Da Kircher a Monteverdi, una storia di violini in chiave alchemica.

Quello che fa riflettere è come Kircher tratti la questione della luce, sia dal punto di vista naturalistico, che simbolico, spiegando a più riprese che la cosa più importante non è il modo di riprodurre artificialmente l’oro metallico, così come pretendevano di fare molti alchimisti dell’epoca che Kircher stesso non esita a definire ciarlatani o venali, ma è raggiungere l’oro dello spirito, simboleggiato tra le altre cose dall’oro metallico, che altro non è se non l’espressione in solido della luce solare, quindi divina.

Se noi guardiamo alle opere degli antichi artisti vediamo subito che l’oro in tutte le sue espressioni pittoriche ha avuto una parte importante: vuoi per le corone dorate dei santi, vuoi per gli sfondi dorati delle scene sacre, l’applicazione a foglia d’oro su bolo armeno è stata una costante per molti secoli.

Così pure il legno sotto la vernice degli strumenti degli Amati, pur in assenza di foglia d’oro (ad eccezione delle decorazioni in cui fu usata applicandola sui legni degli strumenti), appare indiscutibilmente vivificato da una luce dorata che ha fatto leggenda e che ha contribuito al successo anche economico di quegli antichi liutai (gli strumenti classici cremonesi avevano un prezzo generalmente superiore rispetto a quelli prodotti da altri contemporanei, vedi corrispondenza Galileo – Padre Micanzio, anni ’30 del 1600).

Antonio Stradivari, his life and work – Hill

Quindi si può affermare che a loro modo gli artisti del tempo avevano trovato l’oro agendo con maestria acuta e determinata, in un’epoca in cui le tecnologie della tradizione erano praticamente immutate da millenni, non essendo supportati da nessuna tavola periodica che consentisse loro di raggiungere e standardizzare il risultato, l’unica possibilità era data dalla ricerca e dalla sperimentazione sui materiali, il tutto mediato dal loro patrimonio culturale simbolico.

Parlare in questo caso di “empirismo” è non solo improprio, ma è profondamente sbagliato nel concetto: qui non parliamo di praticoni che a forza di provare improvvisamente scoprono la pietra filosofale attraverso un colpo di genio, bensì parliamo di artigiani abili che furono formati fin da bambini all’arte del disegno e della proporzione, e che in età adulta sono stati capaci di produrre opere mirabili che solo un’esperienza acquisita e coltivata nella tradizione ha potuto consentirne la realizzazione.

Noi liutai moderni e contemporanei, nonostante il bagaglio notevole delle nostre tradizioni artistiche, nel caso della liuteria abbiamo dovuto, al contrario, reinventarci una tradizione liutaria perduta già poco prima della metà del 1700. Tuttavia, sarebbe più esatto dire che la tradizione non è mai stata completamente perduta, è che solo non si è stati capaci di studiarla, poiché la nostra formazione scientifica coltivata nei tempi del positivismo, ha impedito anche agli artisti più dotati una conservazione dell’antico patrimonio di conoscenza.

A questo proposito facciamo un esempio che può meglio chiarire il concetto: dopo la breccia di Porta Pia, una delle operazioni portate a termine dai Savoia fu quello di smembrare il museo Kircheriano sito nel Collegio Romano, dove già prima di Kircher, ma soprattutto grazie alla sua opera instancabile, venivano conservate un numero impressionante di opere provenienti da ogni parte del mondo (Kircher era in corrispondenza con i gesuiti sparsi per il globo terracqueo, inviati in missione di evangelizzazione, tra tutti si ricordi il gesuita Matteo Ricci in Cina).

Ebbene questo patrimonio fu smembrato e se non totalmente perduto, parti delle antiche collezioni kircheriane possono essere rintracciate con grandissima difficoltà in cinque dei più importanti musei romani. E lo stesso sembra essere avvenuto recentemente per una biblioteca contenente le opere di Kircher ancora presente presso il Collegio Romano, i cui libri erano ordinati in modo rituale naturalistico, e che per banali necessità di spazio è stata smembrata senza assolutamente aver avuto coscienza di cosa si stesse facendo.

Lo stesso è accaduto più o meno alla tradizione liutaria cremonese, ed è per questo che ricostruendo il percorso antico che porta all’oro, si tenta di vedere le cose con gli occhi dell’uomo del 1600 al fine di ricostruirne il pensiero e quindi di poter rintracciare metodiche e tradizioni perdute.

È stato quindi lecito pensare che l’alchimia e la sua millenaria tradizione abbiano avuto un ruolo determinante anche laddove l’artista non fosse dichiaratamente un alchimista. Ad esempio, le osservazioni sulla luce di Benvenuto Cellini riguardo le opere di oreficeria non ci danno la prova che egli fosse un alchimista, e nella sua autobiografia non ve ne è alcun cenno, se non per una esperienza di “negromanzia” che l’artista condusse con altri colleghi una notte nell’arena del Colosseo.