A proposito del "suono italiano"

Dedicato a chi si avvicina per la prima volta agli strumenti ad arco.
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enzoviol
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A proposito del "suono italiano"

Messaggio da enzoviol »

Riguardo l’espressione “suono italiano” ho una mia idea, la quale, essendo appunto un’idea, è sviluppabile, perfettibile, mutabile; mi piacerebbe sentire i pareri degli altri utenti del forum.
Se ne è già parlato, ma sarebbe interessante sviluppare l’argomento anche dal punto di vista tecnico dell’esecutore perché penso che gli studenti, utenti del forum, possono trovare stimoli interessanti per sviscerare il problema “produzione del suono”.

Come orchestrale ho avuto la fortuna di accompagnare numerosi strumentisti non italiani di chiara fama internazionale. Non tutti, però, pur avendo tra le mani strumenti eccelsi, sono risultati all’altezza a livello di produzione di suono; cioè non avevano un "bel suono", quello che gli “stranieri” indicano, parlando degli strumentisti italiani, come “suono italiano”.
Mi sono perciò convinto che il “suono italiano”, ovvero il “bel suono”, derivi sì dalla qualità dello strumento, ma anche dal substrato culturale e dal percorso formativo legato, principalmente, alle questioni tecniche dell’arco.
Ho lanciato la pietra nello stagno…
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claudio
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Re: A proposito del "suono italiano"

Messaggio da claudio »

Bellissima la questione che poni, a cui si possono dare infinite risposte senza per questo ottenere mai un'opinione definita.

Il problema del "suono italiano" per me è legato principalmente alla percezione che se ne ha, poichè il concetto cambia molto a seconda della persona, della sua provenienza, della sua cultura, così come bene hai detto tu. Ma sul suono italiano non si transige, e sebbene le modalità di approccio siano molteplici, l'obiettivo è sempre quello di ottenere una timbrica ampia, calda e ricca di armonici. Tutto questo è legato alla qualità fondamentale del canto, che proprio in Italia ha raggiunto vette di infinita bellezza, ed a questo aspetto sono legate le qualità degli strumenti ad arco.

Innanzitutto bisogna distinguere il "suono italiano" riferito agli strumenti ad arco, dalla "musica italiana", sono due facce della stessa medaglia che necessitano attenzioni diverse, quindi per quel che ci riguarda ci concentriamo sullo strumento (e sull'arco), e sul musicista.

Quando ho iniziato a costruire strumenti ho capito subito una cosa importante: che i liutai contemporanei usassero metodiche diverse da quelle antiche, per cui i risultati sonori erano comunque diversi nella sostanza da quelli antichi. Questo ha comportato da parte mia lo stare vicino a chi come Sacconi e Bissolotti, hanno meglio recuperato e studiato questi aspetti.

Faccio un piccolo esempio, ma che ritengo piuttosto importante: circa un paio di mesi fa ho avuto occasione di ascoltare in concerto un duo con il pianoforte un bel violino di Ansaldo Poggi, uno dei maggiori e più importanti liutai del 1900, il cui suono riusciva ad affascinarti per la sua ottima proiezione e dinamica, tuttavia fin dal principio (ho saputo alla fine che si trattava di un Poggi, direttamente dal concertista), ma timbricamente fin dalle prime note ho notato differenze notevoli rispetto al suono degli strumenti originali ("originali" si fa per dire, ma quello sono).

Innanzitutto una prima corda molto penetrante, che è abbastanza tipica per gli strumenti di Poggi, un bell'equilibrio sulle quattro corde, tuttavia i bassi sempre piuttosto "stressati", anche se di grande bellezza, non capaci a mio parere di esprimere quelle sfumature e quelle delicatezze che sono abituato a percepire. Mentre se si prende uno qualsiasi degli strumenti originali, facendo le dovute differenze tra le varie timbriche, il cosiddetto suono italiano si contraddistingue sempre per soavità e grande dinamica, che si tratti di un Amati, di uno Stradivari o di un Guarneri, ma anche di un Ruggeri, un Bergonzi, ecc ecc.

Quindi gli strumenti costruiti tra 1800 e 1900 non suonano necessariamente peggio degli antichi, ma suonano semplicemente diverso, e questo è dovuto essenzialmente non tanto, o non solo, ad un tipo di vernice piuttosto che a un altro, ma a metodiche costruttive che si distaccano dalla tradizione antica. Ricordo che nel caso di una forma stradivariana, basta anche variare le dimensioni originali degli zocchetti per avere variazioni anche sostanziali del timbro, come pure il combinare le bombature, l'uso di determinati spessori, il lavorare la cassa armonica seguendo il metodo chiuso o aperto, e via dicendo.

Ciononostante, quel suono "italiano", pur nelle grandi differenze, sembra ancora appartenere alla nostra cultura, non siamo ancora riusciti a liberarci totalmente di questa nostra eredità, speriamo anzi di riprenderne pieno possesso.
andante con fuoco
enzoviol
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Re: A proposito del "suono italiano"

Messaggio da enzoviol »

Caro Claudio
Sono pienamente d’accordo su ciò che hai esposto e sottoscrivo ogni parola, soprattutto là dove hai scritto: “Ma sul suono italiano non si transige… una timbrica ampia, calda e ricca di armonici” e ancora “il cosiddetto suono italiano si contraddistingue sempre per soavità e grande dinamica”.
Vorrei aggiungere che lo strumentista dovrebbe avere quella sensibilità tecnica-acustico-artistica che possa coadiuvare il liutaio a percorrere, nel tratto finale, la strada, sempre diversa, che conduce alla meta finale dell’ottenimento del “suono italiano”.
E qui, come ben sai, cominciano i problemi; il suono di un violino “sotto l’orecchio” ha una qualità e quantità diverse rispetto al suono sentito da una certa distanza (tipico esempio sono i suoni concomitanti); a ciò si aggiunge la differenza di “concetto di bel suono” che ogni strumentista ha. Mi riferisco, ad esempio e con un po’ di esagerazione per essere più chiaro, a quei strumentisti a cui basta avere sotto l’orecchio 2000db per essere soddisfatti.
Come ho scritto nel post di apertura dell’argomento, spesso strumenti eccelsi e con una montatura perfetta messi in mani non all’altezza perdono le loro prerogative ed emettono un suono, utilizzando un tuo modo di dire usato in un altro post, da scatoletta.
Essendo strumentista era anche su questo argomento che volevo porre l’attenzione, ovvero, fino a che punto e in quale misura la “cavata” (la tecnica dell’arco) va ad influenzare in maniera positiva/negativa la produzione del suono.
Noi strumentisti tendiamo a dare la colpa delle nostre lacune allo strumento.
Per esperienza personale, anche come insegnante, posso dire che basta relativamente poco per comprendere le caratteristiche sonore del violino in funzione della produzione del suono; ma, mi sia concesso di dire e mi si perdoni la presunzione, spesso, quel poco, purtroppo, manca.
Questo portale è una miniera preziosa di informazioni e condivisioni date, a leggere i post, da persone che hanno come scopo ultimo l’Arte e tale scopo dovrebbe essere lo stesso anche per chi “suona”.
E il “suono italiano/bel suono” è uno dei pilastri su cui deve basarsi l’Arte nostra.
Chi si accinge allo studio di uno strumento ad arco, soprattutto da autodidatta, ha bisogno di quei consigli di ordine fisico-meccanico che consentono di risolvere i molteplici problemi legati all’esecuzione.
E il “Portale del Violino” è sicuramente un mezzo perfetto per aiutare chi desidera entrare in possesso o di “riprendere il possesso” della nostra tradizione.
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claudio
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Re: A proposito del "suono italiano"

Messaggio da claudio »

Grazie per gli apprezzamenti, sempre lieto di condividere i miei punti di vista sul suono italiano, frutto di esperienze ormai decennali sia per quanto riguarda i miei strumenti, che le osservazioni fatte durante i concerti su centinaia di strumenti di qualità che ho avuto occasione di ascoltare nel tempo.

Una cosa mi sembra abbastanza certa: il suono italiano non è cosa che ci viene automatica solo per il fatto di essere in Italia, pur possedendo un background culturale che ci favorisce in tal senso è indispensabile un'educazione specifica, senza la quale si va un po' a tentoni sperando che il musicista di turno ci dia la sua approvazione, trascurando il fatto che un punto di vista non è risolutivo per una questione così importante.

Oltretutto c'è il problema importante dell'insegnamento, che a me sembra calato paurosamente nella sua qualità, complice le riforme dei Conservatori di questi ultimi anni. Purtroppo non basta avere talento per esprimere il suono italiano, al tempo stesso non sempre il musicista è conscio di ciò che arriva effettivamente al pubblico, e di come gli arriva.

Più volte mi sono pronunciato con i miei colleghi sulla necessità di confrontarci sul suono dei nostri strumenti, ma poi vedendo che la maggior parte di noi costruisce strumenti seguendo metodiche che poco o niente appartengono alla tradizione italiana, mi sono convinto che forse è meglio evitare lo spreco di energie preziose. Fermo restando che il forum in questo senso è un veicolo prezioso di diffusione delle informazioni che ricollegano e ricostruiscono i collegamenti con la tradizione antica.

Solo recentemente mi sono reso conto di come sia difficile divulgare e fare accettare il metodo della lavorazione a cassa chiusa, figuriamoci poi se poi se si ha in proposito di cercare di confrontarsi sul suono italiano! Dal punto di vista liutario è infatti importante, e qui lo ribadisco, che la formazione sia rigorosamente improntata sulle metodiche e i materiali della tradizione, cioè a dire il metodo della forma interna, la lavorazione a cassa chiusa, l'uso delle vernici ad olio filologiche.

Questi sono i presupposti indispensabili del suono italiano per quello che riguarda l'aspetto liutario. Io non mi ritengo il migliore interprete in questo senso, ma solo una figura che ha tracciato punti importanti su questa strada, che spero possano essere raccolti ed usati degnamente.
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