Il fantastico mondo (dei suoni) di Angela Hewitt.

Angela Hewitt

Per la 79a stagione della IUC (Istituzione Universitaria dei Concerti), lo scorso sabato 4 Novembre ha visto esibirsi all’Aula Magna della Sapienza la pianista canadese Angela Hewitt, che ha eseguito musiche di Mozart, Bach, Schumann.

Sin dalle prime note l’attenzione viene richiamata in modo energico non solo dall’interpretazione della Hewitt, ma dal suo suono, che sulle prime riesce quasi a disorientare, tanta è la nostra abitudine al suono digitale e a quello dell’eterno “Steinway” gran coda che ormai spadroneggia in lungo e in largo sulla maggior parte dei palcoscenici mondiali, e che pure riscuote regolarmente e meritatamente il consenso del pubblico e dei musicisti.

Ma il suono della Hewitt appare da subito come qualcosa di veramente speciale, non solo per la sua qualità rigorosa e potente di attrarre l’attenzione di chi l’ascolta, ma per la qualità meravigliosa degli armonici che ella sa trarre dal suo meraviglioso pianoforte Fazioli.

E’ questa la realtà vera della musica: aldilà del compositore, a cui va in ogni caso il merito e la ragione del nostro vivere un concerto, sta poi al musicista evocare quei profumi e quei colori, senza i quali non esisterebbe più nessun genio della musica capace di allietare questi nostri momenti così inquieti.

Ma quello di Angela Hewitt non è un suono che allevia e distrae, è un suono che fa pensare e per questo capace di ricondurci in modo ordinato e garbatamente energico al nostro essere.

Il linguaggio del corpo di Angela Hewitt si sposa bene con quello di chi la ascolta, così che quasi ci si distrae e non ha quasi più importanza se ciò che si sta ascoltando sia Bach, Mozart o Schumann, ma è il mondo unico e profondo che una musicista è riuscita a creare tra i riflessi bluastri piuma di gallo del suo meraviglioso pianoforte Fazioli, che la segue ad ogni concerto.

Al tempo stesso ci rendiamo conto che in questo mondo fantastico di suoni sia Bach, Mozart, Schumann, ne scaturiscono impreziositi, mai in modo stucchevolmente manierista, ma seguendo una qualità rara di rigore capace di suscitare un’emozione.

Ricordiamo che Angela Hewitt è anche direttore artistico del pregevole “Trasimeno Music Festival” https://trasimenomusicfestival.com/it/

Testo e fotografie: Claudio Rampini

Video: I “segreti” di Stradivari

Lo scorso 24 Giugno assieme ai liutai Marco Vinicio Bissolotti e Wanna Zambelli, si è celebrata una giornata di commemorazione e studio dedicata a Simone Fernando Sacconi nel 50° Anniversario della sua scomparsa, presso il Museo del Violino di Cremona.

Il mio intervento è consistito nel fare una disamina de “I ‘segreti’ di Stradivari”, il libro dato alle stampe da Sacconi nel 1972, prima ed unica edizione di un’opera fondamentale per la liuteria e la musica e mio riferimento costante di ricerca e di studio in tutta la mia vita dedicata alla liuteria.

Ringrazio i già citati Marco Vinicio e Wanna Zambelli per la fiducia e anche il curatore e la direttrice del Museo del Violino, Fausto Cacciatori e Virginia Villa per la stima e lo spazio che mi è stato concesso. Un ringraziamento particolare è dovuto ai liutai cremonesi che hanno assistito e condiviso il mio intervento.

Ho pensato quindi di riproporre il mio intervento su Youtube a beneficio di coloro che hanno avuto occasione di partecipare e degli appassionati e studiosi di liuteria e dell’opera di Sacconi.

Nei video si affrontano i principali argomenti del libro di Sacconi: il disegno della forma, il metodo costruttivo classico cremonese, la vernice, argomenti che ho diviso per ciascun video appositamente dedicato.

Il mio amico Enrique.

Il mio amico Enrique qualche anno prima di morire mi disse “Claudio, tu scriverai il mio epitaffio.” o qualcosa di simile che potesse ricordare degnamente la sua scomparsa.

Io però non lo presi troppo sul serio perché a distanza di più di 3 anni non ho scritto niente su Enrique perché figuriamoci se una persona famosa come lui potesse avere bisogno di un emerito sconosciuto come il sottoscritto per una responsabilità così importante.

Però una volta il mio amico Enrique mi chiese di scrivere al Papa, perchè era una di quelle soddisfazioni che avrebbe voluto togliersi prima di lasciare questo mondo: poter incontrare Papa Francesco e finalmente potergli dire “Figlio mio!”, e abbracciarlo affettuosamente.

Violino Rampini “Irazoqui del Gesù”, dedicato al mio amico Enrique.

Sì, perché il mio amico Enrique, e lo dico con grande senso di orgoglio è stato il protagonista di uno dei film più celebrati di sempre, non sto qui a ricordarne il titolo perché tutti sanno che Enrique interpretò Gesù nostro Signore e Guida nel film di Pier Paolo Pasolini, e che questo ruolo Enrique ha in qualche modo giocato per tutto il resto della sua vita, e per questo esatto motivo mi chiese di scrivere al Papa.

Ed il Papa rispose, seppure per interposta persona del suo segretario, inviando una cortese disponibilità per un’udienza pubblica, nella busta era contenuta anche una foto di Papa Francesco, giusto per ribadire che sul soglio di Pietro non c’è Gesù che tenga. Ma Enrique lasciò perdere tutto, la sua era una richiesta per un’udienza privata, a tu per tu, e non una di quelle cose che stai in mezzo alla folla e il Papa lo puoi vedere solo da lontano.

Io ed Enrique eravamo un po’ come Don Chisciotte e Sancho Panza, nel senso che lui era il cavaliere di belle speranze ed io il suo servo sempre a disposizione, pronto anche a dargli qualche consiglio. Perché fra noi due chi prendeva fuoco e avvampava furiosamente era lui, io un poco mi scaldavo al suo calore, ma anche mi divertivo un mondo perché il suo furore non conosceva limiti e rispetto per nessuno. Enrique in questo possedeva il senso assoluto della democrazia, l’ipocrisia non gli apparteneva e gli uomini erano tutti uguali. Le donne però erano un pò meno uguali, perché nella vita di Enrique, come in quella di Don Chisciotte, la Donna ha fatto veramente la differenza.

Infine anche Angela Molteni, la mia amatissima e compianta maddalena pasoliniana, se ne dovette fare una ragione e parlando di Enrique, che eternamente irrequieto entrava e usciva dalle relazioni umane, ne emergeva un grande affetto, pur tra mille contraddizioni anche Enrique nutriva per Angela un grandissimo affetto, tant’è che per la sua scomparsa fu proprio Enrique ad interessarsi affinché il patrimonio pasoliniano di Angela non andasse disperso.

Il mio amico Enrique Irazoqui.

Un giorno mi trovai disperso e allontanato ingiustamente dalla cerchia di nostri amici comuni, cosa che mi gettò nello sconforto e nell’amarezza, ma venni contattato da un oscuro personaggio tedesco del tipo “Heinrich Heisenberg”, o qualcosa di simile, ma che in realtà era proprio Enrique che segretamente e sotto mentite spoglie mi offriva il suo supporto facendo la spia e comunicandomi le trame dei miei nemici.

Più che suo servitore, io mi sono sentito un poco suo figlio, e per questo credo di averlo deluso quando gli confessai la mia profonda avversione per il gioco degli scacchi, che invece lui adorava, ma che potevo farci? il nostro era un rapporto franco e sincero, io non ho mai pensato di dirgli una cosa per un’altra, e credo neanche lui.

Poi venne il giorno in cui una certa giornalista pubblicò un libro che io ritenevo molto discutibile su Pasolini, e ne scrissi una recensione così feroce, che la giornalista leggendola minacciò seriamente di querelarmi. Ma io non avevo usato un linguaggio offensivo e tantomeno volgare, avevo solo stroncato quell’opera a mio avviso indegna così come farebbe qualunque critico.

Ma io non ero un critico, ero solo un lettore appassionato di letteratura e di Pasolini che ebbe il torto e la presunzione di stroncare un libro che non avevo neppure letto. D’altra parte non c’è bisogno di mangiare il piatto di zuppa se già prima di assaggiarla avverti un odore disgustoso!

In quell’occasione fu proprio il mio amico Enrique che mi salvò, perché prese apertamente le mie difese in nome dell’affetto che provava per me, ma sopratutto a difesa del diritto di parola e di pensiero.

Ecco, Enrique era uno stratega ed io il suo opposto, e come è noto gli estremi si toccano, e quindi andavamo perfettamente d’accordo. Solo una volta, quando Enrique voleva spingermi ad una specie di colpo di stato in un gruppo social vagamente pasoliniano, io gli resistetti perché semplicemente mi sembrava inutile spendere energie per una cosa altrettanto inutile. E lui in qualche modo si offese, e penso anche che si arrabbiò con me, ma nei fatti il nostro rapporto rimase invariato e pieno d’affetto, solo che da allora in poi credo che Enrique abbia pensato a me come ad una specie di bradipo in forma umana.

Allora, io tentai di fargli capire che la mia strategia andava oltre alla partita di scacchi, non mi interessava vincere la battaglia, ma puntavo direttamente a Dio, ed i suoi occhi si riaccesero di entusiasmo perché l’idea di andare oltre l’impossibile gli era sempre piaciuta. Enrique odiava la mediocrità, molte persone intorno a lui lo frequentavano solo perché era una persona famosa, e di questo il mio amico ne aveva una precisa ed esatta contezza, e se ne serviva come e più gli piaceva, perché in fondo era sempre lui a muovere le pedine nel suo universo.

Un giorno Enrique mi chiese “Claudio, devi fare un violino speciale che porti il mio nome, passerà alla storia come il violino “Irazoqui del Gesù”, che in effetti suonava un po’ ridondante perché lui era già Gesù in tutto e per tutto, ma riprendendo il più famoso liutaio Guarneri del Gesù, il nome che aveva scelto era perfettamente adeguato alla sua figura. Ed oggi quel violino barocco che porta il suo nome riporta in vita il mio amico Enrique con il suo suono, le nostre battaglie di ragazzi di strada, il nostro comune amore senza tempo per Dulcinea.

Claudio Rampini

Il 50° Anniversario della morte di S. F. Sacconi.

E’ vicina la data che ci vede uniti nel dedicare a S. F. Sacconi due giornate nel 50° anno della sua scomparsa. Infatti, il prossimo 24 e 25 giugno presso il Museo del Violino di Cremona, in collaborazione con la sua direzione e i liutai Marco Vinicio Bissolotti, Wanna Zambelli, Claudio Rampini, avremo modo di ricordare la figura di Sacconi e di discutere sulla sua opera in due giornate ricche di eventi. Il programma completo dell’evento è disponibile presso il sito ufficiale del Museo del Violino.

Questo il programma completo della prima giornata:

Simone Fernando Sacconi, una vita per Stradivari – I sessione

sala Fiorini del Museo del Violino, ore 10,00-11,30

Saluti Istituzionali
Fausto Cacciatori – Simone Fernando Sacconi e la rinascita della liuteria cremonese
Bruce Carlson – La disciplina del restauro: ricerca e applicazione
Wanna Zambelli –  Simone Fernando Sacconi, padre adottivo dei giovani liutai
Marco Vinicio Bissolotti – Francesco Bissolotti e la lezione di Sacconi
Comunicazioni: Salvatore Accardo,  Peter Beare, Carlos Arcieri

ingresso libero sino ad esaurimento dei posti disponibili

AUDIZIONE SPECIALE “Una vita per Stradivari”

Auditorium Giovanni Arvedi, ore 12,00

violino Simone Fernando Sacconi 1941
Gian Andrea Guerra

acquista il biglietto on line:
sabato 24 giugnodomenica 25 giugno
biglietti disponibili anche presso la biglietteria del Museo

 
Simone Fernando Sacconi, una vita per Stradivari – II sessione

sala Fiorini del Museo del Violino, ore 14,30-17,30

Claudio Rampini –  I “segreti” di Stradivari

Tavola rotonda

coordina: Fausto Cacciatori

Intervengono: Claudio Rampini, Bruce Carlson, Davide Sora, Marco Vinicio Bissolotti, Wanna Zambelli 

ingresso libero sino ad esaurimento dei posti disponibili

Per ulteriori informazioni: Museo del Violino

Claudio Rampini

Quel pomeriggio di una calda estate assieme al Sacconi Quartet.

Cosa c’è di più bello di un quartetto di Beethoven? la risposta non può che essere una sola: un quartetto suonato bene.

Questa non è semplice retorica, perché se un quartetto di Beethoven è ben suonato, e sappiamo molto bene quanto sia difficile eseguire bene uno qualsiasi dei brani di musica da camera del grande compositore tedesco, e che ad oggi quelle del Quartetto Italiano costituiscano ancora esecuzioni di riferimento, è tutto dire.

Le ragioni sono molteplici e sono quasi tutte legate alla complessità del pensiero musicale di Beethoven, la cui apparente semplicità dei temi non lascia scampo al malcapitato musicista che si lasci incantare dalle apparenze, magari dando un risalto eccessivo alle seduzioni barocche o al rigore tragicamente anticipatorio del repertorio cameristico novecentesco.

Insomma, ogni frase di uno qualsiasi dei quartetti di Beethoven, ed in specie gli ultimi cinque della sua produzione creativa, non lascia adito a nessun tipo di superficialità, ma questo non significa che il musicista non debba necessariamente eseguire il tutto con immediatezza e semplicità.

In buona sostanza queste sono state le impressioni di ascolto che ho ricavato il 5 Luglio nell’assistere alle prove prima, e al concerto dopo, dell’ensemble inglese Sacconi Quartet, che a mio modesto parere hanno dato una splendida prova nell’approcciare il quartetto n.14 op. 131 di Beethoven nella bella cornice costituita dalla limonaia di Villa Valvitiano (PG), nel contesto del Trasimeno Festival 2022.

Il motivo che ha spinto me e la collega liutaia Wanna Zambelli ad avvicinare il Quartetto Sacconi risiede principalmente nel fatto che il gruppo suona con ben tre strumenti costruiti da Simone F. Sacconi, rispettivamente due violini del 1927 e del 1932, e una viola del 1934, senza dimenticare un bellissimo violoncello di Nicolò Gagliano del 1781.

In vista del 50° anniversario della morte di Sacconi che cadrà il prossimo 2023, non ci sarebbe modo migliore per celebrare l’evento se non quello di di ascoltare in concerto i suoi meravigliosi strumenti, e di poterlo fare invitando il Sacconi Quartet a Cremona, città amatissima da Sacconi, nella quale ha formato liutai importanti tra i quali Francesco Bissolotti e Wanna Zambelli.

L’atmosfera informale della prova mi ha permesso di apprezzare fino in fondo le qualità interpretative del Sacconi Quartet, che ha rivelato fin da subito una grande padronanza del repertorio, che nella fattispecie oltre al già citato quartetto op. 131 di Beethoven, hanno eseguito anche “On the street and in the sky” (prima esecuzione in Italia), una composizione che l’inglese Jonathan Dove ha scritto appositamente per il Sacconi Quartet.

La viola Sacconi suonata da Ben Ashwell ha attratto subito la mia attenzione, non solo per la sua indubbia e ineludibile bellezza, ma anche per le sue ragguardevoli dimensioni, si tratta infatti di una viola tenore la cui lunghezza della cassa armonica si avvicina ai 50cm, e considerato che Ben Ashwell non sia un gigante, ma un uomo dalla figura esile ed elegante, e di altezza normale, qualche dubbio sulla suonabilità di uno strumento così particolare mi è venuto. Ma fin dalle prime note ho notato una grande libertà e disinvoltura, tanto che uno strumento così grande, con il passare dei minuti, ha finito perfino per sembrarmi di dimensioni normali.

Come dicevo in apertura, per me una delle qualità fondamentali per eseguire in modo ottimale uno degli ultimi quartetti di Beethoven , è di farlo con immediatezza e semplicità, il che non deve essere inteso nell’accezione di superficialità e banalità, per questo motivo ho apprezzato molto il Sacconi Quartet, che fin da subito riescono a coinvolgerti in uno spettro sonoro davvero molto ampio, e che riescono a farlo senza retorica, ma con semplicità, appunto.

Perché uno qualsiasi degli ultimi quartetti di Beethoven è animato da una tensione drammatica quasi fuori dall’umano, e la tentazione potrebbe essere quella di esaltare questo aspetto: niente di più sbagliato. Basta Beethoven per questo, non c’è niente altro da aggiungere oltre a ciò che Beethoven ha scritto.

Ben Ashwell e Cara Berridge

Il Sacconi Quartet ha eseguito l’op. 131 a memoria, cioè a dire senza l’ausilio dello spartito, cosa che potrebbe sembrare un particolare di secondaria importanza, ma che Elisa Pegreffi ebbe occasione di rimarcare in una sua memorabile intervista sul Quartetto Italiano, per cui il suonare a memoria e farlo in un contesto cameristico, fa davvero una grande differenza, per cui musicisti e pubblico hanno la possibilità concreta di farsi una cosa sola di fronte al pensiero musicale.

In conclusione, mi è impossibile non spendere ancora qualche parola sugli strumenti di Sacconi: io credo che con questo incontro con il Sacconi Quartet, viene a cadere definitivamente uno dei pregiudizi più duri a morire che riguardano gli strumenti ad arco e che vede contrapposti su due fronti strumenti antichi e moderni: se gli strumenti, come quelli di Sacconi, sono ben costruiti e sono in mano ai musicisti giusti, questa differenza non ha nessun motivo di esistere. Ho ascoltato grande musica eseguita in modo splendido, non mi è venuto di pensare neanche per un attimo agli strumenti, cioè a dire che gli strumenti sono buoni quando smetti di pensarci.

Testo e foto di Claudio Rampini