Nel cuore di Roma c’è un cuore che batte, così dice la canzone di uno dei figli prediletti di Roma: Antonello Venditti. Ma Roma di cuori ne ha tanti, o per meglio dire, il cuore di Roma è uno ed è fatto di tante cellule e tra queste c’è sicuramente il liutaio Giuseppe Lucci (1910-1991), ravennate di nascita (Bagnacavallo), e romano di adozione, quando nel 1953 scese a Roma e rilevò quella che fu la bottega di un altro grande figlio di Roma: il liutaio Rodolfo Fredi.
A Giuseppe Lucci è attribuita la costruzione di circa 700 strumenti, un numero impressionante se pensiamo che nella vita di un liutaio già raggiungere il numero di 300 rappresenta una meta ragguardevole. Tra i suoi numerosi meriti, certamente non possiamo dimenticare che Lucci presiedette il collegio peritale dell’allora “ANLAI”, vero fulcro della liuteria italiana fino ai primi anni ’80 del 1900.
In un mondo come quello della liuteria, spesso frammentato da interessi personali e localistici, quello dell’ANLAI di Lucci ha rappresentato un unicum che per competenza ed importanza non si è mai più ripetuto nel nostro paese: un collegio di periti in grado di esprimere valutazioni e giudizi obiettivi sugli strumenti, laddove da sempre la regola del commercio vede interessi non sempre trasparenti ed univoci.
Raffella Lucci e Rodolfo Marchini, rispettivamente figlia e genero di Giuseppe, mi hanno ospitato nella loro casa di via Firenze a Roma, a ridosso del Teatro dell’Opera, un appartamento in uno dei tanti eleganti palazzi ottocenteschi nati dopo l’unità d’Italia. Varcata la soglia quel che colpisce non è solo simpatia e cordialità, ma un’atmosfera decisa di violini, musica e cultura del 1900.
Mi guardo attorno, rimango affascinato dalle numerose vetrine che ospitano tanti begli strumenti, una straordinaria collezione di mandolini, chitarre e strumenti ad arco di tutte le epoche, numerosi i diplomi e attestati di merito di Giuseppe e Rodolfo che fanno bella mostra di sé sulle pareti. Ma non ho tempo di far domande che subito vengo investito dall’irruenza di Rodolfo, immediatamente si apre un mondo di liutai che oggi sono entrati nel mito: Garimberti, Ornati, Sacconi, Poggi, Bisiach, solo per citarne alcuni.
Questi liutai sembrano improvvisamente riprendere vita attraverso le memorie di Raffaella e Rodolfo Marchini, mi viene raccontato di come Sacconi nei suoi periodici viaggi di ritorno in Italia frequentasse regolarmente la loro casa, delle ire di Ferdinando Garimberti e del carattere non facile di Ansaldo Poggi, il tutto accompagnato da strumenti che farebbero la gioia di ogni musicista e collezionista, che aldilà del certificato di autenticità, sono accompagnati da storie ed aneddoti che per un mio dovere di riservatezza sono tenuto a non rivelare, ma che aldilà di ogni cosa svelano come dietro ogni strumento sia comunque straordinario incontrare la storia delle persone, le loro glorie e le loro miserie.
Vedo il lavoro preciso e personale di un violino di Leandro Bisiach, una semplicità ed immediatezza di stile, bordi vigorosi, sgusce che modellano tavola e fondo in modo mirabile, vernice sottile di buona pasta e mai invadente, uno stile generale raccolto e deciso, oltre che un bellissimo strumento appare essere uno stupendo saggio di scultura, nella migliore tradizione della scuola d’intaglio italiana.
E poi una viola di Giuseppe Lucci, anche in questo caso una cura meticolosa del particolare, niente lasciato al caso, uno stile imponente ed autorevole come solo chi è abituato a maneggiare strumenti classici può padroneggiare. Anche in questo caso la vernice su toni arancio appare ricca ma mai invasiva, un buon vestito che non umilia il corpo che lo ricopre.
Poi ancora una viola e un violino di Rodolfo Marchini, i richiami a Giuseppe Lucci sono evidenti, ma lo stile appare comunque autonomo, le “FF” tagliate in un modo sapiente, laddove la precisione non è un esercizio geometrico, ma espressione di armonia. Credo sinceramente che il lavoro di Marchini dovrebbe essere preso a riferimento da molti liutai giovani e meno giovani del nostro tempo, personalmente non sono mai stato un grande cultore della liuteria novecentesca, ma davvero la tradizione che passa attraverso le mani di Giuseppe Fiorini, Sacconi, Ornati, Bignami e tanti altri debba essere raccolta e valorizzata nel lavoro dei giovani liutai.
Oggi Roma, purtroppo, non sembra più essere al centro della cultura liutaria antica e moderna, ma sono felice di constatare che invece la realtà parla in modo del tutto diverso, la cultura liutaria italiana rappresentata da Raffaella Lucci e Rodolfo Marchini è di inestimabile valore e gode di ottima salute. Basta capirlo, basta uscire dal luogo comune delle moderne consorterie commerciali che riducono tutto ad uno stile impersonale stereotipato.
Testo e fotografie di Claudio Rampini