07 marzo 2008
Mister Kurosawa non è un parente del più famoso Akira, regista di giapponese di film che sono rimasti nella storia del cinema, si tratta invece di un commerciante di strumenti giapponese. Premetto che l’ultimo strumento che ho venduto in Giappone risale all’anno 1998, dopo essere stato a Tokyo e aver constatato le condizioni del mercato, decisi che era meglio orientarsi verso altre piazze meno chiuse ai liutai non cremonesi.
Sì, perché i liutai pisani, ma anche quelli romani, abruzzesi o livornesi, e comunque lontani da Cremona non hanno grandi chance di vendere i loro strumenti in Giappone. Se non sei valutato per quello che vali, mi sono detto, perché devo andare a svendere i miei strumenti in un paese dove se non sei cremonese quasi nemmeno ti guardano? Ma so che anche i liutai cremonesi (liutai di diversa provenienza ma residenti a Cremona), a fronte di una continuità degli ordini vendono i loro strumenti a prezzi piuttosto bassi (salvo poi ritrovarli nelle vetrine di Tokyo a prezzi da capogiro).Il mio intento è quello di porre attenzione sulla figura del tipico commerciante giapponese, che si caratterizza in due specie principali: il boss e lo sfortunato. Se si ha a che fare con un boss, vero o presunto che sia (perché essere “boss” è uno stato mentale), il nostro essere accettati come clienti sarà come essere stati chiamati alla corte di Turandot per risolvere i famosi tre indovinelli. Il boss ha il potere, ma si dimentica spesso che al boss il potere viene conferito dal basso, ossia il boss prende le redini solo quando ci sono le condizioni per farlo.
Queste condizioni possono essere facilmente constatabili ogni volta che si va a Mondomusica (fiera di che riguarda strumenti ed articoli di liuteria, Cremona mese di Ottobre), e ci si mette sulla scia dei vari commercianti giapponesi ed orientali in generale che vengono a farci visita: sono praticamente presi d’assalto da tutte le direzioni da un esercito di liutai affamati (cremonesi e non), che si offre ai loro piedi pronti ad offrire di tutto e di più. Questa situazione ha inevitabilmente fatto sì che anche a casa nostra si siano formati nell’ambiente liutario alcuni “boss” che sembrano avere il controllo del mercato con il Giappone, altrimenti non si spiega perché i liutai hanno tanta difficoltà a vendere direttamente ai giapponesi, mentre seguendo la strada del boss italiano, lo strumento è venduto praticamente seduta stante (meglio dire “svenduto).
Insomma, il liutaio italiano dopo tanti anni passati con la sgorbia in una mano e i libri dall’altra, magari pensando di rinnovare gli ideali degli Amati, Stradivari e Guarneri, si trova a far fronte ad una specie di barriera insormontabile, fatta di strumenti venduti “a quote”, ossia di “pacchetti” controllati dai boss italiani e giapponesi e così tutto è concluso. Poi ci sarebbe la seconda categoria del tipico commerciante giapponese: lo sfortunato. Questa tipologia è composta da individui dal carattere schivo e gentile, non molto dotata finanziariamente, che praticamente acquistano quasi tutto quel che viene loro offerto a prezzi molto bassi.
Lo sfortunato, quindi si accontenta delle cosiddette “briciole”. Al suo opposto troviamo il cosiddetto “companatico”, ossia strumenti che non dico dovrebbero far gridare al miracolo, ma comunque dovrebbero rappresentare in modo degno la nostra tradizione liutaria e musicale. In verità il potenziale ci sarebbe tutto perché abbiamo liutai di tutto rispetto, ma è mia precisa opinione che la richiesta del mercato giapponese abbia in qualche modo appiattito il nostro stile a tutto danno della nostra tradizione e tutto a favore dei violinari cinesi, che fanno molta meno fatica a copiarci.Per questo motivo non rimpiango troppo il non essere cremonese e il non dover essere in qualche modo obbligato a passare dal commerciante giapponese (ma anche coreano, americano, ecc ecc), a fronte di una sicurezza economica meno stabile si è però liberi di dare sfogo alle proprie idee e al proprio talento. Ma in questo mondo così difficile noi liutai italiani stiamo correndo il serio rischio di morire sui nostri sogni di gloria, perché il mercato giapponese ha dato a molti l’illusione di una grandezza e di un prestigio testimoniato solo dai concorsi vinti e dal favore del boss giapponese.
Questa non è vera gloria. La vera gloria sarebbe vedere gli strumenti in mano a musicisti francesi, tedeschi, italiani, americani, e perché no, anche giapponesi, coreani, cinesi, ecc ecc. La domanda sorge spontanea: ma gli strumenti acquistati dal commerciante giapponese che fine fanno? Risposta altrettanto spontanea: per decenni interi i boss giapponesi hanno venduto gli strumenti agli acquirenti locali, ricordo che in Giappone esiste un numero di gran lunga maggiore di orchestre. Si dice che ogni città giapponese che superi centomila abitanti abbia un’orchestra, quindi si parla di un mercato molto vasto. L’acquirente medio giapponese, tuttavia, per la sua mentalità è portato ad acquistare dai commercianti piuttosto che direttamente dai liutai, cioè a dire che se si tenta la vendita diretta ai musicisti e agli studenti si hanno poche possibilità di successo. Quindi non avendo nessun termine di paragone con la qualità, i commercianti giapponesi hanno proposto per decenni strumenti che rappresentano il non plus ultra del piattume sia dal punto di vista stilistico che da quello sonoro. Eppure i giapponesi sono un popolo di grande e raffinata cultura, com’è possibile che si siano lasciati imbrogliare in questo modo? Il difetto del giapponese medio coincide con la sua qualità: pensando alla grande maestria degli artigiani giapponesi (si pensi ai maestri che producono autentici gioielli come le Katane), il giapponese medio fa della precisione un culto e questo unito al mito del “made in Italy”, per cui tutto ciò che viene dall’Italia di Stradivari e Leonardo sia per forza buono e di valore, ha fatto sì che i commercianti giapponesi e i liutai italiani si siano reciprocamente “viziati” e “accomodati” nel fornire strumenti corretti dal punto di vista forma, ma molto poveri dal punto di vista dello stile e della sonorità.
Ma i cinesi non sono stati ad aspettare: a cifre assolutamente inferiori hanno iniziato a proporre strumenti altrettanto corretti, altrettanto poveri di stile e di suono. Perlomeno i cinesi sono onesti e non propongono a cifre improbabili strumenti solo perché il liutaio che li ha costruiti ha vinto una medaglia al concorso di Bagnacavallo. Quando dico che “non fu vera gloria”, intendo dire proprio che la gloria è costruita sui meriti del solo aspetto costruttivo. Mi diceva un importante liutaio cremonese che in un violino prima di tutto viene l’aspetto e poi il suono. Certo, perché il suono non lo puoi raccontare, non lo puoi esibire come una medaglia d’oro o un certificato di merito, il suono è una folata d’aria il cui eco si spegne nel giro di qualche secondo, le cui tracce rimangono solo nella nostra memoria e in quelle dei compact disc, quindi come fai a far sapere alla gente quanto sono buoni i tuoi strumenti? Il suono, come la musica, dovrebbe essere sempre un qualcosa di corale.
Il suono non dovrebbe essere un fatto di fiducia, ma un qualcosa che si costruisce assieme, solo così si potrà ristabilire l’equilibrio tra musicista e liutaio, altrimenti i due mondi saranno sempre lontani anni luce, così come accade purtroppo da molti decenni. Quanti liutai si vedono nei teatri e nelle sale da concerto?
In questo senso, a fronte di una aumentata capacità tecnica, non sembra che il liutaio contemporaneo abbia sviluppato un migliore capacità di ascolto rispetto ai predecessori, che almeno avevano la giustificazione di non avere i mezzi di comunicazione disponibili oggi (libri, internet, riviste, dischi). Da molto tempo l’argomento preferito da coloro che in qualche modo possono essere considerati i nostri avversari, ossia i liutai di altre nazioni, affermano che l’Italia di oggi dal punto di vista liutario è solo un pallido ricordo rispetto ad un recente passato e questo è insistentemente ripetuto e affermato di fronte all’oggettiva mediocrità di tanti strumenti che si vedono esibiti alle mostre e ai concorsi.
Qualche anno fa su “The Strad” fu pubblicato un articolo che a tutt’oggi ritengo molto valido, in cui si illustrava come gli strumenti moderni italiani fossero non solo privi di buone qualità sonore, ma erano addirittura trascurati anche dal punto di vista delle montature e della messa a punto. Certamente non si può fare tutta di un’erba un fascio perché, la produzione moderna italiana vanta punte di assoluta eccellenza, ma ciò non è sufficiente a salvare le sorti di una produzione generale di basso livello.
E questo è dovuto anche al miraggio del mercato giapponese che sta tanto a cuore di quei molti che desiderano guadagnare soldi senza affaticarsi troppo sulla ricerca del suono e dello stile, e che permette quindi di adagiarsi su un livello artistico mediocre e privo di attrattive.E così, tornando al signor Kurosawa, che senso ha esaminare gli strumenti in una stanza d’albergo? L’acquirente dovrebbe sempre visitare il liutaio presso il suo laboratorio e non si tratta di fare “ispezioni” con spirito più o meno di sufficienza, ma di incontrare un artigiano e di constatare se questi può o meno soddisfare i nostri bisogni. Prima in laboratorio e poi in teatro a suonare, altro che stanze d’albergo! La mia opinione è che se si vuole ridare dignità ad un mercato mortificato bisogna porre attenzione nell’educare Mister Kurosawa e i suoi colleghi al rispetto e alla comprensione del nostro lavoro. Ne va del futuro della nostra tradizione.
Claudio Rampini