Giuseppe Fiorini il 150° anniversario (1861-2011)

10 dicembre 2011

Il 28 Settembre 1861 nasceva Giuseppe Fiorini, sono passati 150 anni senza troppi clamori, un silenzio quasi innaturale se si pensa alle vicende umane artistiche che hanno fatto di Fiorini uno dei liutai più importanti tra 1800 e 1900, di importanza non solo nazionale, ma addirittura europea.
La vita di Giuseppe appare subito irta di ostacoli, il padre Raffaele non vede di buon occhio che il figlio si dedichi alla liuteria, eppure Raffaele ha formato valenti liutai tra i quali Cesare Candi e Augusto Pollastri.
Si potrebbe pensare ad una sorta di rivalità per cui Raffaele temeva di essere superato in bravura e fama dal figlio, ma credo che questo non basti a spiegare la sua straordinaria ostinazione che giunge perfino a mettere materialmente bastoni tra le ruote al figlio. Nella sua ottica c’era probabilmente la volontà di non lasciare il mestiere di bottaio, che ha permesso alla famiglia Fiorini di campare decentemente per alcune generazioni.
Quella del 1800, per secoli e secoli, era una società patriarcale per cui la parola del padre esprimeva nella famiglia lo stesso principio di autorità con cui i Papi e i Re governavano i loro popoli. Ma Giuseppe ha il coraggio di opporsi, riesce ad affrancarsi dal giogo paterno ed emigra in Germania, a Monaco, e con il tempo mette su una florida attività di liuteria e commercio di strumenti musicali, grazie al facoltoso suocero Andrea Rieger, fino a creare la ditta “Rieger e Fiorini”, che contribuirà a dargli fama e benessere economico.
Fin qui sembra una storia che ci porta ad un ordinario lieto fine, ma il libro di Luigi Dati e Gualtiero Nicolini va oltre e dopo averci dato notizie riguardo la permanenza di Giuseppe Fiorini a Roma, qualche anno dopo la I° Guerra Mondiale, ci vengono illustrate le vicende che vedono Fiorini impegnato nell’istituzione di una scuola di liuteria a Cremona. A Roma Fiorini incontra e forma Fernando S. Sacconi, al tempo stesso si indebita per procurarsi la collezione degli attrezzi originali della bottega di Stradivari ancora in possesso degli eredi del conte Cozio di Salabue.
La posta in gioco è molto alta, Fiorini vuole a tutti i costi riportare l’arte e la tradizione liutaria cremonese a Cremona. Fiorini è in grado di fare questo perchè malgrado i problemi alla vista che lo affliggeranno fino a renderlo cieco, ha acquisito un grado di conoscenza degli strumenti antichi secondo a nessuno, potrebbe insegnare e diffondere questo patrimonio che nell’Italia del primo 1900 porterebbe grande prestigio e l’irripetibile opportunità per molti allievi di formarsi in modo “autentico”, secondo tradizione e filologia.
Ma le cose non sono così semplici, la città di Cremona sembra resistere a Fiorini, eppure egli è pronto a donare gli attrezzi stradivariani, non chiede nulla in cambio, solo l’istituzione di una scuola di liuteria. Dati e Nicolini ricostruiscono in modo scrupoloso quegli eventi, attraverso notizie di prima mano e ritagli di giornali, il lettore viene preso da una morsa di sofferenza nel diventare suo malgrado testimone dell’ottusità di chi, ancora una volta, impedisce a Fiorini di realizzare il suo progetto.
Una domanda sorge spontanea: che glielo ha fatto fare a Giuseppe Fiorini di mettere tanto impegno in una inziativa che non solo non veniva apprezzata, ma che addirittura lo vedeva emarginato e discriminato? Tanta ingratitudine ed ottusità avrebbero fatto desistere chiunque, ma Fiorini aveva un carattere ostinato e fortunatamente era anche affiancato da alcuni cremonesi “illuminati” che capirono fin da subito il suo valore.
Evidentemente proporre progetti di ampia portata in una Cremona così poco incline a valorizzare il proprio passato era fatica inutile, ma al tempo stesso io credo che avrebbe dovuto dare a Fiorini una indicazione molto importante: oggi come allora, non esiste la possibilità di fare della liuteria una specie di fenomeno di massa. Forse Fiorini avrebbe potuto creare una istituzione privata, totalmente libera dai lacci della burocrazia  e della politica, avrebbe in questo caso avuto sicuramente meno impedimenti e più soddisfazioni.
La scuola di liuteria a Cremona venne comunque realizzata, ma dopo la morte di Fiorini, su premesse completamente diverse rispetto a quelle della tradizione, tanto che ad insegnarvi tra gli altri fu chiamato Pietro Tatar, un liutaio ungherese che niente aveva a che fare con la nostra tradizione. Questo “peccato originale” ha caratterizzato la scuola di liuteria di Cremona fino ai giorni nostri, considerata la patria del violino e profondamente , dolorosamente, separata dalla sua tradizione.
Ciò tuttavia non ha impedito alla scuola di formare molti liutai che in seguito hanno avuto modo di approfondire gli studi e di realizzare strumenti secondo tradizione. Inoltre con il tempo Cremona è diventata un polo museale e di studi di importanza mondiale da cui non si può prescindere. Anche Sacconi, sulla scia di Fiorini, si impegnò moltissimo per dare alla liuteria cremonese il giusto assetto secondo arte e tradizione, pagò lo scotto di un parziale disconoscimento che divise la città in due: gli allievi di Sacconi e gli altri, ma questa è un’altra storia. L’opera di Dati e Nicolini ha il grande merito di riportare alla memoria la complessa storia di Giuseppe Fiorini, che se da una parte sembra gettare ombre su una produzione cremonese contemporanea oggi sempre più in discussione, dall’altra offre ai giovani liutai la possibilità di iniziare a lavorare con il piede giusto. Perchè costruire un buon violino che non ci faccia vergognare di fronte agli esempi classici è cosa che nessuna scuola può insegnare, e che comunque non sarà mai un fenomeno consumistico di massa.