25 aprile 2015
La lettera aperta che il Prof. Nicolini, presidente ANLAI, ha rivolto recentemente al Sindaco di Cremona, e che abbiamo pubblicato su questo sito il 14 marzo scorso, ci pone l’obbligo di una riflessione.
Io spero che sia solo per le contrarietà suscitate dalle condotte irruenti e talvolta superficiali del Prof. Nicolini che il Comune di Cremona e la neonata “Governance della Liuteria”, hanno bocciato 8 progetti sui 10 presentati dall’ANLAI, poichè tra quelli rimasti al palo vediamo proprio il nostro Convegno sulle Vernici in Liuteria.
Ed infatti il 2° Convegno delle Vernici in Liuteria si è svolto nella Sala Filo di Cremona anzichè nel Salone dei Quadri, come si era ipotizzato inizialmente.
Del resto qualche anno fa proprio nel Salone dei Quadri ho tenuto una conferenza su Fernando S. Sacconi, presenti tra gli altri il M° Francesco Bissolotti e il Prof. Andrea Mosconi, e coadiuvata dall’ALI (Associazione Liutaria Italiana), nella persona della Presidente Anna Lucia Maramotti, e dall’immancabile Prof. Gualtiero Nicolini. E non mi sembra che il Comune di Cremona e la figura di Sacconi ne siano usciti in qualche modo diminuiti nella loro importanza, anzi, l’iniziativa è stata condivisa e ha ricevuto i favori di moltissime persone.
Se è vero, come è vero, che attualmente Cremona per i suoi violini può contare su un apparato di “vigilanza” come la Governance della Liuteria, che controlla e valuta proposte e contenuti, anche attraverso l’ausilio di organi “ufficiali” come l’Unversità di Pavia o il Politecnico, è anche vero che esistono liutai che hanno fatto della ricerca liutaria una vera e propria missione, ed è questo il caso che ci riguarda.
Se da una parte siamo grati alla ricerca scientifica che ci ha permesso di avere alcune importanti conferme riguardo i materiali usati nella liuteria classica, dall’altra sottolineo l’importanza del lavoro di ricerca sulle fonti che sto svolgendo da circa trenta anni, e che prese le mosse proprio da una corrispondenza da uno degli allievi più illustri di Fernando Sacconi: Charles Beare.
Infatti il mio obiettivo immediato fu quello di chiarire alcuni punti oscuri del libro di Sacconi interrogando e cercando di avere informazioni di prima mano da coloro che furono i suoi allievi. Ed è per questo motivo che frequentando anche la bottega del M° Francesco Bissolotti, giunsi a completare al meglio possibile la conoscenza dell’opera di Sacconi.
Poi a seguire c’è stata la mia re-interpretazione secondo canoni filologici di una lettera di Antonio Stradivari del 1708 e il perfezionamento del disegno della forma del violino con il metodo della sezione aurea, così come concepito da Sacconi, solo per citare alcuni dei numerosi argomenti della mia ricerca. Del primo lavoro ne scaturì una pubblicazione su The Strad del marzo 1995, del secondo una proposta di esposizione al Museo del Violino (invito che mi fu rivolto dalla Dott.ssa Maramotti), ma di cui poi non ho saputo più nulla.
Lungi da me il voler ritenere i miei lavori di qualità assoluta, poichè come ogni lavoro di ricerca che si rispetti, anche il mio è suscettibile di perfezionamenti ed evoluzioni, ma voglio qui affermare il primato di una ricerca ad ampio respiro, laddove “l’ossessione” per lo strumento antico senza contestualizzarlo storicamente ed artisticamente, ci ha fatto perdere secoli preziosi per la comprensione delle antiche metodiche.
Cioè a dire che ognuno fa la sua parte e che ogni parte costituisce un insieme, oggi rappresentato dalla comprensione del nostro patrimonio liutario. Poichè se meglio riusciamo a comprendere il lavoro dei nostri artisti, riusciamo non solo a costruire strumenti migliori, ma riusciamo a conservare in modo migliore anche gli strumenti classici.
Per cui ben vengano i risultati delle ricerche che provengono dai campi della scienza più disparati, ma se infine manca un lavoro di sintesi, o peggio ancora, manca un contributo storico-artistico, è la ricerca stessa ad apparire monca.
Infatti la storia dell’arte propriamente detta, quella che si occupa dei Giorgione e dei Caravaggio, dice poco o niente sulla storia dell’ebanisteria e niente assoluto sulla liuteria, così che oggi la liuteria appare un’arte completamente slegata da un contesto storico-artistico.
Ad esempio, ancora oggi si continua a citare Francesco Pescaroli, intagliatore ed architetto, unicamente come probabile maestro di Stradivari e per avergli fornito una casa e una bottega, tralasciando di studiare quello sterminato mondo di tradizione dell’intaglio, da cui la liuteria è nata.
Non mancano le notizie su Francesco Pescaroli, a questo proposito esiste una pubblicazione di Elia Santoro del 1987, ma oltre a non essere mai stata studiata o verificata fondo, non si è mai sentita la necessità di allargare la ricerca nella scuola dell’intaglio italiano, che pure avrebbe permesso di riscoprire usi e metodi sulla preparazione del legno e sulle vernici, con inevitabili positive ricadute sulla liuteria.
E difatti la lettera di Stradivari del 1708 (quella delle “gran crepate”), non avrebbe potuto essere compresa se non avessi preso in esame almeno i libri di Giorgio Vasari e Cennino Cennini.
In ultimo, per quanto il problema sollevato dal Prof. Nicolini possa sembrare grave e urgente, io non sono mai stato preoccupato dei cosiddetti “violini in bianco”, perchè lo strumento d’autore parla già di per sè. Tuttavia girando un pò per il mondo ho raccolto opinioni non positive sulla produzione moderna cremonese, laddove gli strumenti venivano proposti per “lotti” ai commercianti, a fronte di una qualità pur ottima a livello costruttivo, ma mediocre dal punto di vista acustico.
In questo senso la diffusa mediocrità italiana e la sempre migliore capacità cinese di produrre ottimi strumenti a rapporti qualità/prezzo da suicidio, fa sì che finalmente qualcuno si ponga qualche domanda, e che forse è venuto il momento di mettere in discussione certi canoni stilistici, che di stile hanno poco o niente.
In questo senso il nome di Cremona, già ampiamente abusato, da tempo non è più una garanzia di nulla. Al tempo stesso vi è anche la certezza che quei liutai cremonesi che lavorano senza compromesso per la qualità, ne escono pesantemente penalizzati, così che i loro strumenti vengono in qualche modo screditati, o nella migliore delle ipotesi non valutati come dovrebbero.
Spero quindi che le istituzioni cremonesi, ma ancora di più i liutai, capiscano che il vero lavoro di tutela non riguarda tanto il violino prodotto a Cremona, ma il violino italiano, avvertendo che un prodotto dell’arte mal tollera “istituzionalizzazioni” di sorta che ne ingessino la qualità.
Claudio Rampini