Giornata di studi sul “Carlo IX” di Andrea Amati.

 

Pensiamo che l’opera che si sta portando avanti al Museo del Violino di Cremona, e per questo ringrazio particolarmente il curatore Fausto Cacciatori e la direttrice Virginia Villa, sia del tutto meritoria poiché permette a noi liutai di poter visionare, ascoltare ed esaminare strumenti originali, che finora abbiamo avuto occasione di studiare solo attraverso pregiate e spesso costosissime monografie.

Ma per quanto i documenti e i rilievi possano essere accurati niente può sostituire la visione diretta, il poter toccare, soppesare, rigirare tra le proprie mani uno strumento originale. Oggi parliamo di uno strumento del tutto speciale: il famoso “Carlo IX” di Andrea Amati, anno di grazia 1570 circa, appartenuto a Carlo IX di Valois, figlio di Caterina de’ Medici, fu nominato Re di Francia a soli 10 anni dopo la morte del fratello Francesco II.

Questo violino, appartenuto alla collezione Henry Hottinger, passò poi nelle mani del celebre commerciante di strumenti statunitense Rembert Wurlitzer e di Simone Fernando Sacconi (che ne hanno certificata l’autenticità), per poi essere acquisito dal Comune di Cremona nell’anno 1966.

Il “Carlo IX”, reca decorazioni in foglia d’oro in gran parte erose dall’uso e dal tempo, ma tracce dello stemma dei Valois sono ancora visibili sul fondo, così come alcune lettere delle parole latine e decorazioni dorate sono ancora presenti sulle fasce. Il tutto originale ed oggi conservato al meglio possibile.

Tanto per fare un poco di mente locale, nel 1570 (anno presumibile di costruzione del “Carlo IX”), era ancora vivo Benvenuto Cellini (sarebbe morto l’anno dopo), e Claudio Monteverdi aveva appena 3 anni. Cioè a dire che questo strumento che oggi possiamo ancora ascoltare ha la rispettabilissima età di quattrocentoquarantotto (448) anni, e che ha allietato ed ispirato sovrani, artisti e liutai di ogni ordine e grado, come pure è riuscito a passare indenne attraverso guerre, alluvioni, incendi e vandalismi di ogni genere dall’età tardo rinascimentale ad oggi. Una vera e propria macchina del tempo.

Nei fatti il “Carlo IX”, non è un violino qualunque, bensì è il “Violino” per eccellenza, che assieme ad altri quattro di analoghe dimensioni (vicine al formato pieno), e a violini piccoli, viole e violoncelli, formava la collezione del re di Francia Carlo IX, e per questo passati alla storia come “Violons du Roi”, costruiti da un ormai maturo, ma anche famoso già alla sua epoca, Andrea Amati.

La giornata è iniziata con la presentazione di Fausto Cacciatori che ci ha aggiornato sui dati biografici di Andrea Amati, accompagnato dalla presenza di alcuni “tecnici” come il chimico Curzio Merlo ( Scuola di restauro di CRForma), Marco Malagodi (Laboratorio di Diagnostica non invasiva dell’Università di Pavia), Fabio Antonacci (Laboratorio di acustica del Politecnico di Milano), e dal M° Federico Gugliemo, violinista e didatta, che si è poi esibito suonando il “Carlo IX”.

Il “Carlo IX” è ovviamente uno strumento molto studiato anche al fine di poterlo preservare negli anni a venire, ma per noi liutai avere notizie e conferme sulle vernici, sulle preparazioni e la natura del legno e delle decorazioni, è sempre di grande aiuto nel nostro lavoro quotidiano. Oggi i tecnici che analizzano gli strumenti antichi parlano di resine e trattamenti del legno con una buona attendibilità, ma una ventina o trentina di anni fa, le sicurezze di oggi erano molto lontane, infatti tutto ciò che riguardava l’identificazione di resine e prodotti organici rimanevano un mistero, consentendoci tuttavia già allora di poter identificare i composti di natura inorganica.

Infatti tutto il mito che derivò dal famoso “silicato di sodio e potassio” citato nel libro di Sacconi “I ‘segreti’ di Stradivari”, derivavano da analisi compiute su frammenti di strumenti originali (inevitabili reliquie durante i lavori di riparazione e manutenzione degli strumenti), si è poi rivelato per quel che era nella sua realtà, e che già nei primi anni ’90 il sottoscritto, sulla scorta di documenti storici, tecnici ed esperienze pratiche, andava identificando ed esprimendo con articoli come “eccipienti” a base di argille e carbonati di vario genere, da integrare nelle preparazioni a base di colla animale o caseina, sulle quali venivano stese le vernici ad olio.

Certamente allora esistevano già gli esami alla luce infrarossa, la fluorescenza, la dendrocronologia, ma oggi abbiamo sicuramente strumenti più accurati e tecnici più avvertiti.

Alla disamina tecnica e storica, è seguito il concerto da solista del M° Guglielmo, che ci ha fatto ascoltare lo strumento, io ero a pochi passi da lui, ma si avvertiva in modo piuttosto chiaro come la voce dello strumento, che ancora oggi reca il ponticello che gli fece Sacconi, abbia la straordinaria proprietà di correre senza difficoltà per tutta l’ampia sala. L’accordatura era a 415 Hz, personalmente nutro una particolare preferenza per questa frequenza perché il suono degli strumenti sembra liberarsi dalle asperità tipiche dei 440 Hz, liberando un’ampia, e per certi versi insospettata, tavolozza di colori sonori.

Quello che mi ha colpito particolarmente del suono del “Carlo IX”, oltre alla delicata pervasività degli acuti, è stata una corposità dei bassi, che in uno strumento così vecchio e di dimensioni piuttosto contenute (circa 351mm di lunghezza), possono apparire insolite. Ma se ce ne fosse mai bisogno di ricordarlo, nei violini, come pure negli altri strumenti della famiglia ad arco, la voce non è data dalle dimensioni, bensì le dimensioni determinano il timbro basso, tenorile o da soprano di uno strumento, non la sua capacità di proiettare la voce nello spazio.

Ad esaminarlo da vicino, e quindi passiamo al lato “pratico” della giornata di studi dedicata al “Carlo IX”, questo strumento di quasi 450 anni (ancora un piccolo sforzo e arriviamo comodamente al mezzo millennio), mostra già tutte le caratteristiche del violino moderno: la venatura e le fibre del fondo intero in acero ordinate in modo rigoroso lungo l’asse longitudinale, la marezzatura leggermente inclinata, abbassandosi da sinistra a destra, ricorda veramente le onde del mare, così mobile e cangiante nei riflessi serici sotto ciò che rimane della preziosa vernice.

A proposito, mi piace sempre citare uno straordinario paradosso: tanto si fa per preservare le meravigliose vernici antiche dei violini classici, quanto si è fatto invece, e ancora si fa, per sostituire quelle che ricoprono gli antichi dipinti. Per restituire loro i colori originali, dicono, ma nessuno ha mai detto a costoro che le vernici originali non si toccano? Al Paraloid l’ardua sentenza.

La tavola armonica del “Carlo IX”, considerando la sua più che veneranda età, è straordinariamente ben conservata, lungo il fianco destro della tastiera vi è un leggero solco, quello tipico lasciato dalle dita della mano sinistra che prende le posizioni alte sugli acuti, l’annerimento leggero nella zona centrale testimonia gli accumuli di colofonia nel tempo, e poi una crescita autunnale sottilissima e fitta, che va leggermente allargandosi verso il centro, niente di troppo diverso da ciò che noi amiamo fare oggi con i nostri violini.

Dalla documentazione che ci è stata fornita ne possiamo ricavare gli spessori e il loro andamento, considerando una probabile pezza d’anima più o meno ampia e riparazioni varie (i bordi esterni al filetto sono stati sostituiti per gran parte del contorno): circa 2.3/2.4mm nella porzione compresa tra gli occhi superiori e probabilmente estendosi fino agli zocchetti superiore ed inferiore,  per poi alleggerire ai fino a circa 1.8mm ai lati dei polmoni superiore ed inferiore.

In buona sostanza vediamo confermata la tesi per cui si è sempre creduto che gli Amati usassero per le loro tavole armoniche un andamento differenziato ai lati dei polmoni, supportato da una sorta di ampia “costola” di spessore più forte nella parte centrale. Ciò è stato spesso verificato per gli strumenti di Nicolò Amati, ed ora anch’io posso capire da chi egli sia stato ispirato.

Sulle bombature e loro andamento, nessuna sorpresa, anzi, al contrario di figli e nipoti, Andrea Amati su questo violino ha usato curve piuttosto ampie e piene, con una sguscia non troppo profonda e poco ampia, qualcosa di vagamene simile ad uno stile bresciano, ma più garbato ed elegante. Così come le sgusce sulle aste delle “effe” appaiono decise, ma aggraziatamente accompagnano la “tromba” della tavola esaurendosi nei polmoni inferiore e superiore.

La distanza tra gli occhi superiori (misurata sul limite interno delle circonferenze), è di 45,6mm, così come il loro taglio ricorda molto quello dei fori armonici a forma di “C” o di “S” di viole e strumenti ad arco più antichi, con tacche generosamente pronunciate, aste quasi parallele, un tutto che rimanda concretamente ad uno stile rinascimentale.

Il riccio, appare integro e mostra ancora una straordinaria arditezza e freschezza, Sacconi scriveva giustamente che se avesse trovato un liutaio che pur lontanamente fosse stato capace di avvicinarsi a tanta maestria, lo avrebbe assunto subito e retribuito profumatamente, appare “giusto”, stagliandosi in modo deciso dal sottogola, le cui volute ci appaiono dinamiche, sicure e perfettamente proporzionate, niente che noi oggi si sia capaci di realizzare in modo decisamente peggiore.

E questo un poco ci nuoce e un poco ci fa testimoni del tempo, perché la liuteria è forse l’ultima delle arti che sostanzialmente non ha subìto evoluzioni dalle forme dettate dal suo creatore originario sui propri strumenti, e pure siamo stati capaci di perderne la tradizione.

Sul “Carlo IX” ci sarebbe ancora moltissimo da dire, e moltissimo già si è detto e scritto, possiamo dire che è uno strumento che è passato alla storia perché in ogni epoca che egli ha attraversato ha avuto proprietari che lo hanno ritenuto prezioso e per questo di essere protetto e preservato dalle ingiurie del tempo e degli uomini, proprio quelle lettere a foglia d’oro, così come i riflessi ambra dorati del legno e della vernice ci riconducono senza esitazioni all’oro e alla sua ricerca come dimensione spirituale, e come tali conferiscono a questo strumento un valore di gran lunga superiore all’oro metallico. Così come ben scritto e ripetuto qualche decina di anni dopo da Athanasius Kircher nelle sue ricerche sulla luce e sull’ombra.

Testo e foto di Claudio Rampini