L’eredità di Simone Fernando Sacconi

26 giugno 2009

Credo che su Sacconi non si sia riflettuto ancora abbastanza, così come credo si sia in qualche modo sottovalutata o travisata la portata “esplosiva” del suo contributo alla liuteria moderna.
Immaginiamo un liutaio che cresciuto alla scuola del grande Fiorini, sviluppi il suo talento in modo così straordinario che già negli anni 10 e 20 del 1900 è in grado di produrre strumenti perfetti ad imitazione degli antichi, tanta era la sua forza creativa nel voler essere in qualche modo vicino ai liutai classici. Immaginiamo che questo stesso liutaio venga improvvisamente chiamato a lavorare in America da un grande e famoso commerciante di strumenti rari e che gli offra il posto di responsabile del laboratorio, il liutaio in questione non ci pensa due volte ed accetta subito: è disposto a tutto pur di poter vivere vicino agli strumenti che da sempre egli venera e ammira dal profondo del cuore.
Violino di Fernando S. Sacconi 1928 (prop. Bissolotti)

Passano gli anni, questo liutaio diventa sempre più famoso, il suo laboratorio è un via vai distrumenti e musicisti leggendari, nel giro di una decina d’anni questo liutaio vede crescere a dismisura il proprio talento e la competenza sugli strumenti ad arco.

Dagli anni ’40 in poi, si può tranquillamente affermare che siano veramente in pochi a rivaleggiare con questo liutaio, in quanto i più famosi commercianti non hanno nessuna competenza in fatto di restauro di strumenti antichi, viceversa anche i liutai più validi non avevano l’opportunità di poter vedere, riparare od esaminare un grande numero di strumenti antichi.

Il liutaio di cui stiamo parlando era l’unico al mondo a possedere entrambe le qualità: conoscenza vastissima degli strumenti classici e smisurata abilità nel lavorare sugli strumenti. Questo liutaio è un romantico sognatore, ogni giorno la sua mente si perde negli acciottolati silenziosi di Cremona, s’incontra con Giuseppe Guarneri del Gesù e gli chiede “ma perchè pur avendo un talento così straordinario, lavoravi così male?”; oppure incontrava Stradivari “Maestro, il giorno in cui riuscirò ad intagliare un riccio con il tuo stile potrò dirmi anch’io un vero liutaio”.

E sognava, questo liutaio, mentre le sue mani correvano sicure su strumenti che valevano milioni di euro, non pensava mai di far danno perchè semplicemente non era contemplato fare male, egli piallava, scolpiva, rasava, pennellava con la stessa facilità ed entusiasmo di un bambino, il male non esisteva nella sua mente.

E’ così negli anni ’60 del 1900 realizzò il sogno di una vita: tornò a Roma, città in cui era nato, ma soprattutto andò a Cremona per imprimervi la sua personalità indelebile.

Egli non vedeva l’ora di riversare i decenni di esperienza che aveva accumulato sulla città che aveva dato i natali a Stradivari, Amati, Guarneri e tanti altri liutai leggendari. Vi era già tornato in passato, era il 1937, l’anno in cui ricorreva il 2° centenario della morte di Stradivari, insieme ad altri colleghi fu uno dei protagonisti della prima grande mostra dedicata agli strumenti stradivariani.

Erano anni difficili quelli, ma non solo per gli eventi politici e bellici, anche la liuteria aveva i suoi bei grattacapi: sorgeva il problema dei falsi e delle false certificazioni. Ma il liutaio romano, naturalizzato americano e con aspirazioni cremonesi, sapeva come evitare le insidie e nonostante avesse la capacità di produrre copie perfette, il pensiero di raggirare il prossimo non lo sfiorò neppure per un attimo. Se sei una persona onesta non puoi cambiare, così come non puoi cambiare il colore del cielo.

Eppure il liutaio conosceva bene la liuteria post settecentesca, sapeva benissimo che nell’800 la tradizione liutaria italiana conobbe un vero e proprio stravolgimento: la scuola cremonese era ormai scomparsa da tempo, la stragrande maggioranza degli strumenti originali aveva preso da tempo la direzione di Francia e Inghilterra, e una Giovine Italia non era in grado di prendersi cura dei propri tesori.

Fu così che la tradizione italiana conobbe l’influsso delle scuole straniere, come quella francese, che introdusse nel nostro paese l’uso della forma esterna. Le vernici già da tempo non erano più quelle di una volta, le vernici a spirito erano sicuramente più facili da comporre e da stendere, tale che ad un certo punto guardandosi indietro ci si accorse che la retta via era smarrita, e allora giù a tentare di ricostruire il segreto della formula di Stradivari!

Il declino della liuteria italiana, che seguì di pari passo le vicende politiche italiane ed europee, conobbe un graduale e progressivo impoverimento al punto che i pochi liutai dell’epoca, erano costretti a lavorare e a vendere i propri strumenti per pochi soldi.

Non è facile produrre strumenti con lo stesso sfarzo degli Amati e di Stradivari, quando una famiglia è costretta ad un regime di pura sopravvivenza, quindi si tentava di risparmiare tempo, materiali e denaro in ogni modo. E uno di questi modi fu proprio quello di adottare le vernici a spirito, sicuramente più veloci da usare e diventate più economiche, grazie alle vie commerciali aperte dai nuovi mercati europei. Così, generazione dopo generazione, i liutai cambiarono radicalmente il loro modo di produrre strumenti, così che spesso fummo costretti ad imparare tradizioni e procedure diverse.

Questo il liutaio romano-americano-cremonese lo sapeva benissimo ed era proprio questo che portava il suo entusiasmo alle stelle: negli anni aveva accumulato un’esperienza tale da poter restituire a Cremona il patrimonio perduto.

Fu così che il liutaio tenne lezioni presso la scuola di liuteria di Cremona, erano gli anni ’60, egli ad un certo punto si rese conto che nonostante Cremona conservasse, seppure in modo trascurato, gli attrezzi di lavoro e le forme originali di Stradivari, in quelle aule si insegnava una liuteria che niente aveva a che fare con la tradizione classica cremonese. E così pure gli strumenti costruiti nella scuola assomigliavano così poco a quelli dei grandi cremonesi!

Pensava di poter dare un contributo fondamentale questo grande liutaio, ma invece si trovò di fronte ad un mondo profondamente mutato che ormai considerava come radici proprie quella tradizione così diversa da quella cremonese, forse sarebbe stata necessaria un’azione “politica” di mediazione tra il passato e il presente, ma per il liutaio sarebbe stato tradire se stesso e la grande tradizione di cui egli era l’innocente depositario.

Nonostante la schiacciante evidenza delle prove documentarie raccolte in una vita di lavoro, degli attrezzi di lavoro stradivariani, un liutaio che ha imparato a costruire strumenti con il metodo della forma esterna ben difficilmente cambierà il proprio metodo di lavoro, soprattutto se su questo metodo ha già costruito da tempo il proprio commercio e la propria fama.

Fu così che il nostro liutaio si trovò isolato con pochi affezionati, e non mancarono nemmeno occasioni in cui gli furono contestate competenza e professionalità.
Mentre egli tentava di restituire a Cremona non solo il patrimonio perduto, ma anche un modo di lavorare aperto alla ricerca, su un altro fronte si resisteva in modo tenace ad ogni cambiamento.

Ma il liutaio romano-americano-cremonese non era tipo da scoraggiarsi facilmente, con la pazienza di Giobbe e con l’aiuto di Francesco Bissolotti, riordinò gli attrezzi di lavoro stradivariani dandogli anche una sistemazione più dignitosa, fece in modo di restituire a Cremona alcuni tra i violini più significativi di Amati, Stradivari e Guarneri del Gesù, che ancora oggi si possono ammirare nel Palazzo Municipale, ed infine fu iniziata la stesura del suo libro “I segreti di Stradivari”.

Questo suo libro ritenuto universalmente un’opera fondamentale, fu anch’esso molto contestato, soprattuto per quello che riguarda il capitolo sulla verniciatura a base di propoli, ma nella buona o cattiva fede non si è tenuto presente che quest’opera è stata concepita nei primi anni ’70 e che riportava il massimo dei progressi fino ad allora raggiunti in materia di vernici.

Infatti il nostro liutaio si era avvalso dell’opera di alcuni studiosi ed appassionati americani, Michelmann e Condax, e che furono studiati in modo accurato molti frammenti provenienti da strumenti originali. La validità de “I segreti di Stradivari” non risiede tanto nelle ricette della vernice o nella preparazione a base di silicato di potassio, ma nell’accuratezza delle osservazioni ivi riportate, che riconducono direttamente e in modo inequivocabile alle vernici antiche.

Correva l’anno 1972, il liutaio pensava già ad una revisione e ad un aggiornamento del suo libro, ma non solo: pensava anche di trasferirsi definitivamente a Cremona e coronare così il sogno di una vita. Ma non fece in tempo a realizzare questi due importantissimi progetti, il 26 Giugno 1973 Simone Fernando Sacconi terminava la sua vita nella casa di Point Lookout.

Claudio Rampini

Nel segno della condivisione: tributo a Simone F. Sacconi

29 maggio 2009
Il 30 Maggio del 1895, nasceva a Roma Simone Fernando Sacconi, il maggior liutaio ed esperto di violini antichi del 1900. Nel 114° anniversario della nascita, voglio ricordarne il valore con un bell’articolo che ho tradotto dall’inglese a firma di Christopher Germain dedicato alla storia della bottega di Rembert Wurlitzer, dove Sacconi ha passato i momenti più importanti della sua vita.
Sacconi è un liutaio che oggi appare ingiustamente dimenticato, a partire dalla sua opera “I segreti di Stradivari” non più pubblicata in italiano, per non parlare delle varie istituzioni liutarie, siano esse scuole, associazioni e fondazioni, dove il nome di Sacconi sembra non suscitare più alcuna emozione. Questo è il nostro modesto tentativo per ridestarne la memoria.

 

Wurlitzer, un nome che evoca un gran numero di ricordi legati alla musica. Quelli che sono vecchi abbastanza possono ricordare l’organo Mighty Wurlitzer, ascoltato nei cinema e nei teatri in tutti gli Stati Uniti durante i primi anni del 20° secolo.

Altri possono ricordare il juke box Wurlitzer, che hanno suonato  le canzonette delle hit parade nei ristoranti e nei bar, durante gli anni ’40, 50, 60 (e anche anni ’70 in Italia. N.d.T.)

Ma ogni violinista, violista o violoncellista che ha più di 50 anni che sente il nome Wurlitzer penserà quasi sicuramente al più grande esperto di violini che l’America abbia prodotto – Rembert Wurlitzer – e agli strumenti storici nel negozio sulla 42° Strada a New York dove ha lavorato dal 1948 fino alla sua morte nel 1963.

In questi brevi 15 anni, Wurlitzer assemblò un team di liutai e restauratori dediti esclusivamente agli strumenti ad arco, di cui egli era un grande appassionato.

Il laboratorio, diretto dal maestro Simone Fernando Sacconi, formò i maggiori nomi della liuteria  moderna  tra cui René Morel, Hans Nebel, Luiz Bellini, Charles Beare, Bill Salchow, e molti altri.

Si stima che durante tale periodo vi sono stati restaurati quasi la metà dei conosciuti 600 violini di Stradivari. (Sacconi, nel suo libro “I segreti di Stradivari”, afferma di aver esaminato e riparato circa 350 strumenti attribuiti ad Antonio Stradivari).

Il negozio di Wurlitzer è stato un crocevia e luogo di incontro per i più grandi musicisti del momento: Heifetz, Piatigorsky, Kreisler, Menuhin, Milstein, Rostropovich, essi lo frequentarono  come clienti del più grande team di esperti di strumento ad arco, restauratori e appassionati che l’America poteva offrire.

La dinastia musicale dei Wurlitzer iniziò nei primi anni del 1700 in Sassonia.
I primi membri impegnati nel commercio furono Hans Andreas, Nicholas, e Hans Adam Wurlitzer, che sono stati elencati nell’albo liutai di violini e liuti  nelle città di Schoeneck e Schillbach (zone di Francoforte, Stoccarda. N.d.T.)
Nel 19 ° secolo, Rudolph Wurlitzer emigrarono negli Stati Uniti, e si stabilirono a Cincinnati, nello stato dell’Ohio.

Nel 1856, si costituì la Rudolph Wurlitzer Co., che inizialmente era impegnata nell’importazione  di parti di strumenti musicali dall’Europa.
Durante la Guerra Civile, Wurlitzer importò corni e altri strumenti da banda.
La compagnia si espanse fino a diventare il più grande rivenditore di strumenti musicali con 32 uffici in tutti gli Stati Uniti.

Una pietra miliare della Rudolph Wurlitzer Co. è stato il dipartimento dedicato agli strumenti ad arco storici.
Rudolph si prefisse di acquisire i migliori strumenti ad arco e archi.
A partire dal 1890, furono effettuati viaggi annuali in Europa, in cui Wurlitzer ebbe modo di acquisire grandi capolavori come il “Betts” di Stradivari e il “Leduc” di Guarneri del Gesu.

Nel 1923 Wurlitzer acquisì gran parte della famosa collezione RD Waddell a Glasgow, e nel 1929 fu acquistata l’intera collezione di Filadelfia del commerciante Rodman Wanamaker.
Molte delle grandi opere cremonesi che ora sono ospitati presso la US Library of Congress e lo Smithsonian Institution sono stati originariamente importati e venduti da Rudolph Wurlitzer.

Alcuni di questi strumenti comprendono le viole “Medici” e “Cassavetti” e i violoncelli “Servais” e “Castelbarco”, così come il violino di Betts 1704, tutti di Stradivari.

Rembert Wurlitzer, nato nel 1904, era destinato a continuare il successo dell’azienda di famiglia oltre la seconda metà del 20 ° secolo.
Fin dalla più tenera età, Rembert, come i suoi predecessori, aveva mostrato passione e attitudine per la liuteria.

Egli inizialmente divenne apprendista di James Reynold Carlisle a Cincinnati, un americano di nascita ed esperto liutaio, il cui lavoro fu in seguito promosso dalla Wurlitzer.
Wurlitzer in seguito fu allievo di Amédée Dieudonné a Mirecourt, in Francia.
Nel 1924, a 20 anni come apprendista nel laboratorio di Dieudonné, costruì un violino etichettato “#4” che è praticamente indistinguibile dal lavoro del suo maestro francese.

Nel 1948 Rembert decise di aprire la propria impresa, distinta da Rudolph Wurlitzer Co., che si concentrerà solo sugli strumenti rari e gli archi.
Questo dette l’autonomia a Rembert di concentrarsi sulla sua vera passione e lo liberò da tutte le complessità delle grandi imprese di famiglia.

La sua azienda, Rembert Wurlitzer Inc., fu ben presto in grado di raccogliere i migliori artigiani, esperti e studiosi che condivisero con lui la conoscenza e l’amore per gli strumenti ad arco.

Nel 1951 il celebre commerciante di strumenti Emil Herrmann decise di chiudere il suo negozio di New York, consentendo a Wurlitzer di aumentare la sua fama mediante l’assunzione del leggendario Simone Sacconi, che di Hermann era il responsabile del laboratorio di manutenzione e restauro.

Sacconi era venerato tra musicisti e colleghi per la sua attenzione al dettaglio e devozione al lavoro.
Secondo il grande restauratore Hans Nebel, che ha lavorato presso la Wurlitzer per 18 anni “Sacconi aveva un occhio, una comprensione per le cose che non fu seconda a nessuno.”

Il braccio destro di Sacconi  fu Dario D’Atilli, anch’egli proveniente dal laboratorio di Herrmann,, anche lui divenne parte del team di Wurlitzer.
Sotto la sua guida tranquilla, senza pretese di leadership, lo staff di Wurlitzer ebbe modo di fiorire ed esprimere il meglio di sé.

Charles Beare, l’eminente esperto di violini inglese, così si espresse nei confronti della tranquilla e disinvolta gestione di Wurlitzer: “Per lui era semplice: non c’erano e non dovevano esserci segreti. La conoscenza è qualcosa che deve essere condivisa e sta ai suoi possessori farne l’uso migliore. Dal suo punto di vista, gli artigiani migliori che desiderava restassero nel suo laboratorio, dovevano essere pagati più di quanto essi potevano pensare di poter essere pagati lavorando in proprio o per un concorrente “.

Sotto la direzione Sacconi, il laboratorio di Wurlitzer fu in grado di attirare i più abili e specializzati restauratori provenienti da tutto il mondo.
Coloro che hanno lavorato sotto Sacconi ebbero un profondo rispetto per il suo lavoro, come pure per la sua personalità.

Il liutaio René Morel, che arrivò a Wurlitzer già in possesso di un’abilità quasi leggendaria, ha recentemente raccontato l’intensità del primo incontro con Sacconi: “Quando vidi l’uomo in camice bianco, lo guardai in viso e subito capii che ero con qualcuno che era un grande artista. Sentii l’emozione agitarmi il petto, capii che egli era il maestro.”

A New York il liutaio Luiz Bellini, Sacconi è stato un grande restauratore che egli ha amato per condividere la sua conoscenza:“Ero in paradiso” ricorda “Sacconi è stato probabilmente la persona migliore da cui imparare perchè egli amava insegnare. Ci ripenso ancora oggi. Quello che ho imparato, sotto la sua supervisione ancora mi aiuta nel mio lavoro di oggi. ”

Il maestro liutaio Vahakn Nigogosian o “Nigo,” così come è conosciuto, percepiva l’atmosfera del laboratorio sotto Sacconi e Wurlitzer come un processo di apprendimento senza fine, in cui ognuno era incoraggiato a studiare e imparare dai grandi capolavori.

Nigo raccontava di come Sacconi aveva sempre buone parole nei confronti di un lavoro ben fatto, per contro usava la critica nel modo più costruttivo.
Sacconi implorava i membri del suo laboratorio “di chiudere tutte le porte”, volendo dire che i grandi restauratori devono anticipare ogni possibile problema prima di mettersi all’opera.

Morel dice che Sacconi “sapeva ottenere il meglio da ogni persona che lavorava sotto di lui. Egli aveva una  grande capacità di spiegare le cose, senza mai alzare la sua voce. Aprì i miei occhi e  cambiò la mia abilità in arte “.

Ma Bellini sottolinea che l’atmosfera nel laboratorio di Wurlitzer non era sempre seria.  “Siamo stati a lavorare di sabato a mezza paga,” dice. “Il sabato Sacconi era molto più rilassato. In uno di questi Sabato, io lavoravo là da circa un anno, Sacconi si avvicinò a me tenendo una viola, dicendo: ‘Guarda qui, Luigi. Guarda questa bellissima Stradivari ‘ “.

Bellini rimase profondamente colpito dalla la bellezza dello strumento. Solo alla fine della giornata Sacconi confessò che si trattava di una copia della “MacDonald” di Stradivari che aveva costruito.

Secondo Beare, Wurlitzer, Sacconi e i loro collaboratori avevano creato una sinergia o “una squadra la cui atmosfera raramente si vedeva al di fuori di un campo sportivo”. Ogni membro della squadra era in possesso delle qualità essenziali per il successo del business.

Wurlitzer possedeva le qualità di un vero esperto violino: una memoria fotografica, una conoscenza enciclopedica di strumenti ad arco e dei liutai che li avevano costruiti, nonché un ineguagliabile passione per il suo lavoro.
Sacconi era ugualmente appassionato al suo lavoro, sempre intento nel perfezionare il suo lavoro di restauratore e le tecniche di conservazione, nel rispetto dell’autore.

Insieme, Wurlitzer e Sacconi hanno lasciato una grande eredità nel mondo del violino. Essi sono stati in grado di creare miglioramenti fondamentali nell’arte della riparazione e del restauro, e anche aumentarono il livello di conoscenza e competenze all’interno di questo delicato settore.

“Siamo stati come una vera famiglia,” Bellini ricorda. “Se avevi bisogno di qualcosa, tutto quello che dovevi fare era chiedere.”
Purtroppo, nel 1963, Rembert Wurlitzer moriva al culmine del suo successo professionale. Aveva 59 anni. Sua moglie, Lee, continuò l’attività per altri dieci anni. Sebbene l’attività ebbe un seguito, le cose non furono più le stesse senza l’autorevole patriarca della famiglia.

Anche la salute di Sacconi iniziò una lenta ma inesorabile discesa, ciò lo costrinse a diradare la sua presenza in laboratorio. Morì nel 1973 all’età di 78 anni.

L’azienda chiuse le porte nel 1974, terminando la più grande dinastia degli strumenti ad arco in America.

Tuttavia l’eredità di Wurlitzer sopravvive. Molti di quei liutai e restauratori che videro nascere la loro carriera di successo da Wurlitzer, hanno a loro volta formato la seconda e la terza generazione di liutai e restauratori americani.
La filosofia di Wurlitzer sulla condivisione delle conoscenze è oggi continuata da altri famosi laboratori.

Così pure lo spirito di consumato talento ed esperienza nel rispetto dei musicisti e dei grandi capolavori sui quali essi suonano.

Nota: Articolo di Cristopher Germain, traduzione di Claudio Rampini
http://www.stringsmagazine.com/article/default.aspx?articleid=21398&page=1

Fondamentalismo o Rigore?

02 luglio 2008

In liuteria si sa, la precisione è di rigore, ma se bastasse solo la precisione per costruire buoni violini sarebbero in molti ad aver superato la maestria dei liutai classici, ma così non è. Il rigore è tuttavia necessario per costruire strumenti in ossequio alla tradizione italiana, il che non vuole significare l’applicazione passiva dei principi che regolano la vita professionale del liutaio, ma è la semplice constatazione del fatto che qualunque alternativa si adotti nella costruzione di uno strumento che si discosti dai precetti della liuteria classica cremonese, è destinata a produrre strumenti insoddisfacenti.


Solo di recente abbiamo potuto constatare con un sufficiente spirito scientifico la natura profonda che regolava la costruzione degli strumenti antichi, questo ci ha permesso finalmente di giungere ad un livello di sonorità impensabile per chi negli anni passati fu costretto a produrre strumenti senza l’ausilio dell’osservazione diretta del lavoro degli antichi.

Ogni liutaio, tuttavia, ha l’ambizione di lasciare un pensiero originale ed ognuno sperimenta soluzioni e procedure che da una parte possano rendergli più agevole la costruzione degli strumenti, dall’altra vi è la soddisfazione di aver lasciato una traccia nel variegato mondo della costruzione degli strumenti. Questo può riguardare l’elaborazione di una nuova forma o di un diverso modo nell’assemblare le parti degli strumenti o ancora di qualsiasi altra tecnica acquisita in proprio che si discosti dalla tradizione antica.

In buona sostanza si verifica il paradosso che pur avendo oggi a disposizione ogni tipo documentazione sulla costruzione dei violini antichi, spesso si preferisce percorrere una strada personale al rischio di un insuccesso. Questo è al tempo stesso un bene e un male perchè se da una parte abbiamo assistito a qualche raro lampo di genio (vedi lapo casini e la sua vernice alla linossina), dall’altra abbiamo avuto innumerevoli “episodi creativi” dimenticati dalla liuteria e dalla storia.

Quindi nella formazione di un liutaio, come succedeva tipicamente per ogni allievo nella nostra tradizione artistica, è importante un percorso che gli faccia conoscere da subito le regole fondamentali della costruzione degli strumenti classici e che ogni ricerca deve essere basata su questa.

Il problema di molti liutai di oggi, forse della maggior parte, è che la costruzione degli strumenti occupa solo marginalmente la loro attività, il resto del tempo lo dedicano al commercio e al restauro. Ma se si parla con uno di questi liutai ci si sentirà spesso dire che “vorrei avere tempo per costruire più strumenti”. Paradossale: un liutaio professionista che non ha tempo per costruire nuovi strumenti!

Il problema non è di semplice soluzione, dedicarsi solo alla costruzione degli strumenti significa futuro incerto e tralasciare la possibilità, attraverso le riparazioni, il commercio e il restauro, di un guadagno sicuramente più facile.

Il sottoscritto, tanto per mettere in chiaro le cose, si dedica da sempre solo alla costruzione di strumenti nuovi, da ciò ne consegue una vita sicuramente meno agiata, ma dal punto di vista professionale ciò non ha eguali.

Naturalmente esistono liutai che si sentono più portati al restauro o al commercio ed è bene che si dedichino a queste attività, ma quando si pensa alla figura del liutaio non si può fare a meno di pensare ai leggendari liutai italiani del passato e alle magnifiche opere che sono uscite dalle loro mani.

Il problema è questo: come si può essere creativi in modo soddisfacente se siamo costretti a seguire la via angusta della tradizione?
La risposta è molto semplice: la tradizione liutaria italiana ha infinite sfaccettature per cui le possibilità di ricerca sono pressoche infinite, la probabilità che il filone si esaurisca è praticamente inesistente. E si consideri anche che pur aderendo ai principi della liuteria classica, il contributo personale produrrà strumenti inevitabilmente diversi da qualsiasi altro prodotto prima, perchè questa è la natura stessa del lavoro svolto usando le proprie mani.

Ricordo che all’inizio della mia carriera, finito il mio secondo violino, decisi di portarlo all’esame di un liutaio cremonese molto famoso ed affermato, il quale dopo averlo esaminato per qualche attimo disse: “Questo qua non è mica un violino, è fatto malissimo! il suono è appena un pò meglio di un violino di fabbrica.”
Ci rimasi piuttosto maluccio ma mi resi conto che il mio entusiasmo mi aveva portato in buona fede a sopravvalutare il mio “lavoro” e mi dovetti scontrare con la dura realtà: avevo tutto da imparare e chissà se ci sarei riuscito.

A distanza di più di 20 anni lo stesso liutaio di allora, esaminando uno dei miei ultimi strumenti mi ha detto: “Hai uno stile diverso dal mio.” E lo disse senza alcuna enfasi, quasi con lo stesso tono con cui anni prima con cui mortificò (giustamente), il mio secondo violino. Però non ci posso fare niente, vivendo a così grande distanza da Cremona, il mio stile non può che essere diverso da quello del maestro e questa dopotutto è la mia identità, che piaccia o meno.

A mia parziale discolpa posso dire che lo stile cremonese moderno è tutt’altro che simile a quello antico, per cui la scelta di non seguirlo ed uniformarmi ad esso è stata una mia scelta consapevole. Per me l’importante è seguire la natura degli strumenti antichi e capirne il funzionamento, la questione dello stile è un qualcosa che ho affrontato sempre senza troppi patemi d’animo, anche se non prescindo da alcuni parametri fondamentali della liuteria classica come la tipologia delle bombature, il disegno della forma, la lavorazione dei bordi e della sguscia, il tipo di vernice ecc ecc.

Fondamentalismo o Rigore? Quando si applicano i principi in modo passivo abbandonando ogni spirito di ricerca, certamente si può parlare di Fondamentalismo nel suo aspetto più deteriore. Quel che vale è il rigore del ricercatore che non deve mai abbandonare il liutaio, perchè in questo caso si mette in gioco la capacità di mettersi in discussione e di non adagiarsi sui risultati

Claudio Rampini

La Vendetta della Mozzarella

28 marzo 2008

La mozzarella di latte di bufala è una palla dal peso variabile da 50 a 500 grammi che in questi giorni sta giocando a bowling con l’intero settore agroalimentare italiano. Lo chiamano effetto “domino” e si capisce bene perché: se il territorio italiano è inquinato, è ben difficile che tutto ciò non abbia una ripercussione negativa sui nostri prodotti e sulla nostra salute.

Il fatto che tutto ciò abbia un influsso nefasto anche sul nostro mercato internazionale è solo l’ultimo della fila dei birilli a cadere, perchè qui da noi è da tempo che la gente muore di diossina e di amianto.

Quello che mi fa arrabbiare è che si pretende di continuare a fare scempio del nostro territorio e al tempo stesso di voler dare un’immagine sicura dei prodotti del nostro paese. E’ ovvio che si cerchi di difendere la propria immagine, ma perchè non si fa niente per bonificare (sempre che si faccia ancora in tempo), il nostro martoriato ambiente? E’ ovvio che il nostro paese sia animato da due forze uguali e contrarie: la Forza Oscura e la Forza Chiara, tutti ci dichiariamo dalla parte della luce ma non ci rendiamo conto che il male oscuro alberga in noi. Però è anche vero che non tutti qui nel nostro paese siano privi di una buona coscienza, io amo la nostra gente e sono convinto che i più posseggano un’anima chiara e che siano solo in pochi ad avere l’anima nera. Peccato che siano proprio questi ultimi a fare il bello e il cattivo tempo da queste parti, invece di essere mandati giustamente e definitivamente nel loro Inferno.

Il problema è che qui in Italia ormai siamo da anni inseriti in un mostruoso meccanismo di economia globalizzata che parla in termini di PIL (prodotto interno lordo), di azioni, obbligazioni, investimenti, inflazione, produttività, consumo. Proprio noi che abbiamo insegnato il buon gusto al mondo intero, ci siamo messi a ragionare come le multinazionali internazionali buttando dalla finestra il nostro talento e l’ambiente in cui esso è nato.

Sì perchè qui non è solo il problema della mozzarella, è anche il problema del vino, dei formaggi, dei prosciutti, di abiti firmati, ma anche dell’artigianato artistico che è ben rappresentato dalla nostra tradizione liutaria. Come si fa ad essere così stupidi da buttare nel cesso una tradizione come la nostra per fare posto ai cosiddetti “grandi numeri”. In televisione vediamo la Fiat, Montezemolo e Confindustria, che parlano di numeri giganteschi, e si guarda alle piccole realtà artigianali come ad una curiosità che fa sognare grandi e piccini e li fa tornare ai tempi belli dei nonni.

In fondo sono contento, la piccola mozzarella di bufala che è prodotta da piccole aziende a livello locale e il suo avvelenamento produce un effetto di ritorno veramente nefasto: non ci si fida più del prodotto italiano. E come fare? Come conciliare le immagini di un territorio violentato, marcio in cui bufale, pecore e persone muoiono di diossina, con una realtà che si vuole fare apparire adamantina ed incontaminata? Davide contro Golia: la mozzarella che dovrebbe condurci tutti sulla via della redenzione. Anche il suo colore candido dovrebbe aiutarci.

Forse non lo sai che l’acqua di Uliveto Terme è imbottigliata sulle rive di uno dei fiumi più inquinati d’Italia, a cui si uniscono le lavorazioni chimiche del comprensorio del cuoio e una enorme discarica a circa 5 km in linea d’aria? Se tu pensi che tutto ciò non abbia ripercussione sulla nostra aria e sulla nostra acqua, stai fresco. Ma quello che calma le nostre ansie è che cinque minuti dopo aver condannato le esecrabili contaminazioni cammorristiche del terreno, è il pensiero di una bella vacanza alle Maldive e chi s’è visto, s’è visto. Ma c’è anche parecchia gente che è distratta dal non avere un lavoro e di non sapere come fare a campare: come occuparsi dell’ambiente se prima non ci si occupa di se stessi? Ecco, questo è il circolo vizioso a cui siamo condannati: essere legati ai nostri piccoli problemi quotidiani ed essere al tempo stesso costretti ad ignorare ciò che avviene immediatamente fuori della nostra finestra di casa.

Sì, sono proprio contento che la mozzarella e quindi tutte le bufale stiano facendo giustizia di questo mondo ingiusto: la vendetta della mozzarella ci deve ricordare che la nostra ricchezza vera non è la Fiat, la Buitoni o i polli Amadori, ma il nostro ambiente e la nostra tradizione artistica e artigianale. Si pensi a quegli operatori che producono la mozzarella e alla cura che ci mettono, la mozzarella è un formaggio leggero e saporito nato pressappoco nell’epoca in cui gli Amati facevano grande la nostra tradizione liutaria. Sarà un caso?

Claudio Rampini

 

Visita alla Civica Scuola di Liuteria di Milano

17 marzo 2008

Su invito della D.ssa Virginia Villa, direttrice della Civica Scuola di Liuteria di Milano, si è svolto lo scorso 26 Febbraio un incontro con gli allievi e i docenti, tra gli argomenti trattati la creazione de “Il Portale del Violino” e la mia esperienza lavorativa. Alla visita ha partecipato Alfredo Persichilli che ha completato ed ampliato il mio intervento con una lezione sul suono.

 

 

Si sa bene che tra il dire e il fare ci corre un mare di parole, e gli allievi di qualsiasi scuola che abbia il compito di prepararli all’ingresso del mondo reale, corrono sempre il rischio di trovarsi disorientati alla fine del corso di studi. D’altro canto, anche per quello che riguarda l’esperienza lavorativa del liutaio, è bene che questi si confronti con altri tipi di realtà e non si “indurisca” nella solitudine del proprio laboratorio. Trasformare un liutaio in un essere sociale e pronto alla collaborazione reciproca non è cosa facile, ma tenendo presente l’importanza vitale della comunicazione forse qualcosa si può smuovere in questo mondo apparentemente immobile e indifferente ai cambiamenti.
Non ero mai stato prima alla Civica Scuola di Liuteria, si tratta nè più nè meno di un grande edificio scolastico come ce ne sono tanti nel nostro paese, solo che lì dentro si tratta di liuteria. L’ammissione prevede allievi fino all’età di 32 anni e vi è previsto l’insegnamento di varie materie che curano gli strumenti da ogni punto di vista: da quello storico/artistico/scientifico a quello puramente pratico/costruttivo. Inoltre sono previsti seminari di formazione che prevedono l’intervento di liutai professionisti che offrono agli allievi la possibilità di poter comunicare con il mondo reale.

 

Che senso ha una scuola di liuteria in un mondo come il nostro?
Non nascondiamoci dietro un dito: la realtà musicale del nostro paese è fallimentare e non si vede alcuna luce in fondo al tunnel. Gli spazi si riducono sempre più e questo di conseguenza aumenta la “rapacità” e l’ostinazione di coloro che hanno il controllo dei fondi destinati al mondo artistico/musicale. Il buon senso vorrebbe che ci si aprisse e che si provasse a tracciare altre strade, ma ogni iniziativa muore sul nascere perchè il controllo politico/partitico e la distribuzione delle clientele sono di un’efficacia addirittura imbarazzante. Come quando il corpo si ammala di una malattia grave: la situazione è compromessa, ma la malattia gode di ottima salute.
Questo lo si può constatare dalle molte orchestre chiuse, la mancanza di fondi, lo spreco delle risorse residue, il deficit cronico della maggioranza dei teatri italiani, le clientele e i compromessi politici che strangolano sul nascere ogni potenziale creativo. Questo, tra tutti i mali che ne conseguono, come l’impoverimento devastante del nostro panorama culturale, comporta anche la disoccupazione garantita della maggioranza degli allievi diplomati nei conservatori.
E non voglio nemmeno parlare dei conservatori italiani: come la scuola italiana, anche i conservatori sono istituti che servono principalmente a dare uno stipendio ad insegnanti nulla facenti e demotivati.

Ha quindi senso il pensare alla liuteria come ad un serio e produttivo sbocco professionale?
Nonostante la realtà sconfortante, io penso di sì, perchè il liutaio ha in ogni caso una produzione limitata che può proporre anche fuori dei confini nazionali.

Quindi ho parlato del concepimento e della nascita de “Il Portale del Violino”, come di una realtà che si pone aldifuori di ogni istituzione più o meno ufficiale e che porta la realtà della liuteria alla strada e alla portata di tutti. E’ ben vero che tutti amano ascoltare ed ammirare i violini antichi di Stradivari, Amati e Guarneri del Gesù, ma quanti hanno la possibilità di avere un contatto reale e profondo con la realtà liutaria? E’ bene che si facciano mostre e che si creino eventi intorno alla liuteria e alla sua storia, ma l’importante è anche non trascurare la preparazione del pubblico. E questo obiettivo lo si può conseguire solo se si esce dall’ottica conseguente del mercato, perchè la liuteria in ogni caso non è “mercato”, anche se la sua storia è stata fin dalle origini contrassegnata da eventi legati al mondo commerciale e di compravendita. Ma si deve anche pensare che la musica classica non sarebbe mai stata scritta se la qualità dei violini italiani non fosse divenuta leggendaria e al tempo stesso percepibile e dimostrabile.

“Il Portale del Violino” lavora dal “basso”, affronta le questioni con semplicità e al tempo stesso cerca di approfondire gli argomenti in modo obiettivo, il più possibile fuori da ogni ruolo precostituito e da ogni luogo comune. L’idea di costituire un forum di discussione su internet potrebbe apparire semplice, attraente e anche produttiva, ma se non si ha la capacità di uscire dal proprio ruolo e di mettersi in discussione, è meglio desistere. E’ vero che internet serve a creare delle identità più o meno fasulle dietro le quali si nascondono individui più o meno in buona fede, ma non si tiene conto che internet al tempo stesso ha anche una spiccata capacità di “scoprire” e di “essere scoperti”, perchè nella rete corrono i pensieri e non le intenzioni. E il pensiero, come si sa, non ha controllo.

Al mio intervento è seguito quello di Alfredo Persichilli, il quale si è esibito con il suo violoncello Rocca e con un altro costruito da un allievo della scuola, ne è seguita una interessante discussione in cui sono stati fatti raffronti tra i due strumenti. Ho tenuto in particolar modo che Alfredo Persichilli partecipasse a questo evento, non solo perchè egli è un grande appassionato di liuteria, oltre che valente violoncellista, ma perchè la sua indole aperta e comunicativa permette ad ogni liutaio di capire facilmente quali sono le aspettative di un musicista. Sembra strano, ma è difficile trovare un liutaio che abbia veramente la capacità di essere aperto ai bisogni del musicista e questo è il paradosso del liutaio: costruire strumenti musicali per la delizia dell’udito ed essere al tempo stesso sordo ai bisogni dei propri clienti.

Dopo due ore intense, con l’impressione netta di avere ancora molti argomenti da sviscerare, è stato deciso di porre termine all’incontro. La direttrice Villa mi ha comunicato che gli allievi sono rimasti molto soddisfatti dall’incontro, ed io spero che in futuro ci possano essere occasioni del genere sempre più frequenti.

Claudio Rampini

Civica Scuola di Liuteria di Milano