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Suonare e costruire i violini
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Niligitur
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Messaggio da Niligitur »

Ciao a tutti, sono nuova nel forum e scrivo per avere un consiglio, un conforto (?), delle testimonianze, un aiuto...
Ho diciotto anni, e proprio a causa della cosa che amavo di più non sento più la gioia di vivere. So che si tratta di una cosa molto seria e so che invece la mia affermazione può sembrare leggera. Suono il violino da quando di anni ne avevo sette, la mia passione è sempre stata grande ma crescendo, sopratutto negli ultimi mesi, ho notato che associo sempre di più allo strumento una sensazione di angoscia, di ansia, determinata dal forte stress nel suonare di fronte a qualsiasi pubblico, ma ciò che è peggio di fronte al mio (eccezionale e comprensivissimo) insegnante, nei confronti del quale nutro una stima infinita.
Per me il violino, che amavo e amo da morire, è diventata una sofferenza. Passo i giorni a studiare senza tregua a ritmi di cinque ore al giorno (oltre che per la scuola, ovviamente, sono all’ultimo anno di liceo): tecnica, scale, capricci di Paganini (ho da poco finito il dont), moti perpetui, Catherine, Bach, concerto e cose di cui magari sono anche soddisfatta mentre le studio, ma che poi so che non mi verranno a lezione ed effettivamente non mi vengono, non è una cosa che dico tanto per dire perché sono pessimista e penso sempre il peggio o per sentirmi dire il contrario, lo so che è così perché per quanta buona volontà ci metta ogni volta è peggio.
Provo proprio non soltanto ansia, ma angoscia, il cervello mi smette di funzionare come se stessi di fronte a mille persone.
E il fatto che le cose mi vengano malissimo a lezione riesco a capirlo distintamente, non è che ne ho una percezione alterata, perché altrimenti non avrei a casa la sensazione che vengano non dico splendidamente, ma se non altro discretamente, accettabili. Un esempio: sto sul capriccio 5 di Paganini da tre settimane, ed intendiamoci, non lo sto studiando in ricochet a tre note legate come da arcata originale, ma in semplice saltellato. Ci fosse stata una volta in queste tre settimane che io, eseguendolo a lezione, non mi sia incartata, non mi sia bloccata, mi sia venuta meno la coordinazione, il controllo dell’arco. E come conseguenza vado fuori, non riesco più a suonare. Eppure, a casa riuscivo sempre a suonarlo non dico in modo eccellente, ma accettabile. Più che passabile. Contemporaneamente stavo studiando il 10, e il martellato era bello fluido, leggero, non sforzato o rigido, a lezione invece è proprio quello che il maestro mi contesta: troppo duro, troppo rigido. Ma è un atteggiamento che io assumo a causa dell’ansia. Per non parlare di quando mi cambia qualche diteggiatura. Dimentico di punto in bianco ogni posizione. Ho passato la settimana a concentrami davvero sulle cose che mi ha detto il maestro riguardo soprattutto l’Andante del concerto in mi min di Mendellsohn, in termini di l’espressività, di corretta distribuzione dell’arco, un bel suono, la giusta pressione, la rilassatezza, ero soddisfatta. L’ho registrato, ho suonato con la base dell’orchestra sotto. E poi arriva il momento di suonarlo a lezione e sembro la più mediocre dei principianti, senza vibrato, con l’arco che trema, il suono sporco. Non dico di essere un fenomeno, ma mi piacerebbe dimostrare minimamente che non faccio così schifo come sembra. Perché SO che potrei dare molto di più. E il fatto di non riuscirci mi tormenta, mi angoscia da morire. Ma vado proprio fuori, non penso più, non sono concentrata, mi impanico. Ho una paura inaudita, mi vergogno sopratutto.
Forse qualcuno potrebbe pensare, ed è la cosa più logica e razionale che si potrebbe dire: chi te lo fa fare? Se devi soffrire così tanto, perché non mollare?
Io non ho mai pensato nemmeno per un momento di lasciare, sopratutto in vista dell’anno prossimo e della scelta che dovrò fare: entrare in una qualche università o proseguire sulla strada della musica. Malgrado tutto, non mi sono mai rassegnata. Piango dopo ogni lezione, mi dispero, sto malissimo, eppure mai ho pensato di mollare. Ed è per questo che mi deprimo ancor di più, perché fallisco proprio nella mia passione, in ciò che amo fare e che vorrei fare al meglio, ma che poi si traduce ogni volta in angoscia e sofferenza.
Forse se qualcuno mi dicesse chiaro e tondo che non sono in grado mi metterei l’anima in pace.
E pensare che ero così appassionata. Mi piacerebbe esibirmi, fare concorsi, farmi sentire, ma non posso, e allora che continuo a fare?
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claudio
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Re: Consigli...

Messaggio da claudio »

Benvenuta nel forum del Portale del Violino e grazie per queste tue confidenze, che posso immaginare possono anche loro esserti costate qualche sforzo. Credo che nella vita di un'artista, violinista, pittore o scultore che sia, c'è sempre un momento in cui si avverte quella che io definisco come "perdita d'innocenza", ricordo infatti come da piccolo trovavo così facile e spontaneo imitare mio padre che ballava, ripercorrendone all'istante ogni passo a ritmo di danza, che pensavo "ma chi dice che sia così difficile ballare?", visto che per me era così facile. Poi, crescendo, per qualche motivo misterioso quella spontaneità venne meno e da provetto ballerino divenni un orso lento, insicuro e goffo.

Cos'era cambiato?
Semplicemente con la crescita avevo preso coscienza del mio corpo e della sua dimensione spazio/temporale nel mondo, il tutto contornato da una mente divenuta più attenta a cogliere i particolari, degli altri e di sé stessi.

Anche i bambini prodigio soffrono dello stesso problema: per anni sono in grado di suonare, ballare, cantare liberamente, poi improvvisamente il nulla. A Yehudi Menhuin accadde qualcosa del genere, c'è anche un libro in proposito "L'Orfeo tragico", in cui viene raccontata la parabola discendente di un artista che a 12 anni padroneggiava il repertorio da Bach a Beethoven in modo stupefacente, per poi "spegnersi" in modo inesorabile. E stiamo parlando di uno dei massimi interpreti della musica del 1900, che come vedi era anche lui umano, con tutti i suoi limiti.

Ho conosciuto bene anche musicisti di grandissimo talento che pur possedendo un bagaglio tecnico e umano notevolissimo, di fronte al pubblico rendevano una frazione piccolissima di quel che veramente erano capaci di fare. Ho conosciuto anche musicisti che per ritrovare la condizione necessaria per lasciare libere le mani assumevano sostanze varie, tra cui ansiolitici e betabloccanti (per far sì che l'arco non tremasse), riuscendo a raggiungere un equilibrio accettabile, ma niente è dato di sapere sul loro fegato.

E poi come non citare il famoso violista di un leggendario quartetto d'archi, che puntualmente prima di un concerto era preso da un tale terrore da essere vittima di vere e proprie tempeste gastro-intestinali. Siamo umani, non c'è niente da fare, il vantaggio sulle macchine è che sappiamo comunicare emozioni e sentimenti.

E poi come non ricordare anche l'altrettanto leggendario Szeryng, il cui alcolismo andava di pari passo al suo stupendo talento, a cui concedeva una tregua solo qualche giorno prima di un concerto, tempo necessario affinché le mani smettessero di tremare, per poi riprendere allegramente a bere nei giorni successivi.

L'elenco potrebbe continuare all'infinito, ma sono convinto che già da questi pochi esempi, il tuo terrore può trovare una sua ragione per essere meglio compreso. E' evidente che non è sufficiente una bacchetta magica affinché le cose tornino ad una spontaneità stabile e soddisfacente perché la mente e i suoi tarli continuano a lavorare e sono altrettanto convinto che al superamento di un ostacolo, poi ne vengono creati altri più grandi difficili, se non impossibili, da superare, quasi che l'obiettivo primario sia quello di verificare quanto si è bravi a tagliarsi le gambe a soli.

La paura di per sé tende a paralizzare il pensiero e di conseguenza anche il movimento del corpo, è un fenomeno molto noto e che spesso genera disastri, come ad esempio in campo aeronautico, dove dall'analisi degli incidenti di volo viene spesso rilevato come un pilota anche esperto in un momento di emergenza possa aggrapparsi letteralmentein preda al terrore ai comandi dell'aereo, tanto da non riuscire a mollare nemmeno al momento dell'impatto con il suolo. Un tentativo disperato, quanto inutile, di fermare il tempo.

La paura genera questi effetti, bisogna prenderne atto e possibilmente venire a patti. Qualsiasi ne sia la causa, di solito legata ad un processo di crescita nel tuo caso, in cui una normale evoluzione narcisistica può generare qualche incidente di percorso, la cosa importante credo che sia il non perdere il contatto con l'altro, insegnante o pubblico che sia. Accardo diceva che il violinista non deve far vedere quanto è bravo, ma quanto è bella la musica.

Per fare questo è necessario educarsi a procedere a piccoli passi, non prendendo il fallimento come definitivo ma come uno stimolo a ritentare, se non si fanno progressi vuol dire che ci si sta muovendo nel modo sbagliato. E allora si riprendono i piccoli passi cercando di capire dove la mente produce uno scollamento tra se e la realtà che la circonda, cercando di fissare qualche pensiero che in quei momenti sicuramente la attraversa.

Il percorso normale dovrebbe essere il vedere l'inferno qualche istante prima dell'esecuzione, bruciare nell'inferno per i primi minuti dopo che si è iniziato a suonare, per poi riprendere contatto con il pubblico, e quindi con sé stessi, lasciando così ogni tentazione che tu ed il pubblico vi concentriate sulla tua persona e non sulla musica.

Se poi la tua volontà più o meno dichiarata è quella di richiamare su di te l'attenzione del tuo insegnante, questo va aldilà del violino e della musica. Una sorta di transfert sentimentale nei confronti dell'insegnante (ma anche dell'insegnante nei confronti dell'allievo/a), è sempre da mettere in preventivo, di solito si risolve cambiando insegnante, o per l'insegnante cambiando scuola o classe. Ma questi sono casi estremi, che comunque si verificano, non vanno drammatizzati, ma soprattutto si deve rimanere consapevoli del fatto che una musica che non genera emozioni e sentimenti, a volte anche molto contraddittori, non è musica.

In bocca al lupo per tutto.
andante con fuoco
stephanie
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Re: Consigli...

Messaggio da stephanie »

Ciao Niligitur, qualche anno addietro avevo letto il libro "La Paura del Pubblico" scritto dalla grande violinista ungherese Kato Havas, l'ho trovato molto interessante, cerca di affrontare le varie paure, a volte subconscie, nel suonare in pubblico. Magari, se vuoi, potresti provare a leggerlo.

Comunque credo che la paura sia normale nel suonare non solo in pubblico, ma anche nell'ambito di un esame, di una lezione, è qualcosa di sempre psicologicamente più impegnativo e credo che questo sia un aspetto da gestire e su cui lavorare alla pari di tutti gli altri aspetti tecnici di qualsiasi percorso musicale, con tanta pazienza.

Se la Havas ha scritto un libro proprio su questo, significa che è qualcosa di molto comune, non scoraggiarti, prima o poi credo che diventerà tutto più naturale.

Hai provato a suonare davanti a qualcuno, che sia una lezione o anche altre persone che conosci, qualcosa che sia tecnicamente meno impegnativo rispetto al tuo (eccellente) livello, e su cui hai quindi più "margine" di gestione?

In bocca al lupo e buona musica!

Stéphanie
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