Guarneri del Gesù: il disegno della forma.

Disegno della Forma G – Antonio Stradivari, basato sul metodo della sezione aurea.

Ho iniziato a costruire violini nel 1985 basandomi quasi esclusivamente sul libro di Sacconi “I ‘segreti’ di Stradivari”, perché pur completamente a digiuno di una qualsiasi competenza liutaria, ne apprezzai subito la bella proprietà di linguaggio e la completezza delle informazioni.

Uno dei miei capitoli preferiti è proprio quello dedicato alla forma del violino, ed è quello su cui mi sono basato per costruire i miei strumenti da allora fino ad oggi, perché ho sempre pensato che un liutaio debba essere padrone di creare le proprie forme in modo originale.

Anche se il disegno della forma a mano di Sacconi contiene alcune imprecisioni sul calcolo della sezione aurea e il riporto della lunghezza della forma “G” originale (lunga 350.4mm e non 354mm, come riportato nel libro), ho sempre trovato affascinante questo suo metodo, che trova i suoi fondamenti nella opera di Luca Pacioli “De Divina Proportione” del 1509, i cui insegnamenti vengono ancora oggi praticati presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Ricordo a questo proposito che nell’introduzione del libro “I ‘segreti’ di Stradivari” di Sacconi, curata da Alfredo Puerari, è chiaramente scritto che Sacconi abbia frequentato il corso di studi nella sua completezza presso l’accademia romana. Quindi è lecito pensare che Sacconi abbia imparato proprio lì questo metodo che poi egli ha applicato al disegno della forma Stradivariana.

Forma G originale Antonio Stradivari – Museo del Violino – Cremona.

Negli anni ho disegnato con questo stesso metodo non solo le forme dei miei violini, ma anche quelle dei violoncelli e delle viole, ispirandomi a Stradivari, Amati e Andrea Guarneri (per le viole) e Giuseppe figlio di Andrea, trovando sempre congrue corrispondenze che mi hanno permesso di realizzare strumenti al tempo stesso personali ed ispirati alle proporzioni dei classici.

Tuttavia non mi ero fino ad oggi mai cimentato in modo sistematico nello studio della forma di Giuseppe Bartolomeo Guarneri detto del Gesù. Infatti, la forma Guarneri “Alard” 1742, è stata da me sì disegnata con squadra e compasso, ma non facendo troppa attenzione al concetto della sezione aurea, date le forti irregolarità a cui le creazioni guarneriane furono soggette. Ma preso il coraggio a due mani, complice il fatto che ormai avevo acquisito un certo occhio sulla forma Guarneri “Alard”, mi decisi finalmente a realizzare la mia prima forma guarneriana partendo da un solo unico dato: la lunghezza dello cassa, da cui ho ricavato quella della forma. Cioè a dire che le casse armoniche guarneriane sono in genere piuttosto corte rispetto a quelle stradivariane, circa 353mm, che facendo i debiti calcoli togliendo i bordi e lo spessore delle fasce si arriva ad una forma lunga 346mm.

Disegno della forma Guarneri del Gesù seguendo il metodo di disegno basato sulla sezione aurea.

Questa misura, che oltrettutto è simile a quella del “Tiziano” 1715 di Stradivari, mi ha subito fatto pensare che le proporzioni guarneriane non fossero così diverse non solo da quelle stradivariane, ma anche da quelle amatiane e di altri membri della famiglia Guarneri. Il fatto di essere partito dall’unico dato della lunghezza della cassa, senza avere a riferimento nessuno strumento reale è stato per me fondamentale per non essere influenzato riguardo il risultato finale, così come ho fatto a suo tempo quando ho disegnato le forme stradivariane PG e G di Stradivari.

Il primo risultato è stato incoraggiante perché a fronte di una minore larghezza dellle CC (circa 3mm), e di una “apertura” minore delle punte superiori, tutte le curve della nuova forma sono risultate coerenti al confronto delle fotografie di alcuni strumenti reali. Tenuto conto della forte irregolarità del lavoro di Guarneri del Gesù, ho quindi adeguato la larghezza minima delle CC a quella della media degli strumenti reali (circa 110mm), e ho proceduto ad “aprire” le punte superiori.

Sovrapposizione del disegno finale della forma Guarneri ottenuto secondo il metodo della sezione aurea, con la sagoma del contorno del violino Guarneri “Alard” 1742 ottenuta da un poster di “The Strad” seguendo il percorso interno dei filetti. Notare la minore larghezza delle CC del disegno della forma rispetto alla sagoma, ciononostante il carattere della curva non sembra esserne compromesso.

A questo proposito, è bene precisare che in fase di disegno di una forma che segua le proporzioni stradivariane, il completamento delle punte è sempre da intendere in modo del tutto teorico, poichè non esistendo in questo caso una regola fissa che ci guidi nel disegno delle punte medesime, ecco che la pratica ci soccorre e ci suggerisce di usare raggi più ampi per ciò che riguarda i raggi di curvatura delle fasce delle CC per ciò che riguarda la parte aderente alle punte superiori e in parte anche a quelle inferiori. Sotto questo aspetto il lavoro di Stradivari indica chiaramente gli adattamenti fatti in questo senso: si prenda il violino “Il Toscano” 1690 e il “Cremonese” 1715, e si potranno vedere notevoli differenze nelle curve delle CC nella parte aderente alle punte superiori.

Questo vale ancora di più per Guarneri del Gesù, che nel tempo sembra avere “aperto” le punte superiori in modo molto evidente, affinchè non si avessero soverchie difficoltà nella piegatura delle fasce, riuscendo al contempo a conferire alla forma lo slancio tipico delle CC, conferendo ai suoi strumenti uno stile inconfondibile, forse ereditata da Andrea Guarneri perché anche le viole del nonno in questo caso mostrerebbero un ampio “respiro” nell’altezza delle CC. Questa apertura delle punte superiori sembra essersi mantenuta per buona parte degli strumenti costruiti dal 1735 in poi da Guarneri del Gesù.

E’ importante tenere presente che lavorare con una forma interna significa in ogni caso ottenere sempre uno strumento diverso dall’altro, questa è una delle peculiarità di questo metodo di costruzione del violino secondo la tradizione cremonese. Nella pratica quotidiana del mio lavoro mi sono trovato spesso a cambiare la modellazione delle punte a seconda dell’estro del momento, preferendo nel tempo avere punte non troppo lunghe onde evitare che suonando lo strumento, l’arco ne “intercetti” le delicate estremità con conseguenti possibili danni alle punte stesse.

Avere punte più corte o più lunghe anche di un solo millimetro comporta differenze stilistiche marcate e sostanziali, che si ripercuotono sull’intera linea dello strumento, filetti inclusi. Oltretutto è anche necessario che la lunghezza delle punte superiori sia coerente con quelle inferiori, e viceversa; questo è il motivo per cui una nuova forma interna richiederà sempre la costruzione di alcuni strumenti di “perfezionamento”. L’osservatore esterno potrà non percepire questi particolari, ma il liutaio che ha disegnato la forma e con essa ha costruito gli strumenti, conosce bene queste fasi di lavorazione.

Versione finale del disegno della forma Guarneri del Gesù basata sulla sezione aurea, completa degli zocchetti e dei fori dei pioli di ancoraggio delle controsagome delle fasce.

Questo disegno della nuova forma guarneriana basata sulla sezione aurea, è ad oggi oggetto di ulteriori studi e perfezionamenti, inclusi confronti e consulti con altri miei colleghi ed allievi, al momento non è stato ancora realizzato nessuno strumento con essa, ma sono abbastanza ottimista. La mia soddisfazione è quella di avere finalmente raggiunto in modo che ritengo affidabile una possibile definizione della forma che Giuseppe Guarneri detto del Gesù avrebbe usato per i suoi strumenti, seguendo proporzioni niente affatto diverse rispetto a quelle usate da Stradivari e gli Amati, al punto che inizialmente Guarneri stesso ha usato riferimenti stilistici e formali esplicitamente stradivariani (vedi violino “Kreisler” del 1730). Il suo stile inconfondibile, che noi oggi notiamo anche dalla forma che ho infine disegnato, sembra sia derivato da alcune accortezze adottate al fine di un lavoro più spedito, e sicuramente anche da una padronanza di uno stile personale che ancora oggi continua a fare scuola, meritatamente.

Un capitolo a parte sarà dedicato al violino “Tiziano” 1715 di Stradivari, che sembra condividere così tanto in termini di proporzioni con le forme Guarneri.

Testo, disegni e foto di Claudio Rampini

In memoria di Charles Beare.

Charles Beare mostra un Guarneri del Gesù durante la mia visita a Londra nel 1988.

Charles Beare è scomparso lo scorso 26 Aprile, nato nel 1937, la sua è stata una lunga vita dedicata agli strumenti antichi, dei quali egli è stato uno dei maggiori esperti mondiali.

Correva l’anno 1985 ed avevo appena terminata la lettura de “I ‘segreti’ di Stradivari” di Sacconi di cui seguii puntualmente tutte le indicazioni per la costruzione del mio primo violino, perché da bravo studente di archeologia qual ero, sentii che la prima esigenza di un liutaio è quella di risalire alle fonti, cercando di riconoscere tutte le stratificazioni che dall’origine del violino ad oggi si sono prodotte nel tempo.

Quindi, oggi come allora, ho sempre evitato qualsiasi “contaminazione” successiva alla tradizione classica stradivariana, a partire dal disegno della forma interna basata sulla sezione aurea, per finire alle vernici ad olio e i pigmenti usati nella tradizione pittorica.

Fu appunto nella mia completa ignoranza in fatto di vernici e anche dai tentativi infruttuosi di ricreare la vernice basata sulla propoli, che Sacconi descrisse nel suo libro, che tornato alla Libreria del Convegno di Cremona (editore del libro di Sacconi), chiesi alla proprietaria chi fossero al momento i maggiori esperti che avevano conosciuto e frequentato Simone Fernando Sacconi. La risposta fu breve e concisa: Francesco Bissolotti e Charles Beare.

Fondo del violino Guarneri del Gesù nello studio di Charles Beare, 1988.

Quindi, da una parte mi affrettai a far subito visita alla bottega della famiglia Bissolotti, allora sita in via Milazzo, e dall’altra a scrivere una lettera a Charles Beare, ponendogli una semplice e scontatissima domanda: “Egregio Mr. Beare, che vernice ha usato Stradivari per i suoi violini?”.

In modo del tutto inaspettato, eravamo in piena estate ed io ero impegnato in una campagna di ricognizione archeologica in Maremma, quando mia madre mi comunicò che era arrivata una lettera da Londra. Ebbene, Charles Beare mi aveva risposto personalmente e con una grande cortesia professionale, mi disse che Stradivari nella sua carriera aveva spesso cambiato vernice, per cui non si poteva essere certi in assoluto della natura delle sue vernici.

Ricordo che nel 1985 eravamo ancora nell’epoca delle impossibilità nell’analizzare le vernici, perché l’ossidazione dei componenti non ne permetteva il riconoscimento aldilà di ogni ragionevole dubbio, e che solo nel 1989 Barlow e Woodhouse pubblicarono il loro celebre articolo “Firm Ground” su “The Strad“, che oltretutto parlava dello strato di preparazione del legno degli strumenti stradivariani, argomento ancora oggi misterioso ed affascinante, e non della vernice vera e propria.

Quello fu il primo fortunato “incontro” con Charles Beare, un rapporto quasi esclusivamente epistolare continuato per un certo numero di anni. Nel 1988 fui ricevuto, senza appuntamento, nel suo negozio a Londra, un’accoglienza decisamente calorosa in cui Beare mi mostrò due meravigliosi Guarneri del Gesù originali, e che ebbi facoltà di provarne le qualità sonore nientemeno che con un arco appartenuto a Pinchas Zukerman.

Riccio del violino Guarneri del Gesù mostrato in questo articolo, nello studio di Charles Beare 1988.

Ricordo che ero così emozionato nel provare lo strumento, che le mie già mediocri abilità come violinista non mi concessero che di produrre una serie quasi inarticolata di suoni, ma fui in ogni caso felice di poter apprezzare il fatto che gli strumenti antichi di grande valore si distinguono sempre per la finezza e la proiezione del suono, quasi mai per la “potenza”.

Nella nostra corrispondenza l’argomento delle vernici era praticamente costante, a questo proposito ricordo le impressioni positive che Beare ebbe per la vernice di Lapo Casini, e ancor più per le mie ricerche poi culminate in un mio articolo del 1995 su “The Strad”: A new glass on the Strad varnish.

Nota a margine: quest’articolo mi costò le critiche di alcuni miei colleghi fiorentini, perché da una parte venne osservato, sbagliando, che avevo ignorato la figura di Lapo Casini (scopritore della vernice alla linossina), dall’altra mi si accusò di parlare di vernici filologiche, mentre in realtà non sembravo essere capace di produrre risultati così affascinanti sui miei strumenti. Però a Cremona e anche Charles Beare, la pensavano in modo diverso a questo proposito, fortunatamente.

E poi gli spessori degli strumenti originali, le indicazioni sulle catene moderne e le montature in generale, Charles Beare fu veramente prodigo di informazioni e consigli, non criticò mai negativamente i miei lavori, ma anzi ne evidenziò sempre il costante miglioramento nel tempo. Non furono semplici incoraggiamenti, ma vere e proprie linee guida che ebbero origine in quel laboratorio di New York, presso Wurlitzer, in cui Beare incontrò Sacconi e ne divenne allievo.

Charles Beare è stato un gigante della liuteria mondiale, eppure davanti alle mie osservazioni, anche quelle poco sensate, non mancava mai di rispondere. Come quando gli scrissi che il Messia di Stradivari, che lui mi invitò a visionare presso l’Ashmolean Museum, non mi aveva convinto al 100%, lui mi rispose molto concisamente: “Yes, it’s very authentic!“.

Oppure quando in occasione della grandiosa mostra che si tenne a Cremona nel 1987 nel 250° anniversario della morte di Stradivari, in cui Beare riuscì a mettere insieme più di 60 strumenti originali di Stradivari, gli feci osservare che le luci nelle sale erano molto basse, era veramente difficile potere cogliere i particolari degli strumenti, anche con l’ausilio di una piccola torcia tascabile. Beare mi rispose che purtroppo chi progettò l’esposizione, l’architetto Gae Aulenti, non tenne troppo conto di questo problema e delle esigenze dei fruitori della mostra.

In buona sostanza si trattò di un eccesso di prudenza nei confronti degli strumenti, che in ogni caso non guasta mai. Fu però in quell’occasione che vidi per la prima ed unica volta il “Lady Blunt” del 1721 di Stradivari, e che grazie ad un provvidenziale, quanto sottile, raggio di sole che riuscì a penetrate dai pesanti “scuri” delle finestre del palazzo comunale di Cremona, riuscii a cogliere le famose “pagliuzze d’oro” della vernice, che improvvisamente iniziarono a brillare come animate di luce propria. Una visione mistica, che non mi ha più abbandonato, solo con il “Cristiani”, il violoncello che Stradivari costruì nel 1700, riuscii a provare qualcosa di simile.

Svelo un grande segreto: per apprezzare a pieno le vernici di Stradivari, come di qualsiasi altro liutaio della classicità cremonese, è importante che gli strumenti siano in condizioni più che buone, e che soprattutto rechino ancora sostanziali quantità di vernice originale. Altrimenti, di quegli strumenti si potrà ammirarne solo il suono, non già una inesistente vernice originale.

L’ultima volta che incontrai Charles Beare, fu in occasione del mio primo ed unico concorso a cui ebbi la sventura di partecipare nel 2008 a Portland, Oregon, U.S.A. Infatti, il mio mentore di allora, che aveva fiducia illimitata nelle mie possibilità creative, mi “costrinse” letteralmente ad iscrivermi alla competizione, di cui Beare fu uno dei giudici. Ovviamente il mio violino fu scartato alla prima selezione, non tanto perché brutto o costruito male, ma semplicemente perché “non era costruito per i giudici“, cioè a dire che per strappare qualche posizione un minimo onorevole in quel tipo di concorsi, avrei dovuto antichizzare il mio strumento e anche costruirlo con uno stile che allora, ma anche oggi, era molto vicino ai criteri di una liuteria cinese, piuttosto che a quelli personali artistici di un liutaio italiano.

Ed infatti vinse un ragazzo di origine cinese, credo che fosse allievo di J. Curtin, il cui violino, una copia un po’ giallo limone di un Guarneri del Gesù, capace oggettivamente di emettere un suono orribile. Nelle graduatorie, l’unico che mi dette buoni voti fu proprio Charles Beare, questo per me significò qualcosa d’importante, perché fu l’unico a “capire” il mio strumento.

Post Scriptum: le foto che vedete pubblicate in questo articolo le ho scattate nello studio di Charles Beare, e sono state ritoccate per una maggior leggibilità, dato che si tratta di riproduzioni da vecchie stampe.

Testo e foto di Claudio Rampini.

Eccezionale documentario su Simone F. Sacconi (1964).

Per vie del tutto casuali questa mattina sono incappato in un eccezionale documentario sulla costruzione del violino secondo il metodo classico cremonese, spiegato alla televisione americana da Simone F. Sacconi, che oltre ad essere stato uno dei più grandi liutai del 1900, è stato anche l’autore de “I ‘segreti’ di Stradivari”, un’opera che a più di 50 anni dalla sua pubblicazione resta più che mai attuale e di riferimento per i liutai.

Il documentario (conservato presso la Libreria del Congresso), fu girato presso il laboratorio Wurlitzer di New York nel 1964 a circa un anno dalla scomparsa di Rembert Wurlitzer. Se da una parte l’impresa Wurlitzer è conosciuta ai più per i famosi juke-box che hanno allietato per decenni le nostre giornate musicali con le ultime “hit”, dall’altra, grazie a Rembert Wurlitzer, era anche specificamente dedicata al commercio e al restauro di strumenti ad arco di pregio.

In sintesi, Wurlitzer e Sacconi furono riferimento per i maggiori musicisti di tutto il mondo e lo stesso si può dire delle perizie e dei restauri a firma di Sacconi riguardanti gli strumenti di Stradivari, Guarneri del Gesù, Amati e tanti altri della tradizione classica italiana.

Nel video compaiono tra gli altri Lee e Marianne Wurlitzer, rispettivamente moglie e figlia di Rembert, e poi anche Dario D’Attili, che nei fatti è stato il successore di Sacconi presso il laboratorio di Wurlitzer.

Sacconi ci appare sorridente, in un inglese il cui accento rivela inequivocabilmente la sua origine italiana, che con sguardo penetrante e profondo ci introduce alla costruzione del violino secondo il metodo classico cremonese, lo stesso che verrà poi descritto con dovizia di particolari nel suo libro “I ‘segreti’ di Stradivari”.

Nelle immagini compare anche una copia del violino intarsiato “Hellier” di Stradivari, ancora non verniciato, che dovrebbe essere lo stesso che poi Sacconi ha donato alla città di Cremona, ed oggi conservato presso il Museo del Violino.

Una volta di più, a più di 50 anni dalla sua scomparsa, Sacconi ci fa capire che l’arte della liuteria non ha limiti geografici, senza il suo talento e la sua generosità, purtroppo mal ripagata alla fine della sua vita, il nostro percorso artistico avrebbe avuto sicuramente un valore minore e staremmo ancora a pasticciare con legni e vernici nel tentativo spesso maldestro di scoprire il “segreto” di Stradivari.

Un ringraziamento particolare è dovuto alla rete digitale delle biblioteche italiane MLOL, che mi ha rinviato al documentario di Sacconi presso la Libreria del Congresso.

Il documentario è visibile cliccando sull’immagine di Sacconi.

Claudio Rampini

2004/2024: i 20 anni del Portale del Violino

Cari Amici del Portale del Violino,
sono trascorsi 20 anni da quando nel mese di maggio dell’anno 2004 decisi di sfruttare le opportunità della rete internet di metter su un forum di discussione dedicato alla liuteria italiana.

Rampini Violin

L’idea mi fu data dal forum di Maestronet, che alcuni di voi già conoscono e frequentano da tempo, in cui ancora oggi si discutono in libertà i temi legati alla liuteria.

All’epoca ero iscritto all’A.L.I. (Associazione Liutaria Italiana), guidata allora dal M° Giobatta Morassi, un ottimo luogo di confronto in cui i liutai italiani hanno la possibilità di crescere artisticamente e di far conoscere i loro lavori nel mondo.
Ma questo non mi era sufficiente, pensavo e penso ancora che la liuteria italiana abbia molto da dire, non solo perché siamo gli eredi di Stradivari e degli Amati, ma anche testimoni e protagonisti di quella lunga e gloriosa tradizione ottocentesca e novecentesca, che merita uno spazio di incontro e confronto quotidiano, a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Il riscontro fu subito positivo e la cosa che mi ha dato più soddisfazione è che assieme ai liutai, al forum si iscrivevano anche i musicisti di ogni ordine e grado.

Ad oggi il forum del Portale del Violino conta qualcosa come 5941 iscritti, e raccoglie 96152 messaggi, a testimoniare l’attività di questi 20 anni, in cui si sono trattati in ogni modo possibile tutti i temi riguardanti la liuteria, la storia dell’arte e la musica.

Ricordo solo alcune delle migliaia di temi importanti di cui abbiamo discusso: il disegno della forma, lo studio delle vernici antiche, il metodo classico costruttivo cremonese degli strumenti ad arco, lo studio dei legni e le tecnologie legate alle analisi degli strumenti, questo e molto altro ancora all’insegna della trasparenza e della condivisione.

Molti giovani liutai che oggi sono affermati professionisti hanno iniziato il loro cammino proprio dal forum del Portale del Violino, ed i colleghi incontrati in questa pubblica piazza, con cui abbiamo realizzato a più riprese i nostri seminari di liuteria.

A questo proposito ricordo il primo seminario del 2011 dedicato a Simone F. Sacconi a Cremona, i seminari dedicati alle vernici in liuteria, sempre nella città di Cremona, che videro una partecipazione molto nutrita dei liutai e degli appassionati italiani. Ricordo anche il seminario che ho tenuto nel 2023 presso il Museo del Violino di Cremona, in occasione del 50° Anniversario della morte di Simone F. Sacconi.

Attualmente l’attività nel forum si è drasticamente ridotta, un declino dovuto principalmente all’avvento dei social e degli smartphone, la cui immediatezza nell’interazione ha penalizzato fortemente i forum online. Ho anche pensato di chiudere definitivamente con quest’esperienza, ma oltre al fatto che vedo ancora nuovi utenti iscriversi ogni giorno, ho ricevuto proprio dagli utenti vecchi e nuovi l’invito a continuare, perché la chiusura del forum sarebbe stata avvertita a tutti gli effetti come una grande perdita.

Anche per questo sono qui a ringraziarvi tutti, perché senza di voi, questa bella esperienza di condivisione non avrebbe avuto ragione di essere.
Grazie di cuore.
Claudio Rampini Liutaio

La messa a punto di un violino.

Vorrei spendere due parole sulla messa a punto degli strumenti perché leggo post nel gruppo in cui si chiedono chiarimenti in proposito. La notizia buona è che ogni strumento è suscettibile di miglioramenti anche notevoli con una messa a punto appropriata, la notizia cattiva è che pare sia piuttosto difficile trovare liutai, ma anche musicisti, che siano ben preparati sull’argomento.

Particolare di un violino di Claudio Rampini anno 2022

Si inizia a fare il liutaio perché si ha passione alla costruzione degli strumenti, in secondo luogo per passione musicale (anche se a mio parere dovrebbe essere al primo posto), ci si perfeziona attraverso gli anni, ma le messe a punto restano sempre un problema.

Questo perché spesso gli strumenti vengono venduti fuori d’Italia, quindi non c’è più possibilità di poterne seguire l’evoluzione, ma questo per alcuni non è un problema perché si segue il concetto del “vendi e dimentica”. Infatti, una volta che si è incassato il dovuto e che nessuno ti cercherà più per il tuo strumento, il liutaio approda felicemente al prossimo strumento, dimentico o quasi di ciò che egli ha mandato in giro per il mondo.

Ma non funziona proprio così: a me è accaduto molte volte di veder ricomparire strumenti di cui avevo quasi perso la memoria, venduti a migliaia di chilometri dal mio laboratorio, che tornano attraverso i contatti di un musicista che chiede consigli, chiarimenti, opinioni, e tutto ciò che riguarda l’assistenza di uno strumento ad arco. E’ sempre molto interessante poter ricostruire la storia di uno strumento negli anni, e posso assicurare che di storie da raccontare gli strumenti ne hanno moltissime. In futuro mi cimenterò, qual novello cantastorie, in questo difficile ma affascinante compito.

Quel che in genere i giovani liutai ignorano, e in questo mi ci metto anch’io perché all’inizio non mi sono comportato diversamente, è che non solo non si ha alcuna idea sulla messa a punto di uno strumento ad arco, ma che gli strumenti devono comunque essere seguiti il più possibile accuratamente proprio per capire al meglio il frutto del proprio ingegno.

Questo è un compito difficile perché la maggioranza dei liutai, presi dalle beghe quotidiane del proprio lavoro, non solo riducono drasticamente i tempi dedicati alla ricerca e alla sperimentazione nel perfezionare i propri strumenti, ma addirittura lasciano ad altri “specialisti” il compito delicato della messa a punto.

E’ pur vero che spesso i musicisti è difficile seguirli perché non sempre sono in grado di esprimere i propri bisogni in modo razionale, ma resta il fatto che se hai scelto di fare il liutaio, chi meglio di te può conoscere e quindi mettere a punto i propri strumenti?

Invece, non è così automatico, ho conosciuto anche liutai che dichiaratamente rifiutano di fare le messe a punto, non solo per gli strumenti di cui non sono autori, ma per tutti gli strumenti di ogni ordine e grado!

Perché una buona messa a punto richiede tempo e dedizione e un contatto intimo con i bisogni del musicista, può sembrare tempo buttato via, ma nel momento in cui hai capito un poco come fare le cose, in genere capisci subito di che tipo di anima o ponticello possa avere bisogno un certo strumento proprio sfruttando tutte quelle ore “perse” precedentemente a cercare di capire qualcosa sulla messa a punto.

E non è solo questione di saper tagliare un ponticello o un’anima, ma è la capacità di mantenere una memoria sonora negli anni, quindi di stare vicini alla propria esperienza, ma soprattutto agli strumenti che ci sono passati per le mani, così da mantenere al meglio il “focus” del suono degli strumenti medesimi.

Spesso i musicisti, abbandonati a sé stessi, oppure troppo pigri od occupati dal visitare frequentemente il proprio liutaio di fiducia, compensano le deficienze della messa a punto cambiando corde, o magari la cordiera, o anche la mentoniera e non raramente anche il tipo di spalliera. Questi ovviamente sono espedienti che non portano lontano, ma la capacità dell’orecchio umano di assuefarsi praticamente a qualunque suono è magica, quindi si procede senza turbamento o quasi.

Un giorno mi è capitato uno strumento di Giuseppe Guarneri figlio d’Andrea del 1700, che non vedeva un liutaio da almeno una decina d’anni, ovviamente il suono pur essendo uno strumento della classicità cremonese, faceva pena. Feci notare il problema al suo proprietario, il quale non fece quasi una piega, ma dopo qualche tempo lo vidi tornare con un “suono nuovo” perché si era rivolto a qualcuno per rivedere completamente la messa a punto. Per me quello strumento avrebbe comunque potuto dare di più, ma mai insistere, perché se un musicista ha ormai formato nella mente il solo pensiero di suonare ai concerti evitando il più possibile la bottega del liutaio, è affar suo.

Ci ho tenuto a dare qualche elemento di riflessione, che spero sia gradito, quindi mi fermo qui e vi rimando alla prossima puntata.

Claudio Rampini