Cosa pensa un violinista quando suona? Me lo sono chiesto spesso durante l’ascolto dei miei brani preferiti, perché d’istinto si viene colti dal desiderio di dare una maggiore definizione a quel mito che viene a formarsi dentro il nostro animo nei confronti di coloro che sono capaci di suscitare emozioni profonde. Ma si rischia di rimanere delusi perché avvicinarsi all’oggetto del mito fa scoprire niente altro che la realtà di un uomo e le sue contraddizioni.
Nel caso di Yehudi Menuhin credo che si possa fare un’eccezione perchè l’uomo incontra il mito senza senza destare nessuna invidia degli Dei, nelle sue parole si avverte il senso della modestia e della sfida. Eppure in questo libro i nomi da far tremare i vetri di casa sono tanti: Furtwängler, Einstein, Bartok, Enescu, e tanti altri passati alla storia del ‘900. A pensarci bene il peso delle parole di Menuhin non è diverso da quello espresso dalla musica da lui eseguita nei suoi numerosi dischi, uno stile severo quasi neutro, dove la personalità del musicista sembra sparire dietro la maestà di Beethoven o Mozart.
La prima volta che ho ascoltato Menuhin fu in un disco in edizione economica in vinile, “la Primavera” e “la Sonata a Kreutzer”, non sono mai state tra le mie registrazioni più frequentate, eppure quando penso a questi brani per violino e pianoforte non posso fare a meno di pensare a Menuhin. Così come non posso fare a meno di pensare al suo bel libro di didattica violinistica “Il violino e la viola”, in cui ricorre la parola “meraviglioso” riferita al suono di uno Striadivari o di un Guarneri, una grande personalità capace di stupirsi e di meravigliarsi non dà solo prova di modestia, ma è capace di avvicinarci alle cose in modo umano e senza sovrastrutture.
In una intervista contenuta in “Musica e Vita Interiore” si chiede a Menuhin se in quel concerto del 1929, all’età di tredici anni, rispondesse a verità il commento entusiastico di Albert Einstein dopo averlo ascoltato “Da oggi so che Dio esiste!”, Menuhin sembra prendere un giusto metro di distanza e afferma semplicemente che Dio esiste in tutte le cose, anche nel suono di un bambino.
Nei discorsi pubblici e nelle interviste contenuti in “Musica e Vita interiore”, si avverte distintamente la complessa personalità di Menuhin tesa nello sforzo di migliorare il nostro mondo, allo stesso modo in cui il musicista suona la sua musica ed è capace di trasmettere emozioni da un semplice spartito. Un insegnamento non da poco.
Piccola nota di curiosità a carattere liutario, Menuhin nella sua vita di musicista è stato sempre in contatto con uno dei miei della liuteria novecentesca: Fernando Sacconi, al quale il violinista ha affidato la cura del suo Stradivari e del suo Guarneri. Menuhin ha posseduto uno degli Stradivari più belli, il “Soil” dell’anno 1714, passato poi nelle mani di Itzhak Perlman.
In ultimo vorrei spendere qualche parola per la bella prefazione curata da Moni Ovadia, parole essenziali che confermano il valore dell’uomo proiettato nel migliorare la condizione dei propri simili. Un sentito ringraziamento all’editore rueBallu di Palermo per la scelta di pubblicare un’opera così importante, in particolare per il musicista e il liutaio.
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