Se c’è un’immagine che posso associare alla figura della violinista Carolin Widmann è quella del fuoco, per la sua irresistibile capacità di coinvolgere il pubblico in quello che ritengo essere stato un concerto straordinario (a cura della IUC, Istituzione Universitaria dei Concerti).
La Widmann ha eseguito sonate per violino e pianoforte di Schumann, Debussy, Veress, accompagnata da Dénes Várjon, suonando un violino di Giovanni Battista Guadagnini del 1782.
Il fuoco, dicevamo, e come potrebbe essere definita altrimenti una violinista dalle eccezionali capacità espressive in grado di interpretare in maniera superba un repertorio tanto impegnativo come quello romantico e moderno?
Il concerto si è aperto senza esitazioni, un preciso colpo al centro, restituendo quella strana sensazione che per alcuni musicisti il vero mondo, quello reale, è costituito dalla musica, per cui lo spettatore viene rapito dalla sua realtà quotidiana per iniziare finalmente quella che è la vera dimensione dell’essere: palpiti e vibrazioni da cui ne consegue un sentire profondo.
Grazie anche a Várjon, il cui pianoforte non è mai apparso sullo sfondo ad esclusivo supporto della Widmann, questo concerto è emerso come una festa del colore dei suoni, senza mai un’incertezza e senza mai un calo della tensione.
Una tecnica violinistica perfetta, rigorosa e vigorosa, al punto che qualche lieve pizzico accidentale del tallone dell’arco sulla prima corda nei passaggi di forza, ci è apparso naturale, inevitabile.
Come una fiamma che si libera e si alimenta dal vento, la Widmann ha cinto la sua musica con grande sensibilità così che ha saputo avvolgere lo spettatore con pervasiva delicatezza, “bruciato” dalla sua incontenibile passione.
Questo concerto, tra le altre impressioni, ci ha dato l’idea che se vogliamo ascoltare Schumann nella sua incalcolabile complessità oggi abbiamo nella Widmann un sicuro riferimento.
Il suono del Guadagnini ci è parso perfetto ed adeguato in volume, qualità ed ampiezza e bene equilibrato alle capacità della Widmann, nessun complesso di inferiorità rispetto a Stradivari o Guarneri del Gesù.
Nota a margine: Guadagnini ha lavorato alle dipendenze del Conte Cozio di Salabue, il primo vero collezionista di strumenti originali, il quale tra gli altri ne ebbe una cinquantina di questo autore.
Chi non vorrebbe avere un mecenate simile? che in possesso della collezione degli strumenti di lavoro della bottega di Stradivari, ha sicuramente messo in grado Guadagnini di produrre autentici capolavori, in quello che si pensa essere stato il suo periodo migliore, quello torinese.
E così avvenne per Giuseppe Fiorini, che con grande sacrificio riuscì a comprare la collezione degli arnesi stradivariani dagli eredi del Conte Cozio, che poi donò al Comune di Cremona negli anni ’30 del 1900 (per poi giacere per lunghi decenni nella polvere, fino alla venuta di Fernando S. Sacconi, che la riordinò assieme al compianto Francesco Bissolotti).
Oggi la collezione degli strumenti di lavoro di Stradivari è conservata e visibile al pubblico presso il Museo del Violino di Cremona.
Testo e fotografie di Claudio Rampini