
Lo scorso 13 Maggio si è esibita presso l’Aula Magna della Sapienza, per l’80esima stagione della I.U.C (Istituzione Universitaria dei Concerti) la violinista sud coreana-tedesca Clara-Jumi Kang, che io ho ascoltato per la prima volta in questa occasione. Questo il programma della serata:
- J.S. Bach: Sonata n. 1 BWV 1001
- J.S. Bach: Partita n. 2 BWV1004
- Eugène Ysaÿe: Sonata n. 3
- Eugène Ysaÿe: Sonata n. 5
- Eugène Ysaÿe: Sonata n. 6
- Nathan Milstein: Paganiniana
Confesso che sui musicisti di origine orientale, pur stimando il loro straordinario virtuosismo, sono un po’ prevenuto per via di una tecnica spesso fine a sé stessa a tutto scapito di una freschezza e originalità di interpretazione.

E’ pur vero che il curriculum della Kang è di altissimo livello, ma il musicista è sempre chiamato a dimostrare il proprio valore “hic et nunc”, questa per me è la vera croce e delizia di chi abita il mondo dell’arte e cerca di farcene partecipi.
La Kang si è esibita, nella sua longilinea eleganza impreziosita da un bel vestito nero decorato con motivi orientali, con un violino di Antonio Stradivari del 1702 “Thunis”, a me fino ad oggi sconosciuto, ma che mi ha immediatamente riportato al celebre “ex Conte De Fontana” dello stesso anno suonato da David Ojstrach e Mariana Sirbu, quest’ultima ascoltata dal vivo con il Trio di Milano moltissimi anni fa. Uno strumento di bellezza unica in tutti i sensi, meraviglioso da vedere e da sentire.
Tuttavia, già dalle prime note dell’Adagio della prima sonata di Bach, lo Stradivari di Kang, ha rivelato un suono diverso da quello che mi sarei aspettato: piuttosto aggressivo e con una seconda corda che mi è apparsa chiusa, per non dire nasale. E’ vero che quando si parla di grandi violini di grandi liutai si è abituati, forse male, ad aspettarsi il grande suono italiano ampio e senza incertezze su tutti i registri, ma bisogna anche tenere presente che non tutti gli Stradivari o i Guarneri del Gesù siano pervenuti fino a noi in uno stato di conservazione perfetto. O anche semplicemente non basta avere in comune un anno di costruzione e autore perché due strumenti possano somigliarsi nel suono e nelle prestazioni.

Tuttavia, lo Stradivari della Kang ha dimostrato una notevole ricchezza di armonici e anche una capacità di sussurrare i “piano” in modo definito ed estremamente pulito, cosa che con Bach non si finisce mai di apprezzare. Il suono del violino è quello prodotto dal violinista, non quello del violino stesso.
Il Bach della Kang si è dimostrato più che apprezzabile, anche se non stimo molto la filologia di questi ultimi anni caratterizzata da respiri brevi e “arcate a morire“, non ha fatto rimpiangere Milstein e Szeryng; e considerando che questo bellissimo Stradivari del 1702 sia stato concepito in pieno barocco e quindi con un suono diversissimo dall’attuale, avere corde in fibra di nylon e una prima corda in acciaio ha comunque consentito un ascolto ottimo e dignitoso.

Per quanto riguarda Ysaÿe e Milstein, per la Kang la strada è risultata essere completamente in discesa perché ha dimostrato una sicurezza davvero invidiabile, laddove le doti virtuosistiche possono comunque esprimersi senza per questo nascondere deficienze di interpretazione. La pulizia del suono di Clara-Jumi Kang è stata davvero affascinante e credo che la “Paganiniana” sarebbe stata molto gradita dallo stesso Milstein, e forse avrebbe invitato questa brava e bella violinista a prendersi perfino qualche libertà in più.
La Kang ha dimostrato doti non comuni di concentrazione e una padronanza del suono pressoché assoluta, sono rimasto colpito dal suo pallore e dalla sua compostezza, così pure dai sorrisi appena accennati nei confronti del pubblico. Eleganza e distacco, un’aura di sofferente freddezza che mi hanno ricordato “la principessa di neve” di una perduta fiaba, il contrasto fortissimo tra un cuore caldo ed una superficie gelida e sofferente.
Ebbene, al termine del concerto, stupito perché la Kang si è subito ritirata senza concedere alcun bis, mi è stato comunicato che le circa due ore di esibizione sono state eseguite in preda a forti dolori dovuti ad un colpo d’aria originatosi dall’impianto di condizionamento dell’aereo che la portava in Italia. Questo è il cuore della principessa nella neve.
Testo e fotografie di Claudio Rampini