Benvenuto Cellini, Antonio Stradivari e i segreti della luce.

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Ripubblico questo mio articolo scritto nel 1996, a seguito di quello dedicato ad una frase di una lettera di Antonio Stradivari del 1708, scritto nel 1995.

Anello di Aebutia Quarta I° sec. d.C.- Museo Barberini, Palestrina.

Siamo tutti rimasti affascinati di fronte allo spetta­colo offerto dalla vernice di un violino antico: la pitto­resca consunzione, la morbidezza del riflesso, la tra­sparenza che anche quando non è portata al massimo grado fa apparire la figurazione del legno sottostante come tridimensionale.

Alcuni hanno paragonato questo fenomeno alla mobilità dorata del mare, al tramonto, altri a lingue di fuoco (da qui i termini “marezzatura” e “fiammatura”), e così via, e non v’è dubbio che molte delle vernici antiche oggi sopravvissute suscitini in noi forti emozioni. Dopo lo stupore ci si chiede quali metodi gli antichi abbiano usato per ottenere effetti così ragguardevoli. La letteratura in proposito è ampia e a questa si ri­manda il lettore.

Una domanda che possiamo porci è questa: perché le vernici antiche sono tutte più o meno colorate, non sarebbe stato più semplice stendere uno strato incolore sul legno colorato in precedenza? Per rispondere dobbiamo recuperare il senso che gli antichi avevano della luce e del suo propagarsi nei corpi. Spesso si è sentito dire che i liutai classici mettes­sero nelle loro vernici polvere d’oro o di gemme pre­ziose, aldilà dell’incongruenza di tale affermazione appare chiara l’esigenza di voler dare allo strumento e alla vernice la stessa capacità dei gioielli di rifrangere la luce.

Benvenuto Cellini, orafo fiorentino (1500-1571), era maestro nel valorizzare le gemme. Nel suo trattato sul­l’oreficeria possiamo cogliere importanti informazio­ni:

“… Era questo Rubino molto grosso e tanto nitido e fulgente che tutte le foglie che sotto gli erano poste lo facevano in tal guisa lampeggiare, che egli quasi si rassomigliava al Girasole o all’Occhiogatta; …”

Nell’oreficeria l’esigenza era ed è ancora, quella di valorizzare la pietra preziosa esaltandone il volume e il colore. In passato venivano utilizzate sottili lamine d’oro da porre sul fondo di un castone prima di fissarvi la gemma, tanto era importante questa operazione che spesso vi si ricorreva allo scopo di nobilitare in modo fittizio pietre di mediocre valore:

“… Diciamo adunque che vi sono alcuni Rubini Indiani di tanto poco colore quanto immaginar si pos-sa, e a me è occorso vedere uno di tali Rubini nettissi­mo, al quale da uno di questi falsificatori era stato Unto il fondo con un poco di Sangue di Drago, il quale e uno stucco fatto di gomme che si liquefanno al fuoco, e poi l’haveva legato, e faceva tanta bella mostra che ciascuno l’havrebbe valuto dieci Scudi…”

Nel ‘500 queste falsificazioni erano proibite, era permesso però l’uso di artifici che sfruttassero a fondo le capacità naturali delle gemme di rifrangere la luce. L’intento era di far sì che la luce penetrando la pietra si riflettesse sulla lamina d’oro posta sul fondo per poi ritornare indietro creando riflessi di diversi colori. Lo stesso fenomeno avviene per le vernici antiche. Il loro colore e volume vengono infatti esaltati da quello che appare essere un “fondo dorato”.

Da qui l’importanza della finitura del legno prima della verniciatura, quella di non alterare le caratteristi­che di lucentezza e cangiabilità del legno stesso. La preparazione non doveva interferire con questa esigenza estetica, altresì doveva garantire impermeabilità del legno alla vernice.

Quanto per Cellini e probabilmente anche per i liutai antichi questo “meccanismo” fosse importante è testimoniato dal seguente brano:

“… Dovrà adunque il pratico orefice postosi la diversità delle dette foglie avanti pigliare il Rubino con alquanto di cera nera che sia.mediocremente soda e appuntata, con la qual punta piglierà il detto Rubino per uno dei suoi canti appiccandovelo; indi metterà il Rubino hor sopra que­sta hor sopra quella foglia, fin tanto che per lo mezzo del suo giudicio, egli sia fatto acorto di quella che s’affaccia e convenga col suo Rubino… “

La foto del bellissimo anello di Aebutia Quarta del I° d.C. che ho avuto opportunità di visionare più volte presso il museo archeologico di Palestrina , mostra in modo evidente come i princìpi seguiti da Cellini abbiano in realtà radici antichissime, cioè a dire che già in epoca romana si usava “giocare” con la luce attraverso le trasparenze delle pietre dure: in questo caso un cristallo di rocca di forma lenticolare incastonato su un anello, al cui fondo una minuscola scultura d’oro ottenuta per cera persa ritraente il figlio di Aebutia Quarta defunto precocemente, il tutto distanziato in modo ottimale al fine di evidenziarne la figura con in più un notevole effetto tridimensionale, praticamente un ologramma capace di “osservarti” da qualunque angolo lo si guardi.

Le foglie d’oro erano di diversa natura e colore, Cellini ne cita quattro ed erano tutte leghe con percentuali variabili di Oro, Argento e Rame. L’indicazione è valida anche per i liutai: presi diversi campioni di acero e di abete e condotti ad una diligente finitura, vi si applicheranno le diverse pre­parazioni sulle quali stendere la vernice, dopodiché si giudicherà quale campione risulterà il più idoneo ai fini del risultato estetico, alla luce degli esempi anti­chi.

La vernice che appare essere più valida ai nostri bisogni è quella composta da olio di lino e resine morbide, a puro titolo di esempio cito due eccellenti formulazioni: quella di Auguste Tolbecque e di Lapo Casini.

Il motivo risiede nel fatto che l’olio di lino possiede un’in­dice di rifrazione molto elevato che non accenna a diminuire nemmeno in presenza di forti colorazioni; ciò non toglie comunque che non si possano ottenere ottimi risultati anche con vernici ad alcool o all’essen­za.

Violino Rampini 2025

L’esempio di Benvenuto Cellini è illuminante; lo studio delle arti estranee alla liuteria è di vitale impor­tanza per la individuazione di procedimenti scompar­si. Positivo è che la liuteria classica è un’arte non anti­chissima e che prende le mosse da arti meglio cono­sciute e con lunghissime tradizioni.

Per quanto riguarda la preparazione del legno, allo stato attuale non vi sono nuove e significative acquisizioni che ci permettano riscontri obiettivi con il passato, ma è possibile fare alcune considerazioni: tolta la possibilità che questa abbia proprietà mira­colose sul suono, l’unica funzione certa è quella di impedire alla vernice di penetrare nei pori del legno (specie se è ad olio), e di far parte di quel “fondo dorato” e riflettente ormai ben impresso nell’immagi­nario collettivo dei liutai e dei musicisti.

Il legno dei violini antichi non appare quasi mai impregnato con sostanze chimiche di natura alcalina o acida, perché, se ciò fosse avvenuto, il legno avreb­be sì accentuato la propria figurazione, ma avrebbe perso il cangiante. Al contrario gli strumenti originali ben conservati mostrano integra la loro caratteristica “tridimensionalità”.

I materiali ritenuti attendibili sono ben conosciuti: colle proteiniche, caseina, chiara d’uovo, uniti ad eccipienti di natura calcica e silicica i quali aumenta­no l’efficacia impermeabilizzante del preparato. Ma il problema non è solo individuare le sostanze giuste, ma anche il giusto modo d’applicazione di esse. Osservando gli strumenti antichi è ipotizzabile che il tempo e le cure richieste dalla stesura di una buona preparazione fossero uguali o maggiori a quelli della verniciatura propriamente detta, perché il legno do­veva conservare intatta la propria lucentezza.

Si prenda a titolo d’esempio, un pezzo di abete o di acero ben piallato. Si può osservare come la fibra del legno sia nettissima e brilli alla luce: È questo che deve essere conservato, che la preparazione non deve attenuare, e la vernice deve esaltare. Una buona preparazione del legno, giunta felice­mente alla fine, è rivestita da uno strato di vernice di circa un decimo di millimetro. La ragione di ciò è che già lo strato è sottile, e che una vernice ad olio essicca velocemente e in profondità, specie se in tale proces­so vengono usati i raggi ultravioletti.

Legno di un fondo di violino “preparato” prima della verniciatura, Rampini 2023.

Un altro motivo è che una vernice ad olio “rende” molto di più rispetto ad altre e la sua apparenza luci­da e grassa la fa apparire con uno stacco notevole dal fondo anche a spessori ridottissimi. Naturalmente anche qui non esistono regole fer­ree da seguire, lo spessore degli strati verniciati può variare a seconda dei gusti, delle scuole, ecc. come è testimoniato da violini antichi anche di uno stesso autore.

II fatto di avere solo una bella vernice che posseg­ga una trasparenza estrema può non significare nulla, servirà tuttalpiù a far vedere meglio che si è prepara­to male il fondo su cui è stata stesa; al contrario, una vernice non molto limpida può dare riflessi straordinarii qualora il fondo sia stato preparato rispettando il legno. Cellini docet.

Come già scritto da Tolbecque, il famoso “fondo dorato” è anche il risultato naturale dello scorrere del tempo; il legno vecchio prende una colorazione più scura ed accentua mirabilmente la propria figurazione.

È indubbio però che sugli strumenti di Stradivari la preparazione appaia di un colore giallo-chiaro dalla apparenza opaca, questo negli strumenti ove non sia stato applicato dai restauratori, moderni e non, uno strato protettivo incolore il quale oblitera totalmente l’osservazione della stratificazione originale.

Su strumenti di Guarneri del Gesù tale strato non appare visibile; laddove la vernice è consumata il le­gno conserva il suo colore naturale. Ciò non vuol dire che la preparazione sia stata omessa, ma che potreb­be essere semplicemente incolore e non resistente come quella di Stradivari. Lo strato giallo che si può osservare ha una natura simile a quello della vernice, questa è una pratica comune anche ai nostri giorni, ma una cosa è la mera imitazione dei capolavori del passato, altra cosa è recuperare il senso delle cose e gestirlo con padronanza.

Cellini stesso raggiunge il suo scopo con mezzi a volte tra loro diversissimi, adeguandosi volta per volta ai materiali e alle esigenze del lavoro, mostrando una padronanza assoluta dell’arte e dei concetti. Queste sono le sue parole in proposito: “… Ma per che per mezzo della pratica si ritrovano bellissimi segreti, e s’im­parano di molte destrezze cosi nell’arte, come nelle scienze…”

Bibliografia:

  • Benvenuto Cellini “Due Trattati” ed. Aldine 1983
  • Agnes Romani “Le vernici per Liuteria” Quaderni di Liut. n°8.
  • Lapo Casini “Alla riscoperta della vernice degli antichi liutai”. Ed. Amati 1986.
  • Gino Piva “L’arte del Restauro” Ed. Hoepli 1988.
  • Gabriele Carletti “Vernici in Liuteria” Ed. Zanibon 1984.
  • Simone F. Sacconi I segreti di Stradivari” Ed. Libreria del Convegno 1972
Claudio Rampini 1996