cui si aggiungono i suoni degli strumenti ad arco. Sono quindi arrivato alla conclusione che a prescindere dalle vicende umane dei protagonisti, questo libro sarebbe già degno di essere adottato come libro di testo destinato agli studenti di storia dell’arte e dei conservatori.

Ma la cosa per me interessante è che “Stradivari a Madrid” mostra tutte le caratteristiche di quei libri che si scrivevano nelle epoche passate, dove in barba agli stili e alle tendenze, l’Autore è padrone di fare quello che vuole e di lasciare correre la fantasia a seconda dell’estro del momento. Con il rispetto e le differenze del caso ho ripensato all’autobiografia di Benvenuto Cellini, ma ancora di più a “Storia della mia vita” di Alonso De Contreras (Madrid, 6 gennaio 1582 – 1641), guerriero ed assassino antiletterario, finalmente questo personaggio ha ripreso vita nella mia mente e collocandolo negli ambienti descritti da Vettori, l’ho rivisto afflitto e stanco seduto su una sedia, mentre una donna con affetto e misericordia gli lava i piedi con del vino rosso.

“Stradivari a Madrid” scorre via allo stesso modo, senza timori riverenziali e senza incertezze, descrivendo le vicende della storia spagnola e italiana degli anni ’30 del 1900, ma come ho già detto qui la Storia è solo uno sfondo colorato entro cui vivono e rivivono molti protagonisti. Per niente impigliato nelle maglie del vero e del verosimile di manzoniana memoria, Vettori ci accompagna per gran parte della cultura materiale ed artistica che ha contraddistinto il secolo scorso e con il quartetto “Isaac” andiamo a Genova e vediamo ritornare in vita il Grand Hotel Miramare, per lunghi interminabili decenni ridotto come un teschio dalle orbite vuote, e poi incontriamo Cesare ed Oreste Candi e il mitico “Cannone” di Paganini.

E poi ancora a Firenze tornano i nomi di De Zorzi, Ferroni, Bisiach, Casini e tanti altri liutai che hanno fatto grande la liuteria del 1900, tutti rigorosamente accompagnati da molti dei pregiati strumenti che Vettori stesso possiede nella sua bella collezione. A parte ripercorrere le vicende storiche della Guerra Civile Spagnola e del Fascismo di Mussolini, la complessità psicologica dei personaggi è ridotta all’osso e così è dato per scontato come possa suonare uno Stradivari, e par di non capire bene perchè un musicista preferisca più il suono di un De Zorzi piuttosto che di uno strumento costruito da un suo allievo, ma alla fine ti rendi conto che le cose ti rimangono dentro perchè niente e nessuno può descriverti la realtà degli armonici di uno strumento ad arco, fuorchè l’intuito e la sensazione per niente fugace che almeno una volta nella vita si è avuto occasione di ascoltare suoni e parole all’apparenza inafferrabili che tuttavia ti rimangono dentro.

Questa per me è la migliore lezione che un liutaio possa dare, anche suo malgrado, perchè il suono è dentro di lui e da questo non prescinde. “Stradivari a Madrid” si legge bene e i concetti espressi non sono mai di difficile comprensione, così come quando Vettori ci accompagna per mano e descrive com’è fatto un violino e le parti che lo compongono, nondimeno direi che questa sia un’opera di facile e scontata lettura, a motivo della sua straordinaria densità e della ricchezza dell’esperienza di una vita dedicata con passione alla liuteria.