3 novembre 2007
La vita di Giuseppe Rocca, liutaio, è penetrata nei legni dei suoi strumenti e vi ha infuso uno spirito inconfondibile. I luoghi, le passioni, i volti e gli umori che sono scorsi in un’esistenza movimentata e drammatica hanno guidato in diversi modi le sgorbie e le lime. Sono nati così alcuni fra i migliori strumenti dell’Ottocento italiano, discussi e discutibili come tutto ciò che rivela un forte carattere, tuttavia sempre più apprezzati e ricercati.
Due furono i modelli ispiratori di Rocca: il primo, lo stile di Giovanni Francesco Prassenda, il celebre maestro di cui fu allievo e collaboratore; il secondo, quello della liuteria classica italiana, di Guarneri e Stradivari, dei quali egli riprese i progetti e le caratteristiche costruttive, realizzando strumenti precisi e accurati, pur senza rinunciare all’equilibrata inventiva personale. Infatti, nelle sue copie dei capolavori cremonesi, si impongono immediatamente alla vista elementi autonomi, tra i quali un certo appiattimento del bordo, piuttosto spigoloso, simile a quello che si ritrova in analoghi lavori della scuola francese. A questo proposito, è interessante osservare che le interpretazioni del modello Stradivari da parte dei liutai d’Oltralpe, sebbene nate in un periodo più tardo, ripropongono tale soluzione che Rocca aveva anticipato: questo dato, insieme ai risultati che al confronto appaiono ben più variegati e interessanti, dà ulteriore misura delle doti del liutaio piemontese. In tutta la sua produzione, pur se con una certa disomogeneità dovuta a drammi personali, problemi di salute e a mutazioni della condizione economica, la qualità tecnica e artistica è sempre alta. Soprattutto, i suoi strumenti posseggono un’ottima e affascinante sonorità, tale da renderli oggigiorno sempre più ricercati ed apprezzati, considerati a buon titolo tra i migliori dell’Ottocento italiano.