Alvise Filippo Stefani con il suo romanzo “Johann allein” pubblicato da Diastema Editrice è il vincitore della seconda edizione del premio letterario Lorenzo Da Ponte, il concorso letterario riservato a testi narrativi inediti contenenti inequivocabili riferimenti musicali.
L’autore è un giovane violinista e l’ispirazione per questo romanzo è arrivata durante lo studio delle Sonate e Partite di Bach per violino solo delle quali, nella seconda parte del testo, con prosa colta e raffinata, propone un’analisi emotiva ipotizzando le emozioni del grande compositore mentre scriveva questa musica, in un momento molto difficile della sua vita.
Anno domini 1720. Ritornato a Köthen dopo due mesi di assenza, un giovane Johann Sebastian Bach scopre che Maria Barbara, la prima moglie, si è ammalata ed è morta. Un evento importante nella vita del musicista, ma che tuttavia svanisce senza essere troppo affrontato dalla biografia ufficiale, sulla scia dell’immagine del kantor sorridente e inflessibile di Lipsia che i posteri hanno ricostruito. Al contrario, il giovane Bach fu un uomo sanguigno e vitale, un animo agitato da ogni passione, anche di un’ira esplosiva di cui i suoi contemporanei danno testimonianza. Lungi dal voler essere biografico o storico, il romanzo ripercorre la vita di Bach attraverso le selve della Turingia e della Sassonia, ma si propone anche come una meditazione centrifuga di un giovane Bach nella solitudine della sua dimora di Kothen. Ripercorrendo la vita del maestro, Stefani cerca di descrivere il comportamento di un uomo di fronte a misteri che ancor oggi affliggono il nostro presente tanatofobo, indagando le vie e i paesaggi musicali attraverso cui il giovane compositore è riuscito a esprimere il suo dolore trasfigurandolo con la sua arte e rendendo quindi omaggio a Maria Barbara, lasciata troppo spesso nella penombra della morte prematura avvenuta esattamente trecento anni fa.
Alvise Filippo Stefani è nato a Treviso nel 1994 e si è laureato in Lettere Classiche a Venezia con specializzazione in Filologia e Letteratura Italiana. Attualmente si sta perfezionando presso l’Indiana University (Bloomington, IN). Accanto agli studi letterari sta portando avanti lo studio del violino, collaborando con orchestre giovanili e da camera; ha partecipato a varie masterclass.
Ho il piacere di segnalarvi la recente uscita di nuovo album del violinista Alessio Bidoli, dedicato alle composizioni di musica da camera di Nino Rota, uno fra i più significativi autori musicali del XX secolo legato alla storia del cinema. “Chamber Works”, pubblicato da Decca Italy e in distribuzione presso i migliori negozi di musica e sulle principali piattaforme digitali, è un lavoro che il giovane musicista milanese ha interpretato insieme a Bruno Canino al pianoforte, Massimo Mercelli al flauto e Nicoletta Sanzin all’arpa.Il brossurato è impreziosito dalle opere di Gabriele Basilico e Federico Patellani gentilmente concesse dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia unitamente alla mano di Manfredo Pinzauti.
Il talento di Nino Rota, enfant prodige che all’età di undici anni aveva già composto un oratorio per soli, coro e orchestra si è spesso cimentato in forme strumentali impegnative: in questo album si è scelto di privilegiare alcune delle sue pagine cameristiche più suggestive. Il repertorio selezionato contiene opere attinenti alla sua produzione neoclassica come anche alla trascrizione cameristica di brani tratti dalle musiche che compose per il cinema meno noto.
“L’idea di questo lavoro – afferma Alessio Bidoli – mi è venuta dopo aver ascoltato durante una notte insonne una sua intervista su RAI3. Nino Rota parlava della sua vertiginosa carriera con la semplicità dei grandi e questa umiltà e semplicità mi ha fortemente colpito. Ovviamente lo conoscevo perle colonne sonore del cinema, ma anche perché aveva insegnato al Conservatorio di Bari dove anch’io ho avuto per due anni una bella esperienza lavorativa. Sono quindi andato a curiosare nel suo repertorio cameristico e sono stato molto sorpreso dal fatto che molte sue composizioni meno note fossero davvero poco eseguite . Ecco quindi l’idea di questo disco insieme a Bruno Canino (con cui ho inciso già quattro CD), Massimo Mercelli e Nicoletta Sanzin, per far conoscere ai giovani studenti e agli appassionati della musica del ’900 anche il repertorio da camera raffinato e ironico di questo grande compositore italiano, e ringrazio la Decca per avermi dato questa opportunità.”
Nino Rota affermava: “Non credo a differenze di ceti e di livelli nella musica: il termine ‘musica leggera’ si riferisce solo alla leggerezza di chi l’ascolta, non di chi l’ha scritta”. Tale pensiero – secondo Nicola Scardicchio autore della nota introduttiva nel pregevole libretto che accompagna il CD, è perfettamente applicabile alla differenza tra musica da concerto e musica per il cinema: “Gli scambi dalla sala da concerto alle sale cinematografiche connotano un compositore che non stabiliva barriere di genere in un’arte come quella musicale che per Rota aveva senso proprio in quanto libera da limiti di sorta”.
Non è certo la prima volta che la violinista Chiara Zanisi e il compositore Giovanni Sollima collaborano per un progetto discografico, ma in “The Lady from the Sea”, ultima incisione pubblicata dalla casa discografica francese Arcana, i due artisti intraprendono insieme un viaggio non convenzionale, un viaggio musicale per mare, alla ricerca di nuove forme espressive senza confini geografici. Il titolo del CD si ispira al dramma teatrale di Ibsen in cui la protagonista Ellida si consuma tra la passione trasgressiva per un marinaio lontano, e quindi l’attrazione verso l’ignoto, e il lido sicuro del suo matrimonio, finché, lasciata libera di scegliere, rimarrà accanto al marito. La libertà è un valore assolutamente irrinunciabile per musicisti come Chiara e Giovanni accomunati anche dallo stesso modo fisico di sentire il suono dei propri strumenti e dalla tendenza visionaria di entrare con la mente nelle venature del legno, attraverso la musica e le emozioni. Due musicisti che hanno una naturale curiosità e propensione all’esplorazione di generi e repertori musicali meno ascoltati: “The lady from the Sea” spazia dalla musica colta a quella popolare, dall’antico al moderno, oltrepassando le barriere di genere, esplorando il repertorio per violino e violoncello.
Il viaggio inizia con la Seconda Suonata RV71 di Antonio Vivaldi, incontrando le sonoritá scozzesi di Francesco Barsanti, offrendoci due chicche inedite del violoncellista romano Giovanni Battista Costanzi, il tutto scandito da brani tratti da “Suite Case”, ciclo scritto appositamente da Sollima per questo progetto. Così ne parla Giovanni Sollima: “Il viaggio è da sempre un tema ricorrente nella mia vita, ma quello con Chiara è diverso, per me nuovo. La musica attraversa il tempo e lo spazio con un violino nobile, intenso e ricco di colori che si unisce ad un violoncello pieno, nostalgico, ancestrale. Una bolla magica di forza, fragilità, intensità e stupore. Una Luna piena, gravida, protettiva ha guardato dall’alto la nostra registrazione mentre una musica incredibile ci sorprendeva.”
Chiara Zanisi suona un violino di Giuseppe Gagliano del 1761, Giovanni Sollima il violoncello Francesco Ruggeri del 1679.
La violoncellista romana Erica Piccotti in duo con il pianista israeliano Itamar Golan si sono esibiti sabato scorso all’Aula Magna della Sapienza, per il ciclo Calliope della stagione IUC (Istituzione Universitaria dei Concerti). Qui il programma.
Erica Piccotti nasce a Roma e questo è stato il suo primo concerto romano, quindi per noi un’occasione particolare per saggiare le sue qualità di musicista e di interprete.
Erica Piccotti ha 21 anni, quindi secondo i canoni del pensiero del terzo millennio appena iniziato, essa è anagraficamente giovane, tuttavia questo non ci permette di fare uso del luogo comune per cui la giovinezza del musicista diviene inopinatamente un valore assoluto.
E non parleremo di “astro nascente”, né tantomeno di “enfant prodige”, perché qui di bambini non ce ne sono, parleremo solo di una musicista di talento.
Il talento è una di quelle grazie poco spiegabili per cui molti ne hanno, ma le punte di eccellenza toccano a pochi. Di solito se un bambino ne è dotato lo si capisce subito da chiari segnali, ma il capitalizzare tanta fortuna è spesso un gran problema poiché per problemi vari il talento lo si può perdere per strada.
Non è il caso di Erica Piccotti, il talento e le energie che l’accompagnano sembrano essere stati bene incanalati, per cui fin dalle primissime note la musicista romana rivela un intento creativo dinamico, ampio e di grande respiro, un messaggio chiaro ed inequivocabile che a prescindere da tutto, perfino dalla composizione che si sta eseguendo, ci dice “questa è la mia musica!”.
Erica Piccotti ha suonato un repertorio tipicamente tardo romantico e novecentesco, che notoriamente impegnano moltissimo sia il violoncello che il pianoforte, laddove il secondo, nonostante le partiture dichiarino spesso il contrario, viene relegato a mero ruolo di contorno nell’ingenuo intento di porre in risalto il violoncello, spesso senza essere pienamente consci che in questo modo il suono che ne risulta viene mortificato.
In questa occasione il duo Piccotti-Golan ci ha regalato note vere immerse in un dialogo autentico tra i due strumenti, senza risparmio, da una parte l’energia fluida di Erica Piccotti, dall’altra l’esperita sapienza di Itamar Golan, uno di quei pianisti che ogni musicista vorrebbe avere al proprio fianco per la capacità di ascolto e di comprensione di ciò che sta suonando lui stesso e il suo collega.
Quindi parliamo di estrema attenzione al particolare, ma soprattutto attenzione derivata da un’intesa perfetta, per cui il pianoforte che non si limita ad accompagnare limitando la propria dinamica, e che ha reso in questo caso il suono del violoncello al doppio della sua normale sonorità.
Erica Piccotti ha suonato uno strumento costruito da Giovanni Battista Genova (scuola torinese di Celoniato), dell’anno 1770, uno strumento di piccole dimensioni (cassa lunga 73.6cm rispetto ai 75cm, io amo la forma classica stradivariana lunga 75.6cm), che non si è lasciato affatto intimidire dallo Steinway di Golan, e questo per una semplice ragione: uno strumento più grande, che si parli di violoncello, di viola o di violino, non produce maggior volume di suono, bensì vengono registrate solo variazioni a livello timbrico, cioè a dire che uno strumento più grande ha la capacità di suonare più scuro (con tutto ciò che ne consegue per la proiezione del suono).
Quindi il violoncello Genova di Erica Piccotti si è distinto per una voce più nel carattere soprano, cioè a dire che non possiede la profondità avvolgente di un Montagnana (che spesso nemmeno gli Stradivari o quelli di altri celebri autori posseggono), ma capace di una grande espressione nel fraseggio e comunque dotato di una profondità dei bassi rispettabile, sempre nitida, ben definita, che si proietta senza difficoltà in qualunque punto della sala.
Il modo di suonare di Erica Piccotti ci è parso quindi spontaneo e dotato di grande energia, le foto credo siano abbastanza eloquenti. Nelle mie riprese non indulgo a ritocchi migliorativi dell’immagine, spesso mi limito ad aggiustare nitidezza e contrasto perché amo restituire al meglio possibile l’atmosfera reale dell’evento, questo significa che se nelle foto non viene restituito il senso dell’esperienza musicale spesso è dovuto all’impossibilità di mostrare un qualcosa che non c’era, che era completamente assente, e che nessun intervento migliorativo di post-produzione può in alcun modo aggiungere.
Questo lo dico perché la capacità di trasfigurazione di Erica Piccotti è notevole, in genere tutti i musicisti diventano più belli ed intensi mentre suonano, ma per lei le cose vanno diversamente, almeno dal mio punto di vista. Cioè a dire che l’impeto di passione rende il suo volto non diverso da uno dei tanti personaggi femminili protagonisti della pittura di Caravaggio, il suo tenere gli occhi chiusi, il volgere la testa all’indietro, perfino la lunga capigliatura ondeggiante ed inquieta, richiamano le sembianze popolari del barocco romano.
Quindi parlare di astro nascente nel caso di Erica Piccotti non mi piace semplicemente perché nel suo suono e nella sua musica scorgiamo più dimensioni, una finestra sul tempo che lei sembra essere capace di aprire.
Il violinista greco Leonidas Kavakos e il virtuoso del pianoforte Enrico Pace inaugurano, giovedì 23 gennaio alle ore 20.30, la Stagione Concertistica 2020 del Teatro Regio di Parma, realizzata dalla Società dei Concerti di Parma, con il sostegno di Chiesi e in collaborazione con Casa della Musica. Leonidas Kavakos debutta al Regio con un programma interamente dedicato a Ludwig van Beethoven, per celebrare il 250° anniversario della nascita del compositore, interpretando insieme a Enrico Pace la Sonata n. 2 per violino e pianoforte, in la maggiore, op. 12 n. 2, la Sonata n. 3 in mi bemolle maggiore, op. 12 n. 3, la Sonata n. 6 in la maggiore, op. 30 n. 1 e la Sonata n. 7 in do minore, op. 30 n. 2.
“Un po’ di sapore mozartiano ma anche l’inconfondibile impronta beethoveniana – scrive lo storico della musica Giuseppe Martini – le sonate per violino e pianoforte dell’op. 12 e dell’op. 30 mostrano il momento in cui Beethoven fa esperimenti per diventare sempre più Beethoven e congedarsi lentamente dal Settecento, lasciando anche qui tracce di grandezza e personalità”. Nel 2007, la registrazione delle Sonate per violino di Beethoven eseguite dal duo ha ricevuto un ECHO Klassik ‘Instrumentalist of the Year’ e il loro recente progetto dedicato alle sonate per violino e pianoforte si è concretizzato in un’incisione integrale per Decca e nell’assegnazione del Premio Abbiati della critica italiana.
Nato e cresciuto in una famiglia di musicisti di Atene, Leonidas Kavakos è ritenuto artista di raro talento apprezzato in tutto il mondo per il suo ineguagliabile virtuosismo e la sua grande musicalità. Collabora con le orchestre più rinomate e con i direttori più importanti a livello internazionale, è ospite regolare dei maggiori festival e delle più prestigiose sale concertistiche di tutto il mondo. Registra in esclusiva per Sony Classical. I suoi più importanti mentori sono stati Stelios Kafantaris, Josef Gingold e Ferenc Rados e all’età di ventun anni aveva già vinto tre prestigiosi riconoscimenti: il Concorso Sibelius nel 1985, il Premio Paganini e il Concorso di Naumburg nel 1988. Cura ogni anno nella sua città natale una masterclass di violino e musica da camera che richiama violinisti ed ensemble di tutto il mondo e dimostra il suo profondo impegno nel tramandare la conoscenza e le tradizioni musicali, come la creazione degli archetti che definisce un “grande mistero e un segreto non svelato”. Suona un violino Stradivari ‘Willemotte’ del 1734.
I biglietti per il concerto sono in vendita presso la Biglietteria del Teatro Regio di Parma e online su teatroregioparma.it. Per informazioni tel. 0521 203999 – biglietteria@teatroregioparma.it. Promozioni e agevolazioni sono riservate a Under30, Over65, famiglie, lavoratori in stato di disoccupazione, cassa integrazione, mobilità, giovani e docenti che usufruiscono del Bonus Cultura 18App e della Carta del Docente, gruppi composti da più di 20 persone.
La Stagione 2020 della Società dei Concerti di Parma è realizzata grazie all’Assessorato alla Cultura del Comune di Parma – Casa della Musica, con il sostegno di Chiesi Farmaceutici, Main Partner Sinapsi Group, Fondazione Monte Parma, Friends Cedacri, Ilger.com, Skidata, Partner Teatro Regio di Parma, Rangon, Hotel Button.
Supporta il Portale del Violino disattivando il tuo ad blocker (blocco della pubblicità). La pubblicità ci aiuta a servirvi al meglio. Grazie!
Please support this website by adding us to your whitelist in your ad blocker. Ads are what helps us bring you premium content! Thank you!