Sollecitato dagli amici del forum presente nel gruppo di Facebook "Quelli del Portale del Violino", ho deciso infine di procurarmi di una copia dell'articolo al seguente indirizzo http://link.springer.com/article/10.100 ... 013-7792-2 e di studiarmela un poco per capire se ci sono novità dal punto di vista della tecnica costruttiva stradivariana.
Le perplessità erano molte perchè si tratta della sola tavola di un violino stradivariano, per giunta pesantemente restaurata e priva della vernice originale, tuttavia le analisi scientifiche sembrano comunque aver prodotto qualche risultato. Va subito detto che dal punto di vista della vernice vera e propria non ci sono novità, invece per quel che riguarda gli intarsi e i materiali usati è stata fatta qualche osservazione utile.
Intanto la ricerca dendrocronologica fa risalire l'età del legno della tavola all'anno 1659, le rilevazioni sono state condotte con l'ausilio di una fotocamera Nikon D90 con un obiettivo 85/3.5 Micro Nikkor, e su questo non mi sento di dilungarmi oltre in quanto il dato sembra collimare con lo stile di Stradivari della seconda metà e fine 1600.
Per le decorazioni, salvo errori ed omissioni da parte mia nell'aver interpretato l'articolo, è stato usato avorio e un impasto di polvere d'ebano, così come già osservato a suo tempo da Sacconi. Ma la cosa a mio parere interessante riguarda il filetto, e più precisamente le parti esterne di esso, ossia quelle tinte di nero. Già Sacconi aveva osservato che si trattasse di pero su cui è stata operata una coloritura nera, tuttavia non avevo idea di che tipo di tintura potesse trattarsi.
A questo proposito l'articolo sembra dilungarsi abbastanza e in base alle rilevazioni si è risaliti ad un composto molto usato in antichità sia per la scrittura che nell'ebanisteria: l'inchiostro ferrogallico.
Questo inchiostro, noto fin dai tempi più remoti, è stato regolarmente usato per le sue eccellenti qualità, infatti la stragrande maggioranza dei documenti antichi è stata stilata con inchiostro ferrogallico e penna d'oca. Però non sapevo che potesse essere stato usato anche in ebanisteria e in liuteria, e pensandoci bene non poteva che essere così poichè l'inchiostro ferrogallico è in grado di dare colorazioni profonde ed indelebili.
L'inchiostro ferrogallico secondo una ricetta del calligrafo Palatino dell'anno 1545 è composto da 3 parti di noci di galla (come quelle illustrate nella foto del provino), 2 parti di vetriolo romano (solfato ferroso), 1 parte di gomma arabica. Io ho realizzato quest'inchiostro nel febbraio scorso per i miei esercizi di calligrafia "cancelleresca" ed ho ottenuto risultati veramente eccellenti, tanto che questo inchiostro rientra regolarmente nell'uso quotidiano per la calligrafia e il disegno.
Dopo aver letto l'articolo in oggetto, ho quindi sperimentato l'inchiostro su legno, e più precisamente un compensato di pioppo (legno che veniva spesso usato per i filetti). Come si può constatare dalla foto, il pioppo ha assunto una colorazione nera molto convincente e se la paragoniamo a quella dei filetti originali delle foto dell'articolo, sembra che i risultati siano ben sovrapponibili.
I filetti originali comunque non appaiono di un nero molto profondo poichè i ripetuti restauri e lavaggi del legno hanno finito con l'alterare la sostanza della coloritura, tuttavia se osservate le parti colorate più leggere del mio provino, il risultato è praticamente identico.
Quindi se si desidera una coloritura nera che non faccia spessore e che lasci al legno la sua capacità di essere incollato dalla colla animale, e che soprattutto non sporchi il bianco del filetto, l'inchiostro ferrogallico è la risposta che non lascia praticamente alcun dubbio.
Come già anticipato nel convegno sulle vernici che è stato tenuto a Cremona lo scorso maggio da me e da Moroder e Carletti, i materiali tradizionali furono regolarmente usati nella liuteria classica. Infatti nel convegno io ho mostrato un disegno realizzato con terra di siena (pigmento che uso nelle vernici ad olio), e inchiostro ferrogallico (colore che si può usare per il nero dei filetti). Sotto un altro disegno da me realizzato, si tratta di una copia realizzata da un originale dell'architetto Filippo Juvarra dell'anno 1728.
