L’eredità di Simone Fernando Sacconi

26 giugno 2009

Credo che su Sacconi non si sia riflettuto ancora abbastanza, così come credo si sia in qualche modo sottovalutata o travisata la portata “esplosiva” del suo contributo alla liuteria moderna.
Immaginiamo un liutaio che cresciuto alla scuola del grande Fiorini, sviluppi il suo talento in modo così straordinario che già negli anni 10 e 20 del 1900 è in grado di produrre strumenti perfetti ad imitazione degli antichi, tanta era la sua forza creativa nel voler essere in qualche modo vicino ai liutai classici. Immaginiamo che questo stesso liutaio venga improvvisamente chiamato a lavorare in America da un grande e famoso commerciante di strumenti rari e che gli offra il posto di responsabile del laboratorio, il liutaio in questione non ci pensa due volte ed accetta subito: è disposto a tutto pur di poter vivere vicino agli strumenti che da sempre egli venera e ammira dal profondo del cuore.
Violino di Fernando S. Sacconi 1928 (prop. Bissolotti)

Passano gli anni, questo liutaio diventa sempre più famoso, il suo laboratorio è un via vai distrumenti e musicisti leggendari, nel giro di una decina d’anni questo liutaio vede crescere a dismisura il proprio talento e la competenza sugli strumenti ad arco.

Dagli anni ’40 in poi, si può tranquillamente affermare che siano veramente in pochi a rivaleggiare con questo liutaio, in quanto i più famosi commercianti non hanno nessuna competenza in fatto di restauro di strumenti antichi, viceversa anche i liutai più validi non avevano l’opportunità di poter vedere, riparare od esaminare un grande numero di strumenti antichi.

Il liutaio di cui stiamo parlando era l’unico al mondo a possedere entrambe le qualità: conoscenza vastissima degli strumenti classici e smisurata abilità nel lavorare sugli strumenti. Questo liutaio è un romantico sognatore, ogni giorno la sua mente si perde negli acciottolati silenziosi di Cremona, s’incontra con Giuseppe Guarneri del Gesù e gli chiede “ma perchè pur avendo un talento così straordinario, lavoravi così male?”; oppure incontrava Stradivari “Maestro, il giorno in cui riuscirò ad intagliare un riccio con il tuo stile potrò dirmi anch’io un vero liutaio”.

E sognava, questo liutaio, mentre le sue mani correvano sicure su strumenti che valevano milioni di euro, non pensava mai di far danno perchè semplicemente non era contemplato fare male, egli piallava, scolpiva, rasava, pennellava con la stessa facilità ed entusiasmo di un bambino, il male non esisteva nella sua mente.

E’ così negli anni ’60 del 1900 realizzò il sogno di una vita: tornò a Roma, città in cui era nato, ma soprattutto andò a Cremona per imprimervi la sua personalità indelebile.

Egli non vedeva l’ora di riversare i decenni di esperienza che aveva accumulato sulla città che aveva dato i natali a Stradivari, Amati, Guarneri e tanti altri liutai leggendari. Vi era già tornato in passato, era il 1937, l’anno in cui ricorreva il 2° centenario della morte di Stradivari, insieme ad altri colleghi fu uno dei protagonisti della prima grande mostra dedicata agli strumenti stradivariani.

Erano anni difficili quelli, ma non solo per gli eventi politici e bellici, anche la liuteria aveva i suoi bei grattacapi: sorgeva il problema dei falsi e delle false certificazioni. Ma il liutaio romano, naturalizzato americano e con aspirazioni cremonesi, sapeva come evitare le insidie e nonostante avesse la capacità di produrre copie perfette, il pensiero di raggirare il prossimo non lo sfiorò neppure per un attimo. Se sei una persona onesta non puoi cambiare, così come non puoi cambiare il colore del cielo.

Eppure il liutaio conosceva bene la liuteria post settecentesca, sapeva benissimo che nell’800 la tradizione liutaria italiana conobbe un vero e proprio stravolgimento: la scuola cremonese era ormai scomparsa da tempo, la stragrande maggioranza degli strumenti originali aveva preso da tempo la direzione di Francia e Inghilterra, e una Giovine Italia non era in grado di prendersi cura dei propri tesori.

Fu così che la tradizione italiana conobbe l’influsso delle scuole straniere, come quella francese, che introdusse nel nostro paese l’uso della forma esterna. Le vernici già da tempo non erano più quelle di una volta, le vernici a spirito erano sicuramente più facili da comporre e da stendere, tale che ad un certo punto guardandosi indietro ci si accorse che la retta via era smarrita, e allora giù a tentare di ricostruire il segreto della formula di Stradivari!

Il declino della liuteria italiana, che seguì di pari passo le vicende politiche italiane ed europee, conobbe un graduale e progressivo impoverimento al punto che i pochi liutai dell’epoca, erano costretti a lavorare e a vendere i propri strumenti per pochi soldi.

Non è facile produrre strumenti con lo stesso sfarzo degli Amati e di Stradivari, quando una famiglia è costretta ad un regime di pura sopravvivenza, quindi si tentava di risparmiare tempo, materiali e denaro in ogni modo. E uno di questi modi fu proprio quello di adottare le vernici a spirito, sicuramente più veloci da usare e diventate più economiche, grazie alle vie commerciali aperte dai nuovi mercati europei. Così, generazione dopo generazione, i liutai cambiarono radicalmente il loro modo di produrre strumenti, così che spesso fummo costretti ad imparare tradizioni e procedure diverse.

Questo il liutaio romano-americano-cremonese lo sapeva benissimo ed era proprio questo che portava il suo entusiasmo alle stelle: negli anni aveva accumulato un’esperienza tale da poter restituire a Cremona il patrimonio perduto.

Fu così che il liutaio tenne lezioni presso la scuola di liuteria di Cremona, erano gli anni ’60, egli ad un certo punto si rese conto che nonostante Cremona conservasse, seppure in modo trascurato, gli attrezzi di lavoro e le forme originali di Stradivari, in quelle aule si insegnava una liuteria che niente aveva a che fare con la tradizione classica cremonese. E così pure gli strumenti costruiti nella scuola assomigliavano così poco a quelli dei grandi cremonesi!

Pensava di poter dare un contributo fondamentale questo grande liutaio, ma invece si trovò di fronte ad un mondo profondamente mutato che ormai considerava come radici proprie quella tradizione così diversa da quella cremonese, forse sarebbe stata necessaria un’azione “politica” di mediazione tra il passato e il presente, ma per il liutaio sarebbe stato tradire se stesso e la grande tradizione di cui egli era l’innocente depositario.

Nonostante la schiacciante evidenza delle prove documentarie raccolte in una vita di lavoro, degli attrezzi di lavoro stradivariani, un liutaio che ha imparato a costruire strumenti con il metodo della forma esterna ben difficilmente cambierà il proprio metodo di lavoro, soprattutto se su questo metodo ha già costruito da tempo il proprio commercio e la propria fama.

Fu così che il nostro liutaio si trovò isolato con pochi affezionati, e non mancarono nemmeno occasioni in cui gli furono contestate competenza e professionalità.
Mentre egli tentava di restituire a Cremona non solo il patrimonio perduto, ma anche un modo di lavorare aperto alla ricerca, su un altro fronte si resisteva in modo tenace ad ogni cambiamento.

Ma il liutaio romano-americano-cremonese non era tipo da scoraggiarsi facilmente, con la pazienza di Giobbe e con l’aiuto di Francesco Bissolotti, riordinò gli attrezzi di lavoro stradivariani dandogli anche una sistemazione più dignitosa, fece in modo di restituire a Cremona alcuni tra i violini più significativi di Amati, Stradivari e Guarneri del Gesù, che ancora oggi si possono ammirare nel Palazzo Municipale, ed infine fu iniziata la stesura del suo libro “I segreti di Stradivari”.

Questo suo libro ritenuto universalmente un’opera fondamentale, fu anch’esso molto contestato, soprattuto per quello che riguarda il capitolo sulla verniciatura a base di propoli, ma nella buona o cattiva fede non si è tenuto presente che quest’opera è stata concepita nei primi anni ’70 e che riportava il massimo dei progressi fino ad allora raggiunti in materia di vernici.

Infatti il nostro liutaio si era avvalso dell’opera di alcuni studiosi ed appassionati americani, Michelmann e Condax, e che furono studiati in modo accurato molti frammenti provenienti da strumenti originali. La validità de “I segreti di Stradivari” non risiede tanto nelle ricette della vernice o nella preparazione a base di silicato di potassio, ma nell’accuratezza delle osservazioni ivi riportate, che riconducono direttamente e in modo inequivocabile alle vernici antiche.

Correva l’anno 1972, il liutaio pensava già ad una revisione e ad un aggiornamento del suo libro, ma non solo: pensava anche di trasferirsi definitivamente a Cremona e coronare così il sogno di una vita. Ma non fece in tempo a realizzare questi due importantissimi progetti, il 26 Giugno 1973 Simone Fernando Sacconi terminava la sua vita nella casa di Point Lookout.

Claudio Rampini