Lo scorso martedì 19 Novembre presso l’Aula Magna Sapienza, per la stagione concertistica della I.U.C. (Istituzione Universitaria dei Concerti), si è esibito il Quartetto Adorno con il seguente programma:
- Samuel Barber Quartetto op. 11 in re maggiore
- Mario Castelnuovo-Tedesco Quartetto n. 3 op. 203
- Bernard Herrmann Echoes per quartetto d’archi
- Antonín Dvořák Quartetto n. 12 in fa maggiore op. 96 “Americano”
Aldilà dei riferimenti al vasto contesto musicale americano, a me è sembrato che il Quartetto Adorno nella scelta di questo impegnativo repertorio novecentesco, abbia voluto esprimere freschezza di ispirazione e capacità di introspezione. Quindi tanta energia e capacità di restituire ad ogni singola nota il carattere che gli è stato impresso dal compositore. Gli echi “americani”, che pure si avvertono chiaramente, vuoi il richiamo all’adagio per archi di Barber ed usato in mille occasioni e contesti diversi, la Beverly Hills di Castelnuovo-Tedesco, il balletto di Herrmann, ed infine i richiami ai paesaggi della frontiera di Dvořák, sono da considerare un importante valore aggiunto in un contesto di siffatta complessità.
Il Quartetto Adorno ha espresso un suono che definirei “importante”, ben pesato ed equilibrato, non mi sembra di aver ravvisato nessuna ostentazione o esagerazione da ciascuna delle parti, ottima la scelta di porre la viola di fronte al primo violino, sicuramente non una novità nella disposizione degli strumenti in un quartetto d’archi, ma sempre capace di offrire una sonorità originale per chi è capace di comprenderla.
Infatti, non si tratta semplicemente di porre in primo piano la viola per “farla sentire più forte”, bensì di cambiare la modalità del dialogo tra gli strumenti, ed infatti questo si è capito molto bene perché in questo programma, come spesso accade nel repertorio novecentesco, la viola costituisce a tutti gli effetti il perno su cui è incardinata la struttura stessa del quartetto.
Mi ha fatto molto piacere apprendere che la viola suonata da Benedetta Bucci fu costruita da Igino Sderci nel 1939, ed è appartenuta a Piero Farulli, l’indimenticato violista del Quartetto Italiano.
La viola Sderci del 1939 appartenuta a Piero Farulli. L’ultima volta l’ho vista e sentita suonare proprio dalle mani del grande Maestro, una trentina d’anni fa presso la Scuola di Musica di Fiesole.
Uno straordinario affiatamento è costituito dal primo e dal secondo violino, che vede in risalto due magnifici strumenti di Ansaldo Poggi, rispettivamente del 1929 e del 1961, dotati di una sonorità morbida, penetrante e mai aggressiva. Il tutto completato dalla presenza di un ottimo violoncello di scuola Giuseppe Fiorini, dotato di un’ottima timbrica e capacità dinamica, che va a comporre uno strardinario quadro della liuteria d’autore italiana: infatti, se consideriamo i legami di Sderci con Simone F. Sacconi, il quale ebbe stretti rapporti con Fiorini stesso, questi strumenti suonati dal Quartetto Adorno rappresentano la summa di una filosofia del suono che tanto ha influito nella tradizione liutaria novecentesca.
Testo e foto di Claudio Rampini