Il solfeggio “vivo”

10 febbraio 2007

Carlo Delfrati
“Il pensiero musicale; corso di teoria e lettura per la formazione musicale di base”
Edizioni Curci/Principato
www.edizionicurci.it

“La formazione teorica va di pari passo con attività pratiche, creative e analitiche”: questo il pensiero di Carlo Delfrati, massimo esponente della didattica della musica da oltre quarant’anni, e della sua concezione innovativa dell’insegnamento del solfeggio.
di Susanna Persichilli

“Il pensiero musicale”
volume I, pagine 320+16, con 2 CD
volume II, pagine 220, con 1 CD
volume III in preparazione

Il primo volume dell’opera si apre con le prime battute della “Sonata” KV279 per pianoforte di Mozart e con queste parole: “A chi non conosce la scrittura musicale, tutti quei segni appaiono misteriosi e complicati. Proprio come succede a un bambino piccolo quando osserva una pagina scritta con i segni dell’alfabeto. Ma è bastato un briciolo di pazienza e dedizione e a poco a poco ogni bambino, ognuno di noi, è arrivato a decifrare l’alfabeto, e a leggere con facilità qualunque scritto. La stessa cosa avviene con i segni musicali…”
“Il pensiero musicale” è un’opera in tre volumi che affronta la teoria musicale e gli elementi della notazione, dai più semplici ai più complessi, in modo innovativo, creativo e tenendo sempre presente l’indissolubile legame tra teoria e pratica, tra solfeggio e fare musica. Ai volumi sono allegati CD con esempi, esercizi audiopercettivi, dettati e brani musicali tratti dal repertorio classico e popolare.
La didattica della musica, di cui Carlo Delfrati rappresenta il massimo esponente italiano, si occupa di uno studio dell’insegnamento della musica che vede unite teoria e pratica, La musica si impara prima ascoltando e poi imparando i segni, prima suonando e poi leggendo le note. Così come il bambino è immerso nel linguaggio verbale, lo sperimenta per poi imparare a parlare e infine a leggere e a scrivere, allo stesso modo chi si avvicina alla musica deve essere messo di fronte al suono e al ritmo, deve imparare ad ascoltare e a stimolare il suo udito, per poi capire a quali segni, sulla carta, corrisponde tutto questo.
I volumi partono da una base teorica, fatta di segni e di spiegazioni, muovendosi poi verso esercizi pratici, utili e creativi: esempi musicali, esercizi di scrittura e soprattutto percettivi, che hanno lo scopo di sviluppare l’attenzione all’ascolto, troppo spesso dimenticata nell’insegnamento musicale incentrato sulla scrittura sul pentagramma.
I volumi sono indicati per i corsi di teoria e di solfeggio, per la scuola secondaria di primo grado a indirizzo musicale, licei musicali, laboratori e per lo studio privato.
Riporto un estratto da un’intervista a Carlo Delfrati in occasione del Campus Musicale “Mare Musica” di Fermo che si è svolto in agosto del 2006: “In Italia c’è stato un progressivo emarginare la percezione uditiva. Tanto è vero che il termine “orecchiante” è connotato spesso in modo negativo. Quello di cui c’è bisogno durante gli studi musicali, dalla scuola materna ai corsi superiori di composizione, è un addestramento dell’orecchio. … Gli studi che puntano all’apprendimento della teoria musicale da noi sono viziati da una sorta di rigo dipendenza; si parte, si comincia e si esaurisce un’esperienza nel confronto con il pentagramma. La padronanza della notazione e della teoria sono obiettivi fondamentali e importantissimi ma metterli all’inizio del percorso è come mettere il carro davanti ai buoi; l’insegnamento tradizionale parte dal segno e lo fa mettere in pratica, l’insegnamento che ci viene dai vecchi maestri (quindi tutto il diciottesimo secolo), invece, era quello di mettere prima la pratica della notazione, che voleva dire iniziare a suonare guardando e ascoltando il maestro, non guardando un pezzo di carta. La conseguenza è che se a qualsiasi strumentista togli lo spartito non sa più cosa suonare, a meno che non l’abbia imparato a memoria.”

di Susanna Persichilli

Il meglio di Maxim Vengerov.

04 febbraio 2007

Ho ricevuto qualche giorno fa un prezioso cofanetto della Warner Classics contenente undici CD per un totale di 673,34 minuti di musica, che fanno qualcosa come più di undici ore di ascolto praticamente ininterrotto. Ed io me li sono ascoltati tutti nell’arco di due giorni: ho sempre pensato che ascoltare la musica suonata da un grande violinista mentre si è “all’opra intenti” nella costruzione di un violino portasse bene.

Ma la mia non è scaramanzia, bensì la necessità di imprimere bene nella mente e nel cuore che un violino “deve” suonare in un “quel modo”. Certo, non ho la pretesa di eguagliare il suono mitico dello Stradivari di Vengerov, il Kreutzer 1727, ma l’esempio c’è e rimane. Vengerov ho avuto occasione di poterlo vedere suonare dal vivo nei teatri di Firenze e ogni volta è stata una esperienza gioiosa, perché la musica di Vengerov, pur nel rigore, ha una grande anima.

Se pensiamo allo sconfinato repertorio della letteratura violinistica che un professionista deve saper padroneggiare, eseguendo centinaia di concerti dal vivo ogni anno, si comincia a capire che il talento musicale di un simile artista abbia in sé qualcosa di non comune. “Io sono così felice, Io sono un musicista, non un politico.” Questo ha detto Vengerov nel giorno in cui i razzi di Hezbollah piovevano attorno ad una piccola città nella zona settentrionale di Israele, dove il violinista ha la sua casa.

Portavoce della musica per conto dell’UNICEF, Vengerov descrive se stesso come “uno zingaro con il passaporto delle Nazioni Unite”, suonando per l’infanzia abbandonata dall’Uganda ad Harlem. Questo non è solo talento musicale, ma è anche coraggio, e coraggio vuol dire Cuore. Avendolo udito suonare con allegria il “Carnevale di Venezia” di Paganini e vedendo al tempo stesso le espressioni buffe del suo viso, non mi aspettavo davvero che Vengerov fosse così profondamente impegnato anche nel sociale. Quel che colpisce del suono di Vengerov è la straordinaria capacità di toccarti il cuore, anche da ciò si capisce che un artista una volta imparata la tecnica lo attende il compito più difficile: diventare un uomo.

Nella musica di Vengerov, pur nella grande diversità del repertorio, da Mozart a Shostakovic, si avverte un’attenzione costante, implacabile, che assedia la nostra attenzione fino a che l’eco dell’ultima nota si sia spenta. In questo senso l’ascolto si presenta impegnativo, coinvolgente, raramente l’ascolto di un disco di musica classica può essere definito come “un’esperienza” come in questo caso. Per arrivare a ciò bisogna non solo che il musicista abbia la capacità di assumere ogni volta uno “stato di grazia” espressiva, ma che i mezzi tecnici che hanno il compito di farci arrivare il suo suono, siano al massimo della qualità.

Ma anche qui non basta avere mezzi fantascientifici e costosissimi, è necessario che tutto l’apparato tecnico sia perfettamente sotto controllo per far sì che quel “Cuore”, l’anima del suono, ci arrivi il più possibile intatta. Possedendo molte registrazioni dei miei musicisti preferiti, spesso devo fare uno sforzo d’interpretazione su ciò che ascolto, semplicemente perché la voce del violino (ma anche della viola o del violoncello, a seconda del solista), viene percepita come troppo in primo piano, e noi sappiamo che un violino è molto differente dalle trombe del giudizio, il suono di uno strumento ad arco anche nei passaggi di forza più impegnativi esprime un’aggressività concettuale, mai superficialmente emotiva o di forma.

E poi c’è la questione del timbro, mai risolta fino in fondo, al punto che ancora oggi rimpiango i miei dischi in vinile per la morbidezza del loro suono. Troppo spesso, infatti, si ha occasione di ascoltare un violino la cui voce è innaturalmente cristallina, senza più traccia di quel colore lasciato dagli armonici. Negli anni le cose sono migliorate, ma non credo che questo sia dovuto solo al miglioramento dei mezzi tecnici, piuttosto sembra che la coscienza degli ingegneri del suono stia cominciando a lavorare in sincrono con quella dei solisti.

Ed è per questo che ascoltando questi undici CD rimango come rapito, irresistibilmente attratto dalla morbidezza del suono di Vengerov: dalla “Primavera” di Beethoven, al concerto per violino di Tchaikovsky e a quello di Sibelius. Ignoro l’arco temporale in cui sono state prodotte queste registrazioni, ma tutte esprimono coerenza sia dal lato tecnico che da quello interpretativo, la voce del violino è sempre percepibile in tutte le sue sfumature, mai troppo in primo piano o soffocata dall’orchestra o dal pianoforte.

La questione del cosiddetto “fronte sonoro” anche quando si ascolta musica da un impianto stereo è di fondamentale importanza, specialmente per colui che è abituato a frequentare le sale da concerto. Verrebbe da dire che Vengerov con la semplice grandezza del suo cuore, non fa altro che far parlare la musica, lasciando da parte ogni inutile virtuosismo: chi è grande non sa di esserlo e non deve dimostrare niente. Ho sentito affermare da Salvatore Accardo che per un musicista è importante far sentire quanto è bella la musica, non quanto egli è bravo a suonarla. Io penso che Vengerov aggiunga a questo sacrosanto principio una qualità in più: dare spazio al pensiero del compositore fin nelle sue pieghe più intime.

Perché il violino è uno strumento in se stesso semplice, ha solo quattro corde ed una tastiera lunga ventisette centimetri, ma le sfumature che può assumere il suo suono sono letteralmente infinite, tanto da lasciare molti interpreti anche di grande valore come smarriti in mezzo al diluvio sonoro, oppure come imprigionati in un’angusta gabbia interpretativa. Con Vengerov questo non accade, ascoltandolo sia dal vivo che nelle registrazioni, si sente un cuore libero che non ha mai incertezze.

Sto scrivendo queste righe ascoltando il secondo movimento del concerto per violino di Sibelius, nel momento in cui una quarta corda dal suono ampio, morbido e straordinariamente dinamico accarezza le orecchie inducendo la mente a perdersi; ricordo la reazione che aveva Renato Zanettovich (primo violino del Trio di Trieste), quando ascoltava musica suonata da un valente musicista: faceva roteare la mano come dire “senti che roba?”. Quando la musica arriva al godimento dell’anima, cosa si può pretendere di più? Grazie Vengerov.

Claudio Rampini

“Variazioni selvagge”

01 febbraio 2007

Hélène Grimaud “Variazioni selvagge”
Bollati Boringhieri, euro 18,00

Due grandi passioni, quella per la musica e quella per i lupi, hanno dato vita a “Variazioni selvagge”, autobiografia della pianista francese Hélène Grimaud, che confessa con incredibile verità la sua storia.
di Susanna Persichilli

La storia di Hélène è quella di una bambina “sempre agitata”, che soffre di uno strano sdoppiamento dal mondo che lei chiama “l’arte di ritirarsi”. Da piccola è incontrollabile (ingestibile, impossibile, imprevedibile), presa da riti particolari e maniacali come la fissazione per la simmetria, che la portano a ferirsi le mani in modo speculare, o a spostare i mobili nelle camere d’albergo. Nel libro la pianista racconta il suo primo incontro con il pianoforte avvenuto a sette anni, gli studi movimentati in conservatorio e il suo rapporto con la musica “La musica è l’estensione del silenzio, è ciò che la precede e ancora echeggia”.
Il bellissimo libro è un lungo cammino alla ricerca dell’assoluto, nella vita e nella musica, attraverso le sue passioni musicali: Brahms, amato perché sensuale e appassionato, Rachmaninov, per l’angosciosa bellezza. Il rapporto con la paura, che Hélène impara ad accettare perché considerata inguaribile, e quello con il suo corpo: “Le dita non sono che conduttori di energia interiore; quando suonano tutto il corpo ne aiuta, le accompagna: la schiena, le spalle, le braccia” … “Gli artisti respirano con le mani”.
Ed è proprio la paura che le fa amare i lupi; il primo incontro con il lupo è emozionante: la paura e l’attrazione, l’amore per un animale che avrebbe anche potuto sgozzarla. La Grimaud attualmente vive negli Stati Uniti dove ha creato un centro per i lupi visitato annualmente da un numero impressionante di bambini; un luogo dove ha trovato il senso della musica e il senso della sua scelta: “Cosa vorrei trasmettere ai bambini? Come il lupo possiede la terra e il pesce l’oceano, l’uccello il cielo e gli dèi il fuoco, così l’uomo deve trovare il suo elemento, il quinto elemento, il solo da cui non sarà mai escluso. Questo elemento è l’arte, senza la quale siamo errabondi, orfani e infelici per la vita; senza la quale ci separiamo dalla natura e dal cosmo perché sordi, ciechi, indifferenti, insensibili. Vorrei aiutare i bambini a riconoscere questo spazio, il loro spazio, quello che i lupi mi hanno aiutata a ritrovare: la parte di sé che possiede l’universo e con l’universo il tempo, la cui chiave è la musica.”
Un libro commovente.

Susanna Persichilli