Da una lettera del 13 Agosto 1708

Da una lettera autografa di Antonio Stradivari, il cui originale è oggi conservato presso il Museo del Violino di Cremona, ai liutai ed agli studiosi di liuteria è nota la seguente frase:
“…compatirà l’tardanza del violino
che è statto la causa per la vernice
per le gran Crepate che il sole non le
facia aprire”.
Il M° Sacconi, ne “I ‘segreti’ di Stradivari” interpreta la frase attribuendo il ritardo della consegna di uno strumento, alla vernice, che per essere uniformemente stesa aveva bisogno del calore del sole. Ritengo tale interpretazione non perfettamente centrata sul vero motivo per cui avvenne il ritardo. Alla luce di notizie riportate su due opere scritte da Cennino Cennini e da Giorgio Vasari, rispettivamente:
“Il libro dell’Arte” (1437) e “Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri” (1550), ritengo attendibile fare un collegamento tra la tradizione liutaria e la tradizione pittorica. Chiunque abbia un minimo di conoscenza della tecnica pittorica, sa che il dipinto, una volta portato al termine, deve essere protetto da una vernice finale, e giova ricordare che la vernice finale aumenta la brillantezza e la profondità dei colori. Le tavole dipinte a tempera di cui parlano diffusamente Cennini e Vasari, dovevano essere verniciate poiché senza questo trattamento, le tempere colorate, a base di colla o d’uovo, apparivano opache e senza alcuna vivacità.
Un primo parallelo tra la frase di Stradivari e l’opera pittorica di Cennini è dato dall’uso del sole, nel capitolo CLV “Del tempo e del modo di verniciare le tavole” il Cennini scrive:
”… Adunque togli la tua vernice
liquida e lucida e chiara la più
che possi trovare. Metti la tua
ancona al sole, e spazzale; forbila
dalla polvere e da ogni fastido,
quanto più puoi; e guarda che sia
tempo sanza vento…. Quando hai la
tavola riscaldata al sole, e
medesimamente la vernice, fa che
la tavola stia piana e con la mano
vi distendi per tutto questa verni-
ce…. Se volessi che la vernice
asciugasse sanza sole, cuocila
bene in prima; che la tavola l’ha
molto per bene a non essere troppo
sforzata dal sole “.
In questo passo si afferma che il calore del sole favorisce non solo l’uniforme distensione della vernice sulla tavola dipinta a tempera, ma anche una essiccazione più pronta e completa, senza dimenticare però che se l’esposizione fosse stata troppo intensa e prolungata, la tavola ne avrebbe risentito. È infatti di comune conoscenza
che il forte calore causa deformazioni e crepe nel legno, la vernice non teme le alte temperature perché essa stessa è nata nel calore e i 70- 80°C che può raggiungere al sole è per essa una mite temperatura, la qual cosa non si può dire per un pezzo di legno o per un violino. Ricordo un musicista che avendo lasciato un suo strumento all’interno dell’auto in piena estate, lo trovò completamente in pezzi.
Secondo collegamento, Vasari nel capitolo dedicato ad Antonello da Messina narra:
“…Giovanni da Bruggia…
avendo egli un giorno infra gli
altri dipinto una tàvola, durato in
quella molte fatiche, e
condottala con una diligenza a la
fine che gli piaceva, le volse dare
la vernice al sole, come si costuma
alle tavole, e cosi vernicata e
lassatola che il sole la secasse, fu
tanto violento quel caldo, o che il
legname fusse mal commesso, o
pur che non fusse stagionato, che
ella si aperse in su le
commettiture di mala sorte”.
In questo passo viene citato Jan Van Eyck (Giovanni da Bruges), da cui Antonello da Messina avrebbe tratto la sua Arte, il quale alle prese con la verniciatura di una tavola dipinta a tempera, dopo averla esposta al sole, senza troppe cautele, causò la rovina
irrimediabile dell’opera, aprendosi questa, malamente sulle giunture. Interessante è notare come l’uso del sole nel trattamento delle vernici sia un’abitudine consolidata. La natura
delle vernici allora usate era a base di resine e oli modificati con la cottura, come si può capire da un passo successivo di Vasari:
“… alla fine trovò che l’olio di
seme di lino e quello delle noci, fra
tanti che ne provò erano più sec-
cativi degli altri.
Questi dunque bolliti con altre sue
misture, gli fecero la vernice che
egli stesso desiderava…. “.
In base agli esempi che ho riportato, le “Crepate” del passo della lettera di Stradivari non sono da attribuire alla vernice bensì al legno del violino, come abbiamo visto molto più sensibile al calore della vernice stessa; quindi, la frase potrebbe essere così interpretata:
“Abbia pazienza per il ritardo
con cui le consegnerò il violino,
ciò è dovuto alla vernice (che ha
bisogno del sole per seccare), e
bisogna stare attenti a che lo
strumento, causa il forte calore
del sole, non abbia ad aprirsi.”
Effettivamente Cremona nel mese di agosto gode di una insolazione che normalmente fa alzare il termometro ben oltre i 30°C, come per molte altre città italiane, subisce in pieno l’influsso del clima continentale: molto freddo d’inverno e caldissimo d’estate. L’influenza del sole è così importante che nella nota corrispondenza avvenuta tra il 1637-38, tra Galileo Galilei e Padre Fulgentius Micanzio, si afferma che uno strumento non può essere portato alla perfezione senza l’aiuto del sole e con questo sarebbe stato pronto in un paio di giorni.
Da tutto ciò sembrerebbe sicuro da parte degli antichi maestri di liuteria e di pittura, l’impiego di vernici ad olio, sembra per lo meno certo che nell’agosto 1708, Stradivari avesse usato una tale vernice. Resta l’interrogativo sul perché le vernici antiche, pur presentando le caratteristiche di vernici ad olio siano al tempo stesso solubili in alcool.
L’olio di lino una volta essiccato resta insensibile all’alcool, ancora di più se a questo viene aggiunta una coppale dura. Da prove da me condotte su vernici ad olio trattato in modi diversi, composte con resine solubili in alcool (es. Mastice, Dammar, Colofonia), si ottiene una vernice morbida, sensibile al calore e all’alcool.
In più l’esposizione solare attiva nell’olio di lino un processo di decomposizione della sua molecola, ed unitamente al fatto che la presenza delle resine ne abbassa il punto di solubilità, cio’ rende questo tipo di vernici attaccabili dai solventi più comuni. Per ciò che riguarda il tempo di essiccazione, esso è variabile da uno a due giorni a patto che la pellicola verniciante sia stata esposta in ambiente arieggiato, con molta luce naturale e ad una temperatura superiore ai 25°C.
È da precisare che la Colofonia, resina che possiede un elevato grado di acidità, deve essere trattata con calce idrata. Così l’olio di lino: uno dei modi per renderlo di più pronta essiccazione: può essere bollito con calce idrata (oleato di calcio), anche se l’olio di lino crudo per la sua maggiore fluidità risulta la scelta più adatta per le vernici destinate all’uso liutario. In linea di principio, non esiste una vernice ideale, Stradivari stesso durante la sua lunga e laboriosa esistenza, ne variò spesso le caratteristiche generali, a seconda del gusto del momento o delle esigenze di consegna dei propri lavori, o della reperibilità delle materie prime; non credo che abbia inventato niente di nuovo: non si può dire che la sua vernice sia
più bella di quella di uno strumento ben conservato degli Amati, infatti noi parliamo di una vernice antica che da un liutaio ad un altro non muta sostanzialmente le proprie caratteristiche.
Le vernici ottocentesche e moderne segnano invece uno stacco netto dalla tradizione antica, che io credo mai completamente smarrita. Rimane da sapere cosa si intenda esattamente con il termine “vernice”, gli antichi lo usano senza aggiungere altro che ci possa chiarire qualcosa sulla sua natura.
Vernice: è un termine che deriva dal latino tardo (circa VIII sec.), nella forma di “veronix – veronicis -veronice”.
Nella lingua greca moderna: “bernìki “.
I vocabolari e i dizionari etimologici riconducono “vernice” al nome femminile di origine macedone “Berenìke ” (Berenice – porto la vittoria), nome di regine d’Egitto, tra cui Berenice II (III sec. A.C.) che diede il proprio nome ad una città della Cirenaica (oggi Bengasi), il cui toponimo non è ancora del tutto scomparso presso alcune popolazioni di quei luoghi. Da questa città sarebbero state importate, nella tarda antichità sostanze resinose di un tipo di vernice. Le ipotesi sono due: Berenice possedeva un porto che si affacciava sul Mediterraneo, da lìvenivano smistate per l’Occidente resine provenienti dall’Oriente.
Oppure Berenice era il luogo di produzione di una pregiata resina: è ben noto che la sandracca è ori ginaria dell’Africa Settentrionale. E’ più che probabile che per “vernice” si intendesse un prodotto resinoso caratteristico di un certo luogo. Che una resina prenda il nome dal luogo di origine o dal porto in cui viene smistata, è alla conoscenza di tutti, alcuni esempi: Colofonia (resina di Colofone, città della Lydia), Congo, Manila, ecc.
È quindi possibile che per un certo arco di tempo “vernice” non avesse ancora acquistato quel significato così ampio e generico che ha oggi. Per avere una piccola idea di come gli stessi nomi con il tempo tendano ad assumere significati diversi, basta prendere alcuni esempi: Sandracca: dal greco “Sandarakè”, di origine assira “çandra raga” (che ha lo splendore della luna), il termine indica il “realgar” (Cennini lo chiama “risalgallo”), bisolfuro di arsenico di colore giallo arancione, usato in pittura fin dalla remota antichità e noto sotto il nome di “sandaracha “. Aristotele nella”Historia Animalium” la identifica con una gomma prodotta dalle api (sandracca = propoli). Oggi con “sandracca ” si indica sia la resina del ginepro, sia quella della “Thuja articulata”. Coppale: dallospagnolo “copal” (azteco”Copalli”), si identifica la “coppaiba” (dal caraibico “Kopaiba”, albero che produce cupaheu. In latino “copaifera officinalis”), nel tempoha dato il nome a resine provenienti da ogni parte del mondo.
Tornando alla città di Berenice, è curioso notare che Galeno (129-200 D.C.), famoso medico, per indicare una qualità scelta di salnitro, usa il termine “Berenìkion “. Il salnitro veniva usato nell’antichità, nei paesi orientali, come sapone e nella imbiancatura e nella tinteggiatura dei panni, si ricavava nei deserti egiziani e persiani. Sembra verosimile, comunque, che Vernice o Berenice avesse un significato preciso fino al XV sec., resta da chiarire se con tale nome si intendesse la sandracca, la gomma di ginepro, il mastice, ecc.
Comunque sia, ognuna di queste resine, unita all’olio di lino fornisce pellicole di qualità eccellente. La storia parla chiaro: nessun segreto, solo l’abilità e il gusto del liutaio o del pittore sanno creare qualcosa di inimitabile. Creare violini e vernici è un processo artistico legato alla personalità dell’artista e all’epoca a cui appartiene. La nostra liuteria oggi ci presenta risultati tra loro assai diversi, che spesso hanno poco a che fare con l’antica tradizione.
Ritengo ciò frutto di una profonda incertezza, alimentata dalla errata convinzione che raggiungere l’Arte sia solo una questione di materiali da usare, ma in assenza di un adeguato background culturale a mio parere si rischia l’empirismo più deleterio. Lungi dall’entrare in polemica con chicchessia, mi si vogliano perdonare eventuali errori ed imprecisioni, spero che il mio modesto lavoro possa costituire uno spunto per ricerche più approfondite.
Bibliografia:
- Cennino Cennini, Il Libro
- dell’Arte, Neri Pozza ed. 1982.
- Giorgio Vasari, Le Vite de’ più
- Eccellenti Architetti, Pittori, et
- Scultori Italiani, da Cimabue
- Insino a’ Tempi Nostri, F.lli Melita
- ed. 1991 vol.2.
- Simone Fernando Sacconi, I
- ‘segreti’ di Stradivari, Libreria del
- Convegno, 1979).
- WE., A.F. and A.E. Hill,
- Stradivari: His Life and Work
- (New York: Dover, 1963).
Claudio Rampini 1994