In memoria di Charles Beare.

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Charles Beare mostra un Guarneri del Gesù durante la mia visita a Londra nel 1988.

Charles Beare è scomparso lo scorso 26 Aprile, nato nel 1937, la sua è stata una lunga vita dedicata agli strumenti antichi, dei quali egli è stato uno dei maggiori esperti mondiali.

Correva l’anno 1985 ed avevo appena terminata la lettura de “I ‘segreti’ di Stradivari” di Sacconi di cui seguii puntualmente tutte le indicazioni per la costruzione del mio primo violino, perché da bravo studente di archeologia qual ero, sentii che la prima esigenza di un liutaio è quella di risalire alle fonti, cercando di riconoscere tutte le stratificazioni che dall’origine del violino ad oggi si sono prodotte nel tempo.

Quindi, oggi come allora, ho sempre evitato qualsiasi “contaminazione” successiva alla tradizione classica stradivariana, a partire dal disegno della forma interna basata sulla sezione aurea, per finire alle vernici ad olio e i pigmenti usati nella tradizione pittorica.

Fu appunto nella mia completa ignoranza in fatto di vernici e anche dai tentativi infruttuosi di ricreare la vernice basata sulla propoli, che Sacconi descrisse nel suo libro, che tornato alla Libreria del Convegno di Cremona (editore del libro di Sacconi), chiesi alla proprietaria chi fossero al momento i maggiori esperti che avevano conosciuto e frequentato Simone Fernando Sacconi. La risposta fu breve e concisa: Francesco Bissolotti e Charles Beare.

Fondo del violino Guarneri del Gesù nello studio di Charles Beare, 1988.

Quindi, da una parte mi affrettai a far subito visita alla bottega della famiglia Bissolotti, allora sita in via Milazzo, e dall’altra a scrivere una lettera a Charles Beare, ponendogli una semplice e scontatissima domanda: “Egregio Mr. Beare, che vernice ha usato Stradivari per i suoi violini?”.

In modo del tutto inaspettato, eravamo in piena estate ed io ero impegnato in una campagna di ricognizione archeologica in Maremma, quando mia madre mi comunicò che era arrivata una lettera da Londra. Ebbene, Charles Beare mi aveva risposto personalmente e con una grande cortesia professionale, mi disse che Stradivari nella sua carriera aveva spesso cambiato vernice, per cui non si poteva essere certi in assoluto della natura delle sue vernici.

Ricordo che nel 1985 eravamo ancora nell’epoca delle impossibilità nell’analizzare le vernici, perché l’ossidazione dei componenti non ne permetteva il riconoscimento aldilà di ogni ragionevole dubbio, e che solo nel 1989 Barlow e Woodhouse pubblicarono il loro celebre articolo “Firm Ground” su “The Strad“, che oltretutto parlava dello strato di preparazione del legno degli strumenti stradivariani, argomento ancora oggi misterioso ed affascinante, e non della vernice vera e propria.

Quello fu il primo fortunato “incontro” con Charles Beare, un rapporto quasi esclusivamente epistolare continuato per un certo numero di anni. Nel 1988 fui ricevuto, senza appuntamento, nel suo negozio a Londra, un’accoglienza decisamente calorosa in cui Beare mi mostrò due meravigliosi Guarneri del Gesù originali, e che ebbi facoltà di provarne le qualità sonore nientemeno che con un arco appartenuto a Pinchas Zukerman.

Riccio del violino Guarneri del Gesù mostrato in questo articolo, nello studio di Charles Beare 1988.

Ricordo che ero così emozionato nel provare lo strumento, che le mie già mediocri abilità come violinista non mi concessero che di produrre una serie quasi inarticolata di suoni, ma fui in ogni caso felice di poter apprezzare il fatto che gli strumenti antichi di grande valore si distinguono sempre per la finezza e la proiezione del suono, quasi mai per la “potenza”.

Nella nostra corrispondenza l’argomento delle vernici era praticamente costante, a questo proposito ricordo le impressioni positive che Beare ebbe per la vernice di Lapo Casini, e ancor più per le mie ricerche poi culminate in un mio articolo del 1995 su “The Strad”: A new glass on the Strad varnish.

Nota a margine: quest’articolo mi costò le critiche di alcuni miei colleghi fiorentini, perché da una parte venne osservato, sbagliando, che avevo ignorato la figura di Lapo Casini (scopritore della vernice alla linossina), dall’altra mi si accusò di parlare di vernici filologiche, mentre in realtà non sembravo essere capace di produrre risultati così affascinanti sui miei strumenti. Però a Cremona e anche Charles Beare, la pensavano in modo diverso a questo proposito, fortunatamente.

E poi gli spessori degli strumenti originali, le indicazioni sulle catene moderne e le montature in generale, Charles Beare fu veramente prodigo di informazioni e consigli, non criticò mai negativamente i miei lavori, ma anzi ne evidenziò sempre il costante miglioramento nel tempo. Non furono semplici incoraggiamenti, ma vere e proprie linee guida che ebbero origine in quel laboratorio di New York, presso Wurlitzer, in cui Beare incontrò Sacconi e ne divenne allievo.

Charles Beare è stato un gigante della liuteria mondiale, eppure davanti alle mie osservazioni, anche quelle poco sensate, non mancava mai di rispondere. Come quando gli scrissi che il Messia di Stradivari, che lui mi invitò a visionare presso l’Ashmolean Museum, non mi aveva convinto al 100%, lui mi rispose molto concisamente: “Yes, it’s very authentic!“.

Oppure quando in occasione della grandiosa mostra che si tenne a Cremona nel 1987 nel 250° anniversario della morte di Stradivari, in cui Beare riuscì a mettere insieme più di 60 strumenti originali di Stradivari, gli feci osservare che le luci nelle sale erano molto basse, era veramente difficile potere cogliere i particolari degli strumenti, anche con l’ausilio di una piccola torcia tascabile. Beare mi rispose che purtroppo chi progettò l’esposizione, l’architetto Gae Aulenti, non tenne troppo conto di questo problema e delle esigenze dei fruitori della mostra.

In buona sostanza si trattò di un eccesso di prudenza nei confronti degli strumenti, che in ogni caso non guasta mai. Fu però in quell’occasione che vidi per la prima ed unica volta il “Lady Blunt” del 1721 di Stradivari, e che grazie ad un provvidenziale, quanto sottile, raggio di sole che riuscì a penetrate dai pesanti “scuri” delle finestre del palazzo comunale di Cremona, riuscii a cogliere le famose “pagliuzze d’oro” della vernice, che improvvisamente iniziarono a brillare come animate di luce propria. Una visione mistica, che non mi ha più abbandonato, solo con il “Cristiani”, il violoncello che Stradivari costruì nel 1700, riuscii a provare qualcosa di simile.

Svelo un grande segreto: per apprezzare a pieno le vernici di Stradivari, come di qualsiasi altro liutaio della classicità cremonese, è importante che gli strumenti siano in condizioni più che buone, e che soprattutto rechino ancora sostanziali quantità di vernice originale. Altrimenti, di quegli strumenti si potrà ammirarne solo il suono, non già una inesistente vernice originale.

L’ultima volta che incontrai Charles Beare, fu in occasione del mio primo ed unico concorso a cui ebbi la sventura di partecipare nel 2008 a Portland, Oregon, U.S.A. Infatti, il mio mentore di allora, che aveva fiducia illimitata nelle mie possibilità creative, mi “costrinse” letteralmente ad iscrivermi alla competizione, di cui Beare fu uno dei giudici. Ovviamente il mio violino fu scartato alla prima selezione, non tanto perché brutto o costruito male, ma semplicemente perché “non era costruito per i giudici“, cioè a dire che per strappare qualche posizione un minimo onorevole in quel tipo di concorsi, avrei dovuto antichizzare il mio strumento e anche costruirlo con uno stile che allora, ma anche oggi, era molto vicino ai criteri di una liuteria cinese, piuttosto che a quelli personali artistici di un liutaio italiano.

Ed infatti vinse un ragazzo di origine cinese, credo che fosse allievo di J. Curtin, il cui violino, una copia un po’ giallo limone di un Guarneri del Gesù, capace oggettivamente di emettere un suono orribile. Nelle graduatorie, l’unico che mi dette buoni voti fu proprio Charles Beare, questo per me significò qualcosa d’importante, perché fu l’unico a “capire” il mio strumento.

Post Scriptum: le foto che vedete pubblicate in questo articolo le ho scattate nello studio di Charles Beare, e sono state ritoccate per una maggior leggibilità, dato che si tratta di riproduzioni da vecchie stampe.

Testo e foto di Claudio Rampini.