Il meglio di Maxim Vengerov.

04 febbraio 2007

Ho ricevuto qualche giorno fa un prezioso cofanetto della Warner Classics contenente undici CD per un totale di 673,34 minuti di musica, che fanno qualcosa come più di undici ore di ascolto praticamente ininterrotto. Ed io me li sono ascoltati tutti nell’arco di due giorni: ho sempre pensato che ascoltare la musica suonata da un grande violinista mentre si è “all’opra intenti” nella costruzione di un violino portasse bene.

Ma la mia non è scaramanzia, bensì la necessità di imprimere bene nella mente e nel cuore che un violino “deve” suonare in un “quel modo”. Certo, non ho la pretesa di eguagliare il suono mitico dello Stradivari di Vengerov, il Kreutzer 1727, ma l’esempio c’è e rimane. Vengerov ho avuto occasione di poterlo vedere suonare dal vivo nei teatri di Firenze e ogni volta è stata una esperienza gioiosa, perché la musica di Vengerov, pur nel rigore, ha una grande anima.

Se pensiamo allo sconfinato repertorio della letteratura violinistica che un professionista deve saper padroneggiare, eseguendo centinaia di concerti dal vivo ogni anno, si comincia a capire che il talento musicale di un simile artista abbia in sé qualcosa di non comune. “Io sono così felice, Io sono un musicista, non un politico.” Questo ha detto Vengerov nel giorno in cui i razzi di Hezbollah piovevano attorno ad una piccola città nella zona settentrionale di Israele, dove il violinista ha la sua casa.

Portavoce della musica per conto dell’UNICEF, Vengerov descrive se stesso come “uno zingaro con il passaporto delle Nazioni Unite”, suonando per l’infanzia abbandonata dall’Uganda ad Harlem. Questo non è solo talento musicale, ma è anche coraggio, e coraggio vuol dire Cuore. Avendolo udito suonare con allegria il “Carnevale di Venezia” di Paganini e vedendo al tempo stesso le espressioni buffe del suo viso, non mi aspettavo davvero che Vengerov fosse così profondamente impegnato anche nel sociale. Quel che colpisce del suono di Vengerov è la straordinaria capacità di toccarti il cuore, anche da ciò si capisce che un artista una volta imparata la tecnica lo attende il compito più difficile: diventare un uomo.

Nella musica di Vengerov, pur nella grande diversità del repertorio, da Mozart a Shostakovic, si avverte un’attenzione costante, implacabile, che assedia la nostra attenzione fino a che l’eco dell’ultima nota si sia spenta. In questo senso l’ascolto si presenta impegnativo, coinvolgente, raramente l’ascolto di un disco di musica classica può essere definito come “un’esperienza” come in questo caso. Per arrivare a ciò bisogna non solo che il musicista abbia la capacità di assumere ogni volta uno “stato di grazia” espressiva, ma che i mezzi tecnici che hanno il compito di farci arrivare il suo suono, siano al massimo della qualità.

Ma anche qui non basta avere mezzi fantascientifici e costosissimi, è necessario che tutto l’apparato tecnico sia perfettamente sotto controllo per far sì che quel “Cuore”, l’anima del suono, ci arrivi il più possibile intatta. Possedendo molte registrazioni dei miei musicisti preferiti, spesso devo fare uno sforzo d’interpretazione su ciò che ascolto, semplicemente perché la voce del violino (ma anche della viola o del violoncello, a seconda del solista), viene percepita come troppo in primo piano, e noi sappiamo che un violino è molto differente dalle trombe del giudizio, il suono di uno strumento ad arco anche nei passaggi di forza più impegnativi esprime un’aggressività concettuale, mai superficialmente emotiva o di forma.

E poi c’è la questione del timbro, mai risolta fino in fondo, al punto che ancora oggi rimpiango i miei dischi in vinile per la morbidezza del loro suono. Troppo spesso, infatti, si ha occasione di ascoltare un violino la cui voce è innaturalmente cristallina, senza più traccia di quel colore lasciato dagli armonici. Negli anni le cose sono migliorate, ma non credo che questo sia dovuto solo al miglioramento dei mezzi tecnici, piuttosto sembra che la coscienza degli ingegneri del suono stia cominciando a lavorare in sincrono con quella dei solisti.

Ed è per questo che ascoltando questi undici CD rimango come rapito, irresistibilmente attratto dalla morbidezza del suono di Vengerov: dalla “Primavera” di Beethoven, al concerto per violino di Tchaikovsky e a quello di Sibelius. Ignoro l’arco temporale in cui sono state prodotte queste registrazioni, ma tutte esprimono coerenza sia dal lato tecnico che da quello interpretativo, la voce del violino è sempre percepibile in tutte le sue sfumature, mai troppo in primo piano o soffocata dall’orchestra o dal pianoforte.

La questione del cosiddetto “fronte sonoro” anche quando si ascolta musica da un impianto stereo è di fondamentale importanza, specialmente per colui che è abituato a frequentare le sale da concerto. Verrebbe da dire che Vengerov con la semplice grandezza del suo cuore, non fa altro che far parlare la musica, lasciando da parte ogni inutile virtuosismo: chi è grande non sa di esserlo e non deve dimostrare niente. Ho sentito affermare da Salvatore Accardo che per un musicista è importante far sentire quanto è bella la musica, non quanto egli è bravo a suonarla. Io penso che Vengerov aggiunga a questo sacrosanto principio una qualità in più: dare spazio al pensiero del compositore fin nelle sue pieghe più intime.

Perché il violino è uno strumento in se stesso semplice, ha solo quattro corde ed una tastiera lunga ventisette centimetri, ma le sfumature che può assumere il suo suono sono letteralmente infinite, tanto da lasciare molti interpreti anche di grande valore come smarriti in mezzo al diluvio sonoro, oppure come imprigionati in un’angusta gabbia interpretativa. Con Vengerov questo non accade, ascoltandolo sia dal vivo che nelle registrazioni, si sente un cuore libero che non ha mai incertezze.

Sto scrivendo queste righe ascoltando il secondo movimento del concerto per violino di Sibelius, nel momento in cui una quarta corda dal suono ampio, morbido e straordinariamente dinamico accarezza le orecchie inducendo la mente a perdersi; ricordo la reazione che aveva Renato Zanettovich (primo violino del Trio di Trieste), quando ascoltava musica suonata da un valente musicista: faceva roteare la mano come dire “senti che roba?”. Quando la musica arriva al godimento dell’anima, cosa si può pretendere di più? Grazie Vengerov.

Claudio Rampini