Uto Ughi e Le Stagioni di Vivaldi.

23 giugno 2011

Lo scorso 20 giugno sono andato a vedere Uto Ughi all’Auditorium della Conciliazione, l’ultima volta che lo andai a sentire fu anni fa in un concerto alla chiesa di San Francesco a Lucca. Anche in quell’occasione suonò “Le stagioni”, ma non ebbi molto modo di gioirne causa la chiesa strapiena di pubblico che impediva persino di vedere e sentire il musicista. Durante il tragitto alla volta di Roma, mi sono chiesto se questo insistere di Ughi su Le Stagioni di Vivaldi non fosse alla fine una scelta un pò di comodo e quindi scontata.

Le Quattro Stagioni sono ormai universalmente note alla stregua di “Eine kleine nachtmusik” di Mozart, l’effetto è sicuro quanto scontato, se vuoi radunare gente questa è la ricetta. Ma per quel poco che conosco Uto Ughi, non mi è mai sembrato il tipo che si concedesse simili stratagemmi, quindi perchè suonare una musica “facile” come quella di Vivaldi? E Kreisler, Prokofiev, Bach? Certo ci sono anche loro, però c’è anche Vivaldi, e il fatto che sia così noto non significa automaticamente che la musica sia sempre e comunque ben compresa. E che soprattutto non rimanga più niente da capire.

A me poi Le Quattro Stagioni suonate in tutte le versioni possibili non hanno mai finito di attrarre: mi sono piaciute quelle di Scimone, quelle di Carmignola, quelle di Schneiderhahn, Julia Fischer e chi più ne ha più ne metta, spesso disponibili anche in edizione economica tanto al chilo nei supermercati e nelle edicole. E mi chiedevo con quale violino Uto Ughi avrebbe suonato il concerto, Guarneri o Stradivari? Sicuramente Stradivari, perchè il Guarneri è uno strumento potente adatto per la musica romantica, per quella barocca un pò meno. Giunti in teatro occupiamo i nostri posti e attendiamo che la musica inizi, ci guardiamo intorno: teatro strapieno.  Ughi appare dopo l’esecuzione di una sinfonia vivaldiana, grande è il calore che lo accoglie ed io ne approfitto per sbirciare con il teleobiettivo della mia fotocamera il violino che egli tiene in mano con tanta naturalezza: mi sembra che si tratti proprio di un Guarneri.

Un Guarneri per Vivaldi? È proprio il caso di dire “inaudito!”. Ma se quella è stata la sua scelta noi la rispettiamo, anzi aumenta la mia curiosità nel vederne i risultati. Uto Ughi è un musicista di ormai provata esperienza, me lo ricordo da quando ero un ragazzo e lo apprezzo ora che sono un uomo più che maturo. La cosa che mi ha sempre fatto sorridere è la sua imprevedibilità e il suo aprirsi in occasioni apparentemente fuori luogo per un uomo di successo come lui. Come quella sera quando, dopo un concerto al Teatro Verdi di Firenze, offrì del vino ad alcuni studenti di conservatorio che lo guardavano ammirati dai vetri di un ristorante. La mente vaga ma la musica sta per iniziare, il brusio della sala cessa di colpo e Ughi inizia il racconto delle sue Stagioni.

Egli si concentra soprattutto sulla formidabile abilità di Vivaldi di rendere in suono le scene della vita quotidiana e ne fa ascoltare alcuni esempi prima dell’esecuzione vera e propria. Il Guarneri sembra in ottima forma, è un violino sicuramente potente, ma straordinariamente capace di sottolineare in modo efficace anche i toni più sfumati, curioso quel riccio così stretto nella parte dorsale della voluta, mi sembra che sia uno strumento costruito da Guarneri negli ultimi anni della sua vita. Potrei andare subito a fare una ricerca in rete per verificare, ma voglio fidarmi dei miei occhi e correre il rischio di sbagliare. Il crine dell’arco mi sembra tirato ad una tensione medio alta sulla bacchetta, ma bando alle ciance, la “Primavera” inizia ed un tripudio di suoni si diffonde nella sala gremita. Sorrido e mi lascio trasportare, mi sembra che Ughi sia in forma stasera, è capace di far parlare il Guarneri in modo umano, mai aggressivo o prevaricante, come a dire “io suono perchè mi piace e non sono obbligato a dimostrare niente a nessuno”.
Tra un movimento e l’altro Ughi continua ad illustrare l’intento vivaldiano di farci rivivere il fenomeno stupendo della natura attraverso la musica, mi chiedo se Vivaldi abbia avuto una intenzione precisa nell’iniziare questi suoi concerti dalla primavera per finire con l’inverno. È troppo scontato dire che in queste stagioni viene illustrata la vicenda umana, anch’essa così intimamente legata e contrassegnata dal passaggio delle stagioni? Per me non esiste solo l’aspetto onomatopeico, Le Stagioni di Vivaldi non sono solo un esercizio di stile. Ed Ughi ce lo ha ricordato: Vivaldi creò all’epoca un vero e proprio laboratorio musicale, grazie alle orfanelle veneziane della Pietà di cui egli era l’insegnante.

Erano gli anni venti del 1700, probabilmente una stagione ancora felice per Vivaldi, così diverso dall’inverno misero che diventò la sua vita nel 1741. Mi rendo conto di essermi distratto, le note del Guarneri ritornano ineludibili a carezzare le orecchie, è decisamente un bel momento. Quel che gradisco dell’esecuzione di Ughi è un virtuosismo non fine a se stesso, ogni nota ha il suo peso, ogni arcata il suo senso e te ne accorgi quando è lui stesso ad invitare l’orchestra a rendere un pò più severa l’atmosfera di un passo dell’inverno. Mentre le note passano dolci e veloci il mio pensiero torna a volare e rivedo le campagne e le acque della laguna, anche se pare che Vivaldi abbia evocato la campagna mantovana in questi suoi concerti. Il pensiero si fa prepotente quando ad un certo improvvisamente riaffiorano alla mente le immagini di un vecchio documentario che Indro Montanelli fece su Venezia nel lontano 1969.
Io avevo nove anni e Venezia già all’epoca soffriva della tossica vicinanza di Porto Marghera, dello scempio fatto occupando industrialmente gli spazi vitali della laguna millenaria, annerendo in brevissimo tempo i marmi che hanno reso Venezia un tesoro umano. E le Stagioni di Ughi corrono impetuose “Tronca il capo alle Spiche ed a’ grani alteri”, sembra ammonirci Vivaldi. Tutta questa sua opera ha il sapore indiscubile della Natura, laico, e nessun richiamo alla religione, una concretezza che scuote il cielo e apre la terra. Può un uomo dimenticare Dio, salvo poi ricordarlo attraverso la grandezza delle sue opere?
E questa sera non c’è niente di eclatante, una manciata di strumenti ad arco e le dita di un violinista che corrono veloci sulla tastiera di un Guarneri. Ma forse mi sono lasciato suggestionare dalla visita che ho fatto un’ora prima in Piazza S. Pietro, eppure questa musica stasera giunge alle nostre orecchie in modo così potente ed inequivocabile, una di quelle cose che ti costringe ad aprirti. Il mio teleobiettivo funge da cannocchiale, osservo il viso di Ughi, sembra teso in uno spasimo, il volto appare scavato sotto la luce dura dei riflettori, la musica suona.  Ecco perchè tante discussioni sull’opportunità o meno di eseguire la musica antica sugli strumenti originali mi appaiono stupide e senza senso, perchè infine si rischia di perdere di vista l’esecutore ed il messaggio che ci vuol portare. E quello di stasera è tutto, fuorchè un messaggio banale o scontato, questo la gente sembra capirlo, perchè la gente è capace di perdonarti se sbagli, ma non puoi mai pretendere di imbrogliarla.
E quello di stasera non è un messaggio che parla solo di belle forme e bei suoni, c’è l’odore dell’erba e quello del mosto, l’odore dell’acqua e quello delle foglie, e tu che passi per le tue stagioni distratto da mille problemi, sembri aver perso la tua dimensione umana. Differentemente dai dischi, anche nelle migliori registrazioni al mondo, quel che si percepisce ora è finalmente un fronte sonoro formato dai vari strumenti, ed il solista che emerge e si accompgna, scompare e riappare in quella tessitura straordinaria, la musica di Vivaldi ha anche una dimensione spaziale, oltre che sonora.
E’ davvero un grande peccato che della sua musica, circa 600 concerti, noi ne conosciamo solo una parte esigua, ma non dispero per il futuro: le stagioni rappresentano il ciclo della natura, che ci propone cose nuove nelle forme consuete.

Testo e fotografie di Claudio Rampini.